ALFANO, SERVO BUONO PER OGNI PADRONE |
Parliamoci chiaro, Renzi fa il suo. Lo fa secondo carattere, e quindi con spocchia ed arroganza, il che me lo rende antipatico, ormai quasi odioso (è persona a cui farei fatica a stringere la mano, e questo dai tempi della pugnalata a Letta, che infatti faticò a dargli la sua), però il coltello dalla parte del manico ce l'ha lui e lo usa.
In politica, e generalmente nella Storia, avviene così, ed è inutile stare ad auspicare correttezza, bon ton, gentlemen agreement ma anche fedeltà agli accordi, tutta roba di cui sono sicuro Matteo Renzi non conosca nemmeno il significato nella vita normale, dove invece dovrebbe essere regola, ma in politica sicuramente no.
Quindi se è vero che è venuto meno ai patti, come rabbioso afferma Berlusconi, e se il metodo del prendere o lasciare è suonato indigesto perfino alle pecore alfaniane, il mea culpa lo devono fare gli avversari, che si sono fidati e non hanno ancora (???? possibile mai ? che gli ci vuole ? un disegno su un foglio a quadretti ?!) capito la quantità smodata di pelo sullo stomaco di cui è dotato l'attuale Premier.
Quando sei martello batti, dicono, e Renzi lo fa.
Poi certo, è stomachevole sentire le sue spiegazioni, come se Mattarella veramente fosse l'uomo migliore che si potesse immaginare (non lo è, leggere del caso l'efficace ritratto che fa del suo conterraneo Davide Giacalone nel post http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2015/01/il-siciliano-giacalone-boccia-il.html ) ma non è che si possa pretendere che veramente l'individuo espliciti in TV la sua natura : si fa come dico io!
No, Renzi infastidisce, tanto, ma è ben comprensibile quello che fa. Quelli da biasimare sono Berlusconi e Alfano, che ogni volta si accontentano dell'osso lanciato dal Premier per far vedere che sì, magari lui i patti se li rimangia (l'Italicum prima maniera era ben diverso da quello che oggi ritorna alla Camera, al di là che per certi versi è meglio e per altri peggio), ma non è che non tenga conto proprio per nulla dei desiderata dei suoi interlocutori. E così Berlusconi, che ha ceduto sul doppio turno (concessione STORICA, perché da sempre quello è stato l'obiettivo della sinistra, consapevole di poter essere più forte nel coagulare il voto CONTRO, che è quello che sbilancia il ballottaggio) senza ottenere il presidenzialismo ( o semi), sulle soglie per l'ingresso in Parlamento ( dall'8%, effettettivamente troppo alta, al 3% decisamente troppo bassa), sul premio di maggioranza, deve essere contento dei capolista bloccati, e Giacchetti gli ricorda che, se fa le bizze al secondo voto alla Camera, magari glielo tolgono...
Veramente una brutta fine quella del Cavaliere, che probabilmente s'illude che tutti questi signorsì alla fine gli varranno un qualche salvacondotto giuridico-processuale.
Di Alfano e dei suoi meglio non parlare. Le pecore mi piacciono a quattro zampe e sui prati.Da tempo non vedevo persone così invertebrate supine pur di conservare le poltrone. A Renzi che pare gli abbia ringhiato in faccia "come fa un Ministro a rimanere al suo posto senza appoggiare il capo dello Stato", si potevano rispondere varie cose :
1) Alfano ha giurato nelle mani di Napolitano, non di Mattarella
2) Il centro - che tali sono gli alfaniani uniti ormai a Casini - poteva ben avere candidati diversi, e quindi non avallare la scelta unilaterale del PD. In caso contrario, quello che poi si sta concretizzando, i DEM, maggioranza relativa, diventano dittatori assoluti del governo perché ogni volta ricorrono al ricatto contro gli alleati.
Era dai tempi di Craxi che non vedevo un uomo ottimizzare così bene la debolezza altrui, a prescindere della propria obiettiva forza.
Renzi litiga con l'opposizione interna ? Prende i voti di Forza Italia. Litiga con Berlusconi ? Recupera Sel e i giuda grillini. Il tutto sempre garantito dalla tremebonda fedeltà di Alfano e Co.
Quando torneremo a votare, facendo - forse - finire tutto questo, sarà sempre troppo tardi.
Renzi infuriato con Alfano. Poi la partita si sblocca anche grazie a Napolitano
«Non puoi stare dentro e fuori», sbotta il primo ministro. E il vicepremier: dammi il modo di uscirne, lancia un appello
LAPRESSE Giorgio Napolitano
Roma
«E’ fatta, ora la strada è in discesa». Alle nove di sera, quando
esce la notizia che Alfano dirà sì a Mattarella e Forza Italia voterà
scheda bianca, a Palazzo Chigi il premier sorride soddisfatto. La
giornata, partita male, si sblocca dopo un lavorio degli ex
democristiani e grazie ai suggerimenti di buon senso del presidente
emerito Giorgio Napolitano.
