martedì 20 gennaio 2015

I TEDESCHI CE L'HANNO CON DRAGHI. BUON SEGNO



Il fatto che i tedeschi siano così tanto agitati contro l' ITALIANO Mario Draghi, mi sembra un buon segno sul fatto che l'uomo stia cercando di fare gli interessi dell'Europa e non della capo classe. 
Il problema di fondo, grave, è che l'Unione Europea sta venendo su male, mettendo sempre il carro della moneta e dell'economia (più il primo aspetto del secondo), avanti ai buoi della politica. 
Così non solo non si costruiscono gli Stati Uniti d'Europa, che ancora c'è, poveraccio, chi li vagheggia, ma nessuno una decente confederazione di stati.
Il problema del debito è il nodo gordiano della vicenda, portato in luce dalla persistente crisi economica.
Giovedì Draghi annuncerà le decisioni sul Quantitative Easing e il relativo acquisto diretto di bond statali, e sono in molti a temere che i tedeschi otterranno, pur in minoranza, un provvedimento assai annacquato.
Non credo i mercati la prenderanno bene...


Germania in pressing contro la svolta 
Ma Merkel non tradisce Draghi
 I dubbi di Berlino sull’efficacia e sui rischi della decisione
sull’acquisto dei titoli di Stato
 


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO Angela Merkel non lancerà una campagna contro la Banca centrale europea quando Mario Draghi annuncerà, giovedì, il programma di acquisto di titoli degli Stati dell’eurozona, il cosiddetto Quantitative easing sovrano (QE). Ieri, la Cancelliera ha affermato che la banca centrale «prende le sue decisioni in maniera indipendente». E in serata, durante un discorso ascoltato anche da Draghi, ha rivolto «una preghiera» ai «rappresentanti della Bce»: fare in modo che, qualsiasi iniziativa venga presa, non dia «l’impressione che le cose da fare in materia di bilancio e competitività vengano messe in secondo piano», cioè che sollevino dal fare le riforme i Paesi che si sono impegnati a farle.
È che Frau Merkel ha dei dubbi sull’opportunità di lanciare il QE. Sa però che se minasse la credibilità e l’indipendenza della Bce i rischi per l’euro sarebbero elevati.
Ciò non significa che, alla vigilia della scelta più rilevante nella storia della Bce, tutta la Germania scelga la moderazione e la via del compromesso come la sua Cancelliera. Una parte dell’opinione pubblica, probabilmente maggioritaria, in queste ore è sul piede di guerra. Ci sono le argomentazioni tecniche, quelle politiche e quelle emotive. Le prime sono quelle della Bundesbank, la banca centrale tedesca, che vede l’acquisto di titoli degli Stati come un finanziamento camuffato ai bilanci pubblici da parte della Bce, vietato dai trattati. Il QE, ha inoltre detto un esponente dell’istituzione all’agenzia Reuters , «sarebbe niente di meno che introdurre gli Eurobond dalla finestra»: cioè mettere in comune i debiti dell’eurozona, ipotesi sempre respinta da Berlino.
Giovedì, i due membri tedeschi del Consiglio dei governatori — il presidente della Bundesbank Jens Weidmann e Sabine Lautenschläger — voteranno quasi certamente contro al QE. Cercheranno però di condizionarne la qualità. Non potrebbero accettare un’operazione illimitata da portare avanti fino a che l’obiettivo del ritorno dell’inflazione al 2% (ora è negativa per lo 0,2%) non sarà raggiunto; e si oppongono a un acquisto di titoli il cui rischio sia condiviso dai 19 partner dell’eurozona e non lasciato a ogni Paese. Su questi, che sono elementi centrali per il successo dell’operazione, in queste ore c’è battaglia. Per dire, è intervenuta la managing director del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde: è bene che il QE sia efficiente e preveda la «mutualizzazione» dei rischi — ha detto. In realtà, giovedì Draghi potrebbe annunciare l’acquisto di titoli ma lasciare a una decisione successiva le questioni della quantità e della suddivisione dei rischi. Quest’ultima, in particolare, verrebbe decisa in un secondo tempo dalla Ue — ha indicato ieri il membro del Consiglio esecutivo della Bce Benoît Cœuré.
Sempre in Germania, sul terreno un po’ tecnico e un po’ politico, ieri si è detto contrario al QE anche Norbert Barthle, un deputato vicino al ministro dell’Economia Wolfgang Schäuble: ha sostenuto che, invece di pensare alla stabilità dei prezzi, la Bce fa circolare «sempre più frequentemente misure dubbie» per reflazionare l’economia. Contro all’operazione si sono anche espressi imprenditori grandi e piccoli, banchieri, economisti.
In un commento titolato «No, Dottore Draghi», l’autorevole Frankfurter Allgemeine Zeitung ha messo in dubbio l’efficacia delle operazioni di Quantitative easing condotte negli anni scorsi negli Stati Uniti. Questione non da poco: se nell’eurozona non dovesse funzionare, per ragioni strutturali o perché depotenziato politicamente, per la Bce si tratterebbe di un duro colpo.
Sul versante dell’emotività, infine, il quotidiano popolare Bild ieri sosteneva che se il piano di Draghi andrà avanti l’euro sarà «svalutato drammaticamente». E una parte consistente dell’opinione pubblica tedesca guarda con preoccupazione al fatto che la Bundesbank — una delle istituzioni più rispettate e tenute in considerazione nel Paese — sia in minoranza nella Bce e non riesca a fare passare la sua cultura della stabilità finanziaria. Al momento della formazione della moneta unica, alla Germania era stato garantito che la Bce sarebbe stata la Bundesbank dell’euro. «Oggi scopriamo che in realtà è la Banca d’Italia dell’euro», diceva ieri un funzionario del governo riferendosi al passato di scarsi successi della Penisola contro l’inflazione (e alla nazionalità di Mario Draghi). Germania in tensione. Frau Merkel, finora, con i nervi saldi. 

 Danilo Taino

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