martedì 27 gennaio 2015

LETTURE NEL GIORNO DELLA MEMORIA



Quest'anno, il giorno della memoria coincide coi 70 anni dalla liberazione del campo più tragicamente famoso ed emblematico dello sterminio ebraico, Auschwitz.
Riporto due testimonianze. La prima è il testo di una lettera scritta da Primo Levi ad un bambina di 11 anni che gli chiedeva come fosse possibile che i tedeschi fossero così malvagi...
La seconda, è il discorso pronunciato da Bernard Henry Levy all'ONU in questa occasione.
Buona Lettura


Cara Monica,  
la domanda che mi poni, sulla crudeltà dei tedeschi, ha dato molto filo da torcere agli storici. A mio parere, sarebbe assurdo accusare tutti i tedeschi di allora; ed è ancora più assurdo coinvolgere nell’accusa i tedeschi di oggi. È però certo che una grande maggioranza del popolo tedesco ha accettato Hitler, ha votato per lui, lo ha approvato ed applaudito, finché ha avuto successi politici e militari; eppure, molti tedeschi, direttamente o indirettamente, avevano pur dovuto sapere cosa avveniva, non solo nei Lager, ma in tutti i territori occupati, e specialmente in Europa Orientale. Perciò, piuttosto che di crudeltà, accuserei i tedeschi di allora di egoismo, di indifferenza, e soprattutto di ignoranza volontaria, perché chi voleva veramente conoscere la verità poteva conoscerla, e farla conoscere, anche senza correre eccessivi rischi. La cosa più brutta vista in Lager credo sia proprio la selezione che ho descritta nel libro che conosci.  
Ti ringrazio per avermi scritto e per l’invito a venire nella tua scuola, ma in questo periodo sono molto occupato, e mi sarebbe impossibile accettare. Ti saluto con affetto  
Primo Levi 



Smascheriamo l’antisemitismo per contrastare tutti i genocidi

Un appello all’Onu: l’orrore di ieri è direttamente collegato a quelli di oggi

di Bernard-Henri Lévy

 
Ebrei deportati nel 1943 (foto Archivio Corriere della Sera)
Ebrei deportati nel 1943 (foto Archivio Corriere della Sera)
 
