Ha ragione Pierluigi Battista nel contestare alla sinistra il suo noto e stolido giochino : se i mariuoli sono di destra è un sistema, se li beccano a gauche sono singole mele marce.
Ebbene non è la narrazione che emerge dalle cronache dell'affaire romano, dove, non ritenendo millanterie quelle dei due "capi", Carminati e Buzzi, la rete affaristica tesa negli anni coinvolge politici di entrambi i fronti, e non potrebbe essere differentemente visto che a Roma e nel Lazio più spesso a comandare al Campidoglio e alla Regione sono stati quelli del PD e i loro avi.
Insomma, hanno un bell'affannarsi Veltroni, Boschi e anche Marino ( che deve accendere i ceri alla Madonna per questa bufera, che prima, per la sua incapacità a fare il sindaco, sulla graticola c'era lui ) a dire che loro sono quelli della "legalità".
Pensa se non lo erano !
Quanto alle dimissioni, o al commissariamento, ricordo solo che all'epoca di Fiorito, e lo scandalo dei rimborsi spese ultra gonfiati, non ci furono molti dubbi a far dimettere il governo regionale della Polverini (anche lei assolutamente non toccata personalmente dagli illeciti contestati, ma responsabile politicamente).
Personalmente sono d'accordo con Sansonetti quando si ribella all'idea che le giunte siano fatte decadere dalle iniziative giudiziarie, specie poi quando i magistrati, che esercitano un potere così incisivo sulle istituzioni, poi non sono tenuti a risponderne in caso di errore (quale potere nelle democrazie ha un simile privilegio ?). Però, come evidenzia Battista, responsabilità penali e politiche sono cose diverse. Si può non aver commesso illeciti individuali (appunto, la Polverini), e avere la responsabilità politica degli stessi. E anche qualora non si riscontrino illeciti penali (sembra impossibile, dalla polvere sollevata, ma finora stiamo ascoltando solo l'accusa), ci sono condotte che non costituiscono reato ma non sono compatibili col governo corretto della cosa pubblica.
Ma a parte tutto questo, resta il solito, un po' nauseante strabismo della gente di sinistra, che proprio non ci rinuncia al mito della propria "diversità migliore".
L’assoluzione politica
che la sinistra
non può darsi
LUCA ODEVAINE |
Ha fatto bene l’ex sindaco di Roma Walter Veltroni a non nascondersi dietro un legittimo riserbo che però avrebbe potuto essere scambiato per imbarazzata reticenza. E soprattutto a non nascondere o minimizzare, con una lettera a la Repubblica , lo «choc angoscioso» provocato dalla scoperta delle malefatte commesse, secondo l’accusa dei magistrati romani, dal suo ex vice-capo di gabinetto Luca Odevaine. Ma il sincero sconcerto di Veltroni sembra quasi accreditare l’immagine di una doppiezza perversa del suo collaboratore: persona all’apparenza specchiata negli abiti presentabili del dottor Jekyll istituzionale, e tuttavia nel suo lato notturno un torbido mister Hyde avvezzo a continuativi rapporti malavitosi con la delinquenza di stampo mafioso. E non è nemmeno convincente la sequenza suggerita da Veltroni di amministrazioni, quelle di sinistra, illuminate dal rispetto assoluto della «legalità», poi deturpate dalla funesta parentesi di una giunta di destra che della legalità ha fatto strame, inquinando irreparabilmente il volto della capitala d’Italia con frequentazioni oscene della mafia alleata dell’estremismo di destra.
Messa così, però, sa di arringa autoassolutoria. Che certamente non è nelle intenzioni di Veltroni, giustamente disgustato dall’«orrore» dello spettacolo che sta deturpando Roma. Ma rischia seriamente di esserlo se non si scindono le responsabilità penali, che sono strettamente personali e sottoposte al vaglio di una giustizia rispettosa dei diritti della difesa, da quelle politiche, che oggi non possono essere sottaciute o ridimensionate. Come purtroppo sta avvenendo con la difesa accanita della giunta Marino.
Sulla destra al governo di Roma non c’è molto da aggiungere, con quel suo pervicace mischiare l’amministrazione cittadina a una guapperia nera greve e adusa al lessico e alle pratiche della delinquenza di strada. Ma la sinistra non può cavarsela con un appello alla legalità e con la teoria autoindulgente delle mele marce. Fosse la disattenzione su singoli casi, si potrebbe ammettere un peccato politico veniale, e addirittura invocare l’impossibilità per un sindaco di controllare ogni minuto movimento dei propri collaboratori. Ma se ha un fondamento la ricostruzione dei magistrati di un fronte delinquenziale di stampo mafioso con ramificazioni stabili in ambedue gli schieramenti politici, allora il nome che deve mettere in imbarazzo le giunte di sinistra, e soprattutto quella attuale gestita dal sindaco Marino, non è solo quello di Odevaine, ma quello di Salvatore Buzzi e della sua cooperativa immersa nei suoi lucrosi affari in combutta con la politica romana («si guadagna più con gli immigrati che con la droga»). Un rapporto pluridecennale con i gangli vitali dell’amministrazione capitolina e che ha allungato i suoi tentacoli prima, durante e dopo la giunta guidata da Alemanno.
Le responsabilità penali sono personali, ma il coinvolgimento di ben due assessori della giunta Marino, del presidente del Consiglio comunale che esprime la maggioranza politica che sostiene il sindaco, di esponenti della segreteria dello stesso primo cittadino, per non parlare dei generosi contributi (in quanto tali non penalmente rilevanti, è bene ricordarlo) per la campagna elettorale del sindaco, di presidenti di municipio, di consiglieri comunali, lasciano trasparire un legame forte, continuo, stabile, remunerativo, economicamente cospicuo tra una cooperativa accusata di usare metodi mutuati dalla mafia (secondo l’accusa) e una sinistra permeabile in una misura imbarazzante alle infiltrazioni dell’organizzazione di Buzzi.
Nessuna responsabilità politica che dovrebbe portare all’azzeramento di un consiglio comunale inquinato e oramai privo di credibilità? E allora perché il Pd ha deciso di usare con se stesso metodi drastici fino al commissariamento del partito romano? Le istituzioni sono più importanti dei partiti e se si è sentita l’esigenza di arrivare a conclusioni traumatiche per ripulire il partito, non si capisce perché sul piano istituzionale si possa essere accondiscendenti, politicamente assolutori, insensibili allo sconcerto che, oltre a quello manifestato dallo stesso Veltroni, sta avvilendo l’intera opinione pubblica romana e nazionale. Ecco perché la teoria dei singoli marci non regge. E perché Roma chiede cure dolorose ma necessarie. Se si vuole avere senso della responsabilità politica, distinta dalle responsabilità giudiziarie.
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