martedì 20 gennaio 2015

SPACCATURA PD SULL'ITALICUM. NON PROPRIAMENTE UNA NOTIZIA...

 


In una giornata dove la cronaca non mi ispira nulla, mi butto sulla cronaca che propone la solita lite interna al PD. Obiettivamente, non propriamente una notizia. Sull'Italicum 29 senatori, guidati da Gotor (l'uomo che la sera delle elezioni politiche del 2013 aveva un principio di infarto da vittoria scontata e sfumata), non hanno votato la relazione del segretario Premier, annunciando che se il testo resta così loro non lo voteranno nemmeno in Senato. A quel punto ci sarà bisogno del soccorso dell'opposizione, azzurra od ortottera che sia.
Non propria una buona cosa per Renzino.
Quanto alla legge che sta venendo fuori, non mi infervora il problema (non so quanto strumentale o reale) delle preferenze e delle liste bloccate. Entrambi hanno le loro controindicazioni. Certo, in linea meramente astratta, scegliere direttamente i propri rappresentanti ( oddio, sempre attenendosi a liste predisposte da altri) sembrerebbe decisamente più consono ai principi democratici, però sappiamo come in realtà questa cosa si tramuti in mercati assai maleodoranti, quando non proprio criminali. D'altro canto, le liste parzialmente bloccate (i capilista ? ) non mi pare risolvano il problema della "fedeltà" al partito, ché mai come in queste ultime legislature si è assistito a vergognose transumanze da uno schieramento all'altro, magari cercando di non sputtanarsi troppo parcheggandosi nel cd. gruppo misto.  Piuttosto, rispetto alla questione del premio di maggioranza, che condivido ma senza il totale stravolgimento del principio di rappresentanza, avrei introdotto un quorum di votanti, oltre che di percentuali, per accedervi. Il nuovo Italicum (questo è il secondo, diverso da quello approvato parecchi mesi fa dalla Camera, e vedremo se sarà l'ultimo...) prevede il premio alla lista ( e NON alla coalizione) per il partito che raggiunge almeno il 40% dei voti, assegnandogli il 55% dei deputati. Premio ricco ma mi potrebbe andar bene (prima bastava il 37...), tanto più che restringere l'attribuzione del bonus al singolo partito anziché alla coalizione qualifica, rende  più difficile, e quindi più qualificata, la quota di voti raggiunta.  Solo che dovremmo stabilire anche un quorum minimo di votanti, che non dovrebbero essere inferiori al 70% degli aventi diritto. Ma MINIMO il 70%. In caso contrario, mica che non si forma il Parlamento, però niente bonus, ma attribuzione proporzionale dei seggi. Insomma, va bene truccare un po' le carte, in nome della governabilità, però non è possibile che, come accade per esempio a Roma, Marino governi da despota con nemmeno il voto di un romano su 4 !!
Il discorso non vale dunque solo per il bonus per il 40%, (che attualmente pure per il PD è miraggio !)  anche per il ballottaggio e sarebbe principio da estendere anche alle altre elezioni, quelle per Regioni e Comuni, dove in vari casi (abbiamo citato Roma, ma potremmo menzionare la Sicilia, il Friuli, recentemente la Sardegna) dove i votanti sono stati anche meno del 50% (!!??!!), con un vincitore che con meno del 25% dei voti complessivi ha conquistato oltre il 50% dei seggi.
Se non esiste una forza politica in grado di convogliare su di se il voto di almeno il 30% (un terzo !!!, solo un terzo !!) degli elettori, ebbene allora ci si rassegni al fatto che governare da soli NON è democrazia, e si facciano delle alleanze, come avviene in tutto il mondo.
Insomma, maggioritario sì, dittatura degli "optimates" (pure cara a taluni amici) truccata no.



Sull'«Italicum» è guerra nel Pd
Sì alla linea Renzi, ma in 29 disertano

La minoranza guidata dal bersaniano Gotor lascia Palazzo Madama dopo l'ultimatum del premier: «Questo non è un voto di coscienza, si voti la mia relazione»



Silvio Berlusconi  all'arrivo  a Palazzo Chigi  (Ansa) Silvio Berlusconi all'arrivo a Palazzo Chigi (Ansa)
 