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Se mi avete invitato qui oggi non è per cantare l’onore e la grandezza dell’umanità, ma per piangere, purtroppo, i progressi di quella inumanità radicale, di quella bassezza che si chiama antisemitismo. A Bruxelles, pochi mesi orsono, sono stati attaccati la memoria ebraica e i guardiani di questa memoria. A Parigi, solo qualche giorno fa, abbiamo sentito ancora una volta il grido infame «A morte gli ebrei» e i disegnatori sono stati assassinati perché disegnavano, i poliziotti per il loro lavoro e gli ebrei perché facevano la spesa e semplicemente erano ebrei. In altre capitali, in Europa e altrove, la stigmatizzazione degli ebrei sta ridiventando la parola d’ordine di una nuova setta di assassini, a meno che non sia la stessa, sotto altre vesti.
La vostra Casa è stata edificata contro tutto questo. La vostra Assemblea aveva il sacro compito di scongiurare il risveglio dei terribili spiriti dell’antisemitismo. Ma essi sono di ritorno, e perciò siamo qui.
L’antisemitismo di oggi dice tre cose. Può operare su vasta scala solo se riesce a proferire e ad articolare tre enunciati odiosi, ma inediti, e che il XX secolo non è riuscito a squalificare.
1. Gli ebrei sarebbero esecrabili perché sostenitori di uno Stato malvagio, illegittimo e assassino: è il delirio antisionista di chi è spietatamente contrario al ritorno degli ebrei nella loro terra storica.
2. Gli ebrei sarebbero tanto più esecrabili in quanto fonderebbero il loro amato Paese su una sofferenza immaginaria o, perlomeno, esagerata: è l’ignobile, l’atroce negazione della Shoah.
3. Infine, commetterebbero un terzo e ultimo crimine che li renderebbe ancora più detestabili; crimine che consisterebbe — evocando essi instancabilmente la memoria dei loro morti — nel soffocare le altre memorie, nel mettere a tacere gli altri morti, nell’eclissare gli altri martiri che gettano nel lutto il mondo odierno, e di cui il caso più emblematico sarebbe quello dei palestinesi: qui ci avviciniamo a quella imbecillità, a quella lebbra che si chiama competizione tra le vittime.
Il nuovo antisemitismo ha bisogno di questi tre enunciati. È come una bomba atomica morale con tre componenti. Riconoscerlo significa cominciare a vedere quel che vi spetta fare per lottare contro questa calamità.
Immaginiamo una Assemblea generale delle Nazioni Unite dove Israele abbia il suo posto, tutto il suo posto, quello di un Paese come gli altri, né più né meno colpevole di altri, con gli stessi doveri ma anche gli stessi diritti; e immaginiamo che gli si renda giustizia riconoscendogli, intanto, di essere ciò che è veramente: una autentica, solida e valida democrazia. Immaginiamo una Assemblea generale delle Nazioni Unite che, fedele al proprio patto fondatore, diventi la scrupolosa guardiana della memoria del peggiore genocidio mai concepito da quando esiste l’uomo. Immaginiamo che nel 2015, sotto la vostra egida e con l’aiuto delle più alte personalità scientifiche mondiali, si tenga la più completa, la più esauriente, la più definitiva delle conferenze mai riunite finora sul tentativo di distruzione degli ebrei.
Proviamo poi a sognare che da qualche parte, a New York, a Ginevra o a Gerusalemme, si tenga una seconda conferenza da dedicare a tutte le guerre dimenticate che affliggono le terre abitate, ma di cui non si parla mai perché non rientrano nel quadro dei blocchi, o dei gruppi, fra cui vi dividete. E che questa seconda conferenza, contraddicendo lo stupido e mostruoso pregiudizio secondo cui in un cuore c’è posto soltanto per un’unica compassione, riveli quella che è stata l’autentica verità dei decenni trascorsi: è quando si aveva nel cuore la Shoah che subito si vedeva l’orrore della pulizia etnica in Bosnia; è quando si aveva in mente quel campione dell’inumano che fu il massacro pianificato degli ebrei d’Europa che si capiva immediatamente quel che accadeva in Ruanda o nel Darfur. Insomma, lungi dal renderci ciechi davanti ai tormenti degli altri popoli, la volontà di non dimenticare nulla del tormento del popolo ebraico è ciò che rende rilevante, evidente, l’immensa afflizione dei popoli del Burundi, dell’Angola, del Congo, e di altri ancora.
Adottando questo programma, lotterete contro l’antisemitismo reale. Riabilitando l’Israele, avvalendovi della vostra autorità per far tacere, una buona volta, i cretini negazionisti e andando in aiuto dei nuovi dannati della terra immolati sull’altare dell’ideologia antisionista, smantellerete una ad una ogni componente del nuovo antisemitismo. Al tempo stesso, difenderete la causa dell’umanità.
Non sarei qui se non pensassi che questa sede sia uno degli unici luoghi al mondo, forse il solo, dove possa orchestrarsi la solidarietà degli ebranlés, dei percossi, di cui parlava il grande filosofo cèco Jan Patocka e che ha rappresentato il senso della mia vita. Quando, nel mio Paese, le più alte autorità dicono: «La Francia senza i suoi ebrei non sarebbe più la Francia», esse erigono una diga contro l’infamia. E quando, nello stesso Paese, un capo di Stato e di governo su quattro vengono a sfilare per dire «Io sono Charlie, io sono poliziotto, io sono ebreo», alimentano una speranza su cui non contavamo più.
La vostra stessa presenza qui, stamattina, la vostra volontà di rendere questo evento possibile e, forse, memