In una giornata dove la cronaca non mi ispira nulla, mi butto sulla cronaca che propone la solita lite interna al PD. Obiettivamente, non propriamente una notizia. Sull'Italicum 29 senatori, guidati da Gotor (l'uomo che la sera delle elezioni politiche del 2013 aveva un principio di infarto da vittoria scontata e sfumata), non hanno votato la relazione del segretario Premier, annunciando che se il testo resta così loro non lo voteranno nemmeno in Senato. A quel punto ci sarà bisogno del soccorso dell'opposizione, azzurra od ortottera che sia.
Non propria una buona cosa per Renzino.
Quanto alla legge che sta venendo fuori, non mi infervora il problema (non so quanto strumentale o reale) delle preferenze e delle liste bloccate. Entrambi hanno le loro controindicazioni. Certo, in linea meramente astratta, scegliere direttamente i propri rappresentanti ( oddio, sempre attenendosi a liste predisposte da altri) sembrerebbe decisamente più consono ai principi democratici, però sappiamo come in realtà questa cosa si tramuti in mercati assai maleodoranti, quando non proprio criminali. D'altro canto, le liste parzialmente bloccate (i capilista ? ) non mi pare risolvano il problema della "fedeltà" al partito, ché mai come in queste ultime legislature si è assistito a vergognose transumanze da uno schieramento all'altro, magari cercando di non sputtanarsi troppo parcheggandosi nel cd. gruppo misto. Piuttosto, rispetto alla questione del premio di maggioranza, che condivido ma senza il totale stravolgimento del principio di rappresentanza, avrei introdotto un quorum di votanti, oltre che di percentuali, per accedervi. Il nuovo Italicum (questo è il secondo, diverso da quello approvato parecchi mesi fa dalla Camera, e vedremo se sarà l'ultimo...) prevede il premio alla lista ( e NON alla coalizione) per il partito che raggiunge almeno il 40% dei voti, assegnandogli il 55% dei deputati. Premio ricco ma mi potrebbe andar bene (prima bastava il 37...), tanto più che restringere l'attribuzione del bonus al singolo partito anziché alla coalizione qualifica, rende più difficile, e quindi più qualificata, la quota di voti raggiunta. Solo che dovremmo stabilire anche un quorum minimo di votanti, che non dovrebbero essere inferiori al 70% degli aventi diritto. Ma MINIMO il 70%. In caso contrario, mica che non si forma il Parlamento, però niente bonus, ma attribuzione proporzionale dei seggi. Insomma, va bene truccare un po' le carte, in nome della governabilità, però non è possibile che, come accade per esempio a Roma, Marino governi da despota con nemmeno il voto di un romano su 4 !!
Il discorso non vale dunque solo per il bonus per il 40%, (che attualmente pure per il PD è miraggio !) anche per il ballottaggio e sarebbe principio da estendere anche alle altre elezioni, quelle per Regioni e Comuni, dove in vari casi (abbiamo citato Roma, ma potremmo menzionare la Sicilia, il Friuli, recentemente la Sardegna) dove i votanti sono stati anche meno del 50% (!!??!!), con un vincitore che con meno del 25% dei voti complessivi ha conquistato oltre il 50% dei seggi.
Se non esiste una forza politica in grado di convogliare su di se il voto di almeno il 30% (un terzo !!!, solo un terzo !!) degli elettori, ebbene allora ci si rassegni al fatto che governare da soli NON è democrazia, e si facciano delle alleanze, come avviene in tutto il mondo.
Insomma, maggioritario sì, dittatura degli "optimates" (pure cara a taluni amici) truccata no.
In mattinata il leader del centrosinistra aveva incontrato Berlusconi a Palazzo Chigi
Sull'«Italicum» è guerra nel Pd
Sì alla linea Renzi, ma in 29 disertano
La minoranza guidata dal bersaniano Gotor lascia Palazzo Madama dopo l'ultimatum del premier: «Questo non è un voto di coscienza, si voti la mia relazione»
Silvio Berlusconi all'arrivo a Palazzo Chigi (Ansa)
Matteo Renzi incassa
il via libera sull'Italicum dall'assemblea dei senatori del Pd e
andandosene, dopo l'incontro a Palazzo Madama, ostenta soddisfazione
(«Sono molto soddisfatto», taglia corto con i cronisti che gli chiedono
un'opinione a caldo). Ma da segretario deve fare i conti con una
frattura sempre più evidente con una parte del suo partito: 29 senatori,
guidati dal bersaniano Michele Gotor,
non hanno voluto prendere parte alla votazione dopo aver sentito il
premier pronunciare una sorta di ultimatum: «Questo non è un voto di
coscienza - aveva detto -. Ne abbiamo discusso, ora dobbiamo essere
uniti. Tutti votino la mia relazione». Il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi,
minimizza: «I numeri ci sono, andiamo tranquilli. Mi aspetto però che i
29 ci ripensino e in aula votino secondo le indicazioni del gruppo».
Non sarà così, perlomeno stando alle parole affidate poco dopo dallo
stesso Gotor alle agenzie di stampa: «Con i capilista bloccati noi non
voteremo l'Italiacum. Vorrà dire che Renzi lo approverà con il voto di
Verdini e Berlusconi».
Aspettando Forza Italia
In
mattinata il premier aveva incontrato per circa un'ora a Palazzo Chigi
il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi. Nell'incontro, ha spiegato
il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini,
che vi ha preso parte «non si è parlato di Quirinale», come invece si
era ipotizzato vista l'imminenza della votazione. Si è invece discusso
di legge elettorale e della necessità di concludere il percorso iniziato
un anno fa con il «Patto del Nazareno». «Abbiamo ribadito a Forza
Italia la nostra posizione - ha detto Guerini ai giornalisti -.
Posizione che prevede il no alle liste boccate e un meccanismo con
capilista e preferenze. Attendiamo ora una risposta da Forza Italia».
Proprio questo filo diretto con l'ex Cavaliere aveva indispettito la
minoranza: «Ormai per Renzi la discussione è solo con Berlusconi. Con
noi, invece, nessuna trattativa». Il leader di Forza Italia, dal canto
suo, dopo l'incontro è tornato a Palazzo Grazioli per fare il punto con
i suoi fedelissimi. Secondo le prime indiscrezioni, avrebbe chiesto al
partito di tenere fede al Patto del Nazareno e avrebbe annunciato un
prossimo incontro, nei prossimi giorni, con Renzi per discutere
espressamente dell'elezione del nuovo presidente della Repubblica.
«Garanzia anti-inciuci»
Era
stato lo stesso Renzi, prima dell'incontro con Berlusconi, ad
anticipare via Twitter la posizione della segreteria del Nazareno sulla
legge elettorale. «Con l'Italicum preferenze e singoli candidati di
collegio. Spariscono le liste bloccate. Ballottaggio è garanzia
anti-inciucio». Un messaggio che per la tempistica è sembrato a molti un
messaggio a Berlusconi sulla determinazione a non cedere alle pressioni
interne e a non apportare ulteriori modifiche al testo, in aggiunta a
quelle già operate negli ultimi mesi con il passaggio dal 37 al 40%
della soglia per far scattare il premio di maggioranza, l'assegnazione
dello stesso alla lista e non alla coalizione e l'abbassamento al 3%
della soglia di accesso in Parlamento, prima stabilita all'8% per le
forze non coalizzate.
Botta e risposta con Meloni
Il
tweet di Renzi non era passato inosservato: ritwittato e commentato,
aveva dato modo al capo del governo di replicare e di precisare alcuni
punti che gli stanno particolarmente a cuore: «Noi vogliamo evitare le
liste bloccate (previste dal "Porcellum" con cui si è votato nelle
ultime tre consultazioni, nda).
Candidato di collegio ovunque e massimo due preferenze». «Nella nostra
proposta alla lista (il premio di maggioranza, nda). Così sparisce il
potere di veto dei partiti più piccoli». E poi una risposta a Giorgia Meloni,
che gli aveva fatto notare che «con i capilista bloccati 2/3 dei
deputati saranno ancora nominati dai partiti»: «La nostra legge si basa
su preferenze e candidati di collegio. Cancella le liste bloccate che
avevate votato voi, ricordi?». E ancora Meloni: «Mai votato liste
bloccate, io. Tu si: la tua proposta fa nominare dai partiti il 70% dei
deputati. Il resto sono chiacchiere». Poi la leader di Fratelli d'Italia
ha chiesto ufficialmente un incontro al capo del governo per illustrare
una proposta sulla riduzione del numero dei «nominati».
La partita del Quirinale
In un primo tempo si era pensato che il vertice a Palazzo Chigi
potesse vertere anche sul Quirinale, considerando che proprio ieri a
Milano lo stesso Berlusconi aveva trovato un’intesa con il leader del Nuovo Centrodestra, Angelino Alfano,
sul profilo del nuovo inquilino del Colle che, hanno puntualizzato,
«non dovrà essere esponente del Pd». Una linea che sul principio ma non
ancora sui nomi (sono stati fatti quelli di Amato e Casini) troverebbe
d’accordo anche il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini,
che ha più volte ribadito di non volere più «un candidato di sinistra».
E che crea ulteriori fibrillazioni all’interno del Pd, dove il fronte
dei bersaniani e della minoranza di sinistra continua a fare quadrato
attorno al nome di Romano Prodi (lo ha ribadito lo stesso Pierluigi Bersani
intervenendo ieri sera su La7), evocando la possibilità di una diversa
maggioranza «quirinalizia» che coinvolga non Forza Italia bensì Sel e
il Movimento 5 Stelle.
«Non gioco con Alfano e Cicchitto»
A
destra in ogni caso non si può ancora parlare di unità di intenti. Lo
stesso Salvini, oggi fuori di sè per la decisione della Consulta di
considerare inammissibile il referendum per l'abolizione della legge
Fornero, mantiene le distanze da Berlusconi: «Se lo avessi visto gli
avrei chiesto un centrocampista e due difensori per il Milan - ha detto
in un’intervista al Corriere della Sera
sui suoi rapporti con il leader forzista -. Qui però non ci perdiamo
due partite: ci stiamo perdendo una generazione». Anche se gli ultimi
sondaggi premierebbero un asse tra gli azzurri e la Lega, spiega
Salvini, «conta la credibilità». «E io - aggiunge - non sono disposto a
giocarmi quella della Lega. Se Berlusconi intende proporci un’altra
volta gli Alfano e i Cicchitto, noi non giochiamo quella partita». E
ancora: «Il punto è non fare basse operazioni di potere. Non si tratta
solo del fatto che i voti della Lega non siano sommabili a quelli di
Alfano. Il fatto è che Forza Italia continua ad essere un aiuto per il
governo».
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