Fin dal mattino Renzi è infuriato con Alfano: «Non può stare dentro e fuori, come fa un ministro dell’Interno a non votare il capo dello Stato? Da dieci giorni gli avevo detto che avrei fatto un nome. Non contro di lui. Come poteva pensare che facessi una rosa, così da fare scegliere a lui e a Berlusconi? Non esiste». Il premier non vuole nemmeno vederlo, tantomeno lanciargli una ciambella di salvataggio. È convinto di avere la maggioranza, ma molti lo mettono in guardia, «evitiamo un azzardo è una questione troppo delicata per fare una scommessa». I numeri possono ballare, i calcoli più ottimistici dicono che senza gli alfaniani ci sono 545 voti al netto dei franchi tiratori previsti e con il soccorso di una ventina di ex grillini: troppo poco per rischiare. Il premier sa bene che senza la compattezza delle forze che sostengono il governo si aprirebbe un nodo politico enorme: cosa fare se una serie di ministri non votano il nuovo capo dello Stato? E quindi si mette al lavoro per far tornare a più miti consigli Area Popolare. Ma la mission richiede una serie di passaggi e un turbinio di contatti a tutti i livelli. Se ne incaricano tutti i plenipotenziari di maggior peso, Lorenzo Guerini e Dario Franceschini gli chiedono di offrire «una sponda ad Angelino», Lotti e la Boschi spargono olio per placare le tensioni.
La war room
Dopo pranzo durante il terzo scrutinio Renzi piomba a Montecitorio e si chiude nel salone delle riunioni di governo proprio dietro l’aula con Maurizio Lupi insieme a Guerini, Lotti, Marco Minniti e Matteo Orfini, a dare il senso plastico di una compattezza del suo partito in questo passaggio chiave. Al ministro dei Trasporti vengono rappresentate tutte le controindicazioni di una posizione dura come quella di non partecipare alle votazioni sulla falsariga di quanto annunciato in mattinata da Forza Italia. Fuori intanto fischia la contraerea, in un tweet il renzianissimo Ernesto Carbone lancia l’avvertimento «Attentoallupi», insinuando che «qualcuno di Ncd che mira a fare il sindaco di Milano con Forza Italia sta influenzando il povero Alfano». In Transatlantico il cerchio stretto fiorentino avverte che se Alfano non molla «salta il governo». Nei suoi sfoghi con i suoi, il premier ne ha anche per Berlusconi. «Chi ha voluto i capilista bloccati dell’Italicum? Ora se li dovrà difendere alla Camera...»..
Appena finisce con Lupi lo avvisano che nella stanza accanto c’è Giorgio Napolitano che ha appena votato. Il premier lo va a salutare e si ferma per fare il punto della giornata. E qui, come naturale, arriva l’ultima moral suasion del presidente emerito. Il quale gli suggerisce di non procedere a strappi e di dimostrare disponibilità nei confronti di Alfano e di tutte le forze che compongono l’arco parlamentare. Affinchè tutti possano convergere su una candidatura come quella di Mattarella.
Il precedente di Pertini
Qualche ora prima il premier aveva anche valutato l’ipotesi di chiedere a Mattarella di fare un appello, ricordando il precedente di sandro Pertini, che prima della sua elezione, tra il primo e il secondo scrutinio, fece un appello alla Dc. L’idea viene però poi accantonata per non creare una situazione imbarazzante con un candidato giudice della Consulta. A quel punto Renzi, anche alla luce dei suggerimenti di Napolitano, decide di tendere una mano all’Ncd. Alfano, che nel frattempo aveva parlato al telefono con Napolitano, entra nel corridoio dei ministri e si trova per caso di fronte Renzi.
Il vertice con Alfano
E’ così che parte il vertice più drammatico della giornata. Nella stanza attorno al tavolo restano in cinque: Alfano, Casini e Lupi, Matteo Renzi e Marco Minniti. «Angelino, come fa un ministro dell’Interno a non votare un capo dello Stato? Ti sei messo in un cul de sac, non hai neanche più la maggioranza del tuo partito: metà dei tuoi ci dicono che voteranno lo stesso Mattarella a prescindere». «Dammi il modo di uscirne, lancia un appello», gli chiede Alfano. Renzi ribatte che lo farà, ma largo e rivolto a tutte le forze politiche, per recuperare eventualmente anche Forza Italia. I due si lasciano con la decisione che uscirà una dichiarazione che permetta ad Alfano di rientrare. A quel punto Renzi esce per tornare a Palazzo Chigi, mentre si aggira nel corridoio a chi lo incrocia e gli chiede se stia cercando di recuperare Alfano, risponde sorridendo. «No, non è più quello il problema. Sto cercando di recuperare il cappotto che è scomparso».
