Quest'anno, il giorno della memoria coincide coi 70 anni dalla liberazione del campo più tragicamente famoso ed emblematico dello sterminio ebraico, Auschwitz.
Riporto due testimonianze. La prima è il testo di una lettera scritta da Primo Levi ad un bambina di 11 anni che gli chiedeva come fosse possibile che i tedeschi fossero così malvagi...
La seconda, è il discorso pronunciato da Bernard Henry Levy all'ONU in questa occasione.
Buona Lettura
Cara Monica,
la domanda che mi poni, sulla crudeltà dei tedeschi, ha dato molto filo da torcere agli storici. A mio parere, sarebbe assurdo accusare tutti i tedeschi di allora; ed è ancora più assurdo coinvolgere nell’accusa i tedeschi di oggi. È però certo che una grande maggioranza del popolo tedesco ha accettato Hitler, ha votato per lui, lo ha approvato ed applaudito, finché ha avuto successi politici e militari; eppure, molti tedeschi, direttamente o indirettamente, avevano pur dovuto sapere cosa avveniva, non solo nei Lager, ma in tutti i territori occupati, e specialmente in Europa Orientale. Perciò, piuttosto che di crudeltà, accuserei i tedeschi di allora di egoismo, di indifferenza, e soprattutto di ignoranza volontaria, perché chi voleva veramente conoscere la verità poteva conoscerla, e farla conoscere, anche senza correre eccessivi rischi. La cosa più brutta vista in Lager credo sia proprio la selezione che ho descritta nel libro che conosci.
Ti ringrazio per avermi scritto e per l’invito a venire nella tua scuola, ma in questo periodo sono molto occupato, e mi sarebbe impossibile accettare. Ti saluto con affetto
Primo Levi
Smascheriamo l’antisemitismo per contrastare tutti i genocidi
Un appello all’Onu: l’orrore di ieri è direttamente collegato a quelli di oggi
Se mi avete invitato qui oggi non è per cantare l’onore e la grandezza dell’umanità,
ma per piangere, purtroppo, i progressi di quella inumanità radicale,
di quella bassezza che si chiama antisemitismo. A Bruxelles, pochi mesi
orsono, sono stati attaccati la memoria ebraica e i guardiani di questa
memoria. A Parigi, solo qualche giorno fa, abbiamo sentito ancora una
volta il grido infame «A morte gli ebrei» e i disegnatori sono stati
assassinati perché disegnavano, i poliziotti per il loro lavoro e gli
ebrei perché facevano la spesa e semplicemente erano ebrei. In altre
capitali, in Europa e altrove, la stigmatizzazione degli ebrei sta
ridiventando la parola d’ordine di una nuova setta di assassini, a meno
che non sia la stessa, sotto altre vesti.
La vostra Casa è stata edificata contro tutto questo.
La vostra Assemblea aveva il sacro compito di scongiurare il risveglio
dei terribili spiriti dell’antisemitismo. Ma essi sono di ritorno, e
perciò siamo qui.
L’antisemitismo di oggi dice tre cose. Può
operare su vasta scala solo se riesce a proferire e ad articolare tre
enunciati odiosi, ma inediti, e che il XX secolo non è riuscito a
squalificare.
1. Gli ebrei sarebbero esecrabili perché
sostenitori di uno Stato malvagio, illegittimo e assassino: è il
delirio antisionista di chi è spietatamente contrario al ritorno degli
ebrei nella loro terra storica.
2. Gli ebrei sarebbero tanto più esecrabili
in quanto fonderebbero il loro amato Paese su una sofferenza
immaginaria o, perlomeno, esagerata: è l’ignobile, l’atroce negazione
della Shoah.
3. Infine, commetterebbero un terzo e ultimo crimine che
li renderebbe ancora più detestabili; crimine che consisterebbe —
evocando essi instancabilmente la memoria dei loro morti — nel soffocare
le altre memorie, nel mettere a tacere gli altri morti, nell’eclissare
gli altri martiri che gettano nel lutto il mondo odierno, e di cui il
caso più emblematico sarebbe quello dei palestinesi: qui ci avviciniamo a
quella imbecillità, a quella lebbra che si chiama competizione tra le
vittime.