Matteo Renzi incassa il via libera sull'Italicum dall'assemblea dei senatori del Pd e andandosene, dopo l'incontro a Palazzo Madama, ostenta soddisfazione («Sono molto soddisfatto», taglia corto con i cronisti che gli chiedono un'opinione a caldo). Ma da segretario deve fare i conti con una frattura sempre più evidente con una parte del suo partito: 29 senatori, guidati dal bersaniano Michele Gotor, non hanno voluto prendere parte alla votazione dopo aver sentito il premier pronunciare una sorta di ultimatum: «Questo non è un voto di coscienza - aveva detto -. Ne abbiamo discusso, ora dobbiamo essere uniti. Tutti votino la mia relazione». Il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, minimizza: «I numeri ci sono, andiamo tranquilli. Mi aspetto però che i 29 ci ripensino e in aula votino secondo le indicazioni del gruppo». Non sarà così, perlomeno stando alle parole affidate poco dopo dallo stesso Gotor alle agenzie di stampa: «Con i capilista bloccati noi non voteremo l'Italiacum. Vorrà dire che Renzi lo approverà con il voto di Verdini e Berlusconi».
Aspettando Forza Italia
In mattinata il premier aveva incontrato per circa un'ora a Palazzo Chigi il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi. Nell'incontro, ha spiegato il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, che vi ha preso parte «non si è parlato di Quirinale», come invece si era ipotizzato vista l'imminenza della votazione. Si è invece discusso di legge elettorale e della necessità di concludere il percorso iniziato un anno fa con il «Patto del Nazareno». «Abbiamo ribadito a Forza Italia la nostra posizione - ha detto Guerini ai giornalisti -. Posizione che prevede il no alle liste boccate e un meccanismo con capilista e preferenze. Attendiamo ora una risposta da Forza Italia». Proprio questo filo diretto con l'ex Cavaliere aveva indispettito la minoranza: «Ormai per Renzi la discussione è solo con Berlusconi. Con noi, invece, nessuna trattativa». Il leader di Forza Italia, dal canto suo, dopo l'incontro è tornato a Palazzo Grazioli per fare il punto con i suoi fedelissimi. Secondo le prime indiscrezioni, avrebbe chiesto al partito di tenere fede al Patto del Nazareno e avrebbe annunciato un prossimo incontro, nei prossimi giorni, con Renzi per discutere espressamente dell'elezione del nuovo presidente della Repubblica.
«Garanzia anti-inciuci»
Era stato lo stesso Renzi, prima dell'incontro con Berlusconi, ad anticipare via Twitter la posizione della segreteria del Nazareno sulla legge elettorale. «Con l'Italicum preferenze e singoli candidati di collegio. Spariscono le liste bloccate. Ballottaggio è garanzia anti-inciucio». Un messaggio che per la tempistica è sembrato a molti un messaggio a Berlusconi sulla determinazione a non cedere alle pressioni interne e a non apportare ulteriori modifiche al testo, in aggiunta a quelle già operate negli ultimi mesi con il passaggio dal 37 al 40% della soglia per far scattare il premio di maggioranza, l'assegnazione dello stesso alla lista e non alla coalizione e l'abbassamento al 3% della soglia di accesso in Parlamento, prima stabilita all'8% per le forze non coalizzate.
Botta e risposta con Meloni
Il tweet di Renzi non era passato inosservato: ritwittato e commentato, aveva dato modo al capo del governo di replicare e di precisare alcuni punti che gli stanno particolarmente a cuore: «Noi vogliamo evitare le liste bloccate (previste dal "Porcellum" con cui si è votato nelle ultime tre consultazioni, nda). Candidato di collegio ovunque e massimo due preferenze». «Nella nostra proposta alla lista (il premio di maggioranza, nda). Così sparisce il potere di veto dei partiti più piccoli». E poi una risposta a Giorgia Meloni, che gli aveva fatto notare che «con i capilista bloccati 2/3 dei deputati saranno ancora nominati dai partiti»: «La nostra legge si basa su preferenze e candidati di collegio. Cancella le liste bloccate che avevate votato voi, ricordi?». E ancora Meloni: «Mai votato liste bloccate, io. Tu si: la tua proposta fa nominare dai partiti il 70% dei deputati. Il resto sono chiacchiere». Poi la leader di Fratelli d'Italia ha chiesto ufficialmente un incontro al capo del governo per illustrare una proposta sulla riduzione del numero dei «nominati».
La partita del Quirinale
In un primo tempo si era pensato che il vertice a Palazzo Chigi potesse vertere anche sul Quirinale, considerando che proprio ieri a Milano lo stesso Berlusconi aveva trovato un’intesa con il leader del Nuovo Centrodestra, Angelino Alfano, sul profilo del nuovo inquilino del Colle che, hanno puntualizzato, «non dovrà essere esponente del Pd». Una linea che sul principio ma non ancora sui nomi (sono stati fatti quelli di Amato e Casini) troverebbe d’accordo anche il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, che ha più volte ribadito di non volere più «un candidato di sinistra». E che crea ulteriori fibrillazioni all’interno del Pd, dove il fronte dei bersaniani e della minoranza di sinistra continua a fare quadrato attorno al nome di Romano Prodi (lo ha ribadito lo stesso Pierluigi Bersani intervenendo ieri sera su La7), evocando la possibilità di una diversa maggioranza «quirinalizia» che coinvolga non Forza Italia bensì Sel e il Movimento 5 Stelle.
«Non gioco con Alfano e Cicchitto»
A destra in ogni caso non si può ancora parlare di unità di intenti. Lo stesso Salvini, oggi fuori di sè per la decisione della Consulta di considerare inammissibile il referendum per l'abolizione della legge Fornero, mantiene le distanze da Berlusconi: «Se lo avessi visto gli avrei chiesto un centrocampista e due difensori per il Milan - ha detto in un’intervista al Corriere della Sera sui suoi rapporti con il leader forzista -. Qui però non ci perdiamo due partite: ci stiamo perdendo una generazione». Anche se gli ultimi sondaggi premierebbero un asse tra gli azzurri e la Lega, spiega Salvini, «conta la credibilità». «E io - aggiunge - non sono disposto a giocarmi quella della Lega. Se Berlusconi intende proporci un’altra volta gli Alfano e i Cicchitto, noi non giochiamo quella partita». E ancora: «Il punto è non fare basse operazioni di potere. Non si tratta solo del fatto che i voti della Lega non siano sommabili a quelli di Alfano. Il fatto è che Forza Italia continua ad essere un aiuto per il governo».

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