Fin dal mattino Renzi è infuriato con Alfano: «Non può stare dentro e fuori, come fa un ministro dell’Interno a non votare il capo dello Stato? Da dieci giorni gli avevo detto che avrei fatto un nome. Non contro di lui. Come poteva pensare che facessi una rosa, così da fare scegliere a lui e a Berlusconi? Non esiste». Il premier non vuole nemmeno vederlo, tantomeno lanciargli una ciambella di salvataggio. È convinto di avere la maggioranza, ma molti lo mettono in guardia, «evitiamo un azzardo è una questione troppo delicata per fare una scommessa». I numeri possono ballare, i calcoli più ottimistici dicono che senza gli alfaniani ci sono 545 voti al netto dei franchi tiratori previsti e con il soccorso di una ventina di ex grillini: troppo poco per rischiare. Il premier sa bene che senza la compattezza delle forze che sostengono il governo si aprirebbe un nodo politico enorme: cosa fare se una serie di ministri non votano il nuovo capo dello Stato? E quindi si mette al lavoro per far tornare a più miti consigli Area Popolare. Ma la mission richiede una serie di passaggi e un turbinio di contatti a tutti i livelli. Se ne incaricano tutti i plenipotenziari di maggior peso, Lorenzo Guerini e Dario Franceschini gli chiedono di offrire «una sponda ad Angelino», Lotti e la Boschi spargono olio per placare le tensioni.
La war room
Dopo pranzo durante il terzo scrutinio Renzi piomba a Montecitorio e si chiude nel salone delle riunioni di governo proprio dietro l’aula con Maurizio Lupi insieme a Guerini, Lotti, Marco Minniti e Matteo Orfini, a dare il senso plastico di una compattezza del suo partito in questo passaggio chiave. Al ministro dei Trasporti vengono rappresentate tutte le controindicazioni di una posizione dura come quella di non partecipare alle votazioni sulla falsariga di quanto annunciato in mattinata da Forza Italia. Fuori intanto fischia la contraerea, in un tweet il renzianissimo Ernesto Carbone lancia l’avvertimento «Attentoallupi», insinuando che «qualcuno di Ncd che mira a fare il sindaco di Milano con Forza Italia sta influenzando il povero Alfano». In Transatlantico il cerchio stretto fiorentino avverte che se Alfano non molla «salta il governo». Nei suoi sfoghi con i suoi, il premier ne ha anche per Berlusconi. «Chi ha voluto i capilista bloccati dell’Italicum? Ora se li dovrà difendere alla Camera...»..
Appena finisce con Lupi lo avvisano che nella stanza accanto c’è Giorgio Napolitano che ha appena votato. Il premier lo va a salutare e si ferma per fare il punto della giornata. E qui, come naturale, arriva l’ultima moral suasion del presidente emerito. Il quale gli suggerisce di non procedere a strappi e di dimostrare disponibilità nei confronti di Alfano e di tutte le forze che compongono l’arco parlamentare. Affinchè tutti possano convergere su una candidatura come quella di Mattarella.
Il precedente di Pertini
Qualche ora prima il premier aveva anche valutato l’ipotesi di chiedere a Mattarella di fare un appello, ricordando il precedente di sandro Pertini, che prima della sua elezione, tra il primo e il secondo scrutinio, fece un appello alla Dc. L’idea viene però poi accantonata per non creare una situazione imbarazzante con un candidato giudice della Consulta. A quel punto Renzi, anche alla luce dei suggerimenti di Napolitano, decide di tendere una mano all’Ncd. Alfano, che nel frattempo aveva parlato al telefono con Napolitano, entra nel corridoio dei ministri e si trova per caso di fronte Renzi.
Il vertice con Alfano
E’ così che parte il vertice più drammatico della giornata. Nella stanza attorno al tavolo restano in cinque: Alfano, Casini e Lupi, Matteo Renzi e Marco Minniti. «Angelino, come fa un ministro dell’Interno a non votare un capo dello Stato? Ti sei messo in un cul de sac, non hai neanche più la maggioranza del tuo partito: metà dei tuoi ci dicono che voteranno lo stesso Mattarella a prescindere». «Dammi il modo di uscirne, lancia un appello», gli chiede Alfano. Renzi ribatte che lo farà, ma largo e rivolto a tutte le forze politiche, per recuperare eventualmente anche Forza Italia. I due si lasciano con la decisione che uscirà una dichiarazione che permetta ad Alfano di rientrare. A quel punto Renzi esce per tornare a Palazzo Chigi, mentre si aggira nel corridoio a chi lo incrocia e gli chiede se stia cercando di recuperare Alfano, risponde sorridendo. «No, non è più quello il problema. Sto cercando di recuperare il cappotto che è scomparso».
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