Il nuovo antisemitismo ha bisogno di questi tre enunciati. È
come una bomba atomica morale con tre componenti. Riconoscerlo
significa cominciare a vedere quel che vi spetta fare per lottare contro
questa calamità.
Immaginiamo una Assemblea generale delle Nazioni Unite dove
Israele abbia il suo posto, tutto il suo posto, quello di un Paese come
gli altri, né più né meno colpevole di altri, con gli stessi doveri ma
anche gli stessi diritti; e immaginiamo che gli si renda giustizia
riconoscendogli, intanto, di essere ciò che è veramente: una autentica,
solida e valida democrazia. Immaginiamo una Assemblea generale delle
Nazioni Unite che, fedele al proprio patto fondatore, diventi la
scrupolosa guardiana della memoria del peggiore genocidio mai concepito
da quando esiste l’uomo. Immaginiamo che nel 2015, sotto la vostra egida
e con l’aiuto delle più alte personalità scientifiche mondiali, si
tenga la più completa, la più esauriente, la più definitiva delle
conferenze mai riunite finora sul tentativo di distruzione degli ebrei.
Proviamo poi a sognare che da
qualche parte, a New York, a Ginevra o a Gerusalemme, si tenga una
seconda conferenza da dedicare a tutte le guerre dimenticate che
affliggono le terre abitate, ma di cui non si parla mai perché non
rientrano nel quadro dei blocchi, o dei gruppi, fra cui vi dividete. E
che questa seconda conferenza, contraddicendo lo stupido e mostruoso
pregiudizio secondo cui in un cuore c’è posto soltanto per un’unica
compassione, riveli quella che è stata l’autentica verità dei decenni
trascorsi: è quando si aveva nel cuore la Shoah che subito si vedeva
l’orrore della pulizia etnica in Bosnia; è quando si aveva in mente quel
campione dell’inumano che fu il massacro pianificato degli ebrei
d’Europa che si capiva immediatamente quel che accadeva in Ruanda o nel
Darfur. Insomma, lungi dal renderci ciechi davanti ai tormenti degli
altri popoli, la volontà di non dimenticare nulla del tormento del
popolo ebraico è ciò che rende rilevante, evidente, l’immensa afflizione
dei popoli del Burundi, dell’Angola, del Congo, e di altri ancora.
Adottando questo programma,
lotterete contro l’antisemitismo reale. Riabilitando l’Israele,
avvalendovi della vostra autorità per far tacere, una buona volta, i
cretini negazionisti e andando in aiuto dei nuovi dannati della terra
immolati sull’altare dell’ideologia antisionista, smantellerete una ad
una ogni componente del nuovo antisemitismo. Al tempo stesso,
difenderete la causa dell’umanità.
Non sarei qui se non pensassi che questa sede sia uno degli unici luoghi al mondo, forse il solo, dove possa orchestrarsi la solidarietà degli ebranlés,
dei percossi, di cui parlava il grande filosofo cèco Jan Patocka e che
ha rappresentato il senso della mia vita. Quando, nel mio Paese, le più
alte autorità dicono: «La Francia senza i suoi ebrei non sarebbe più la
Francia», esse erigono una diga contro l’infamia. E quando, nello stesso
Paese, un capo di Stato e di governo su quattro vengono a sfilare per
dire «Io sono Charlie, io sono poliziotto, io sono ebreo», alimentano
una speranza su cui non contavamo più.
La vostra stessa presenza qui,
stamattina, la vostra volontà di rendere questo evento possibile e,
forse, memorabile, attestano che in tutti i continenti, in tutte le
culture e in tutte le civiltà si comincia a prendere coscienza che la
lotta contro l’antisemitismo è un obbligo per tutti: è una grande e
bella notizia.
Quando si colpisce un ebreo,
diceva un altro scrittore, è l’umanità intera a essere gettata a terra.
Un mondo senza ebrei non sarebbe più un mondo: un mondo in cui gli ebrei
ricominciassero a essere i capri espiatori di tutte le paure e di tutte
le frustrazioni dei popoli sarebbe un mondo dove gli uomini liberi
respirerebbero meno bene e dove gli uomini sottomessi lo sarebbero
ancora di più. Sta a voi, adesso, prendere la parola e agire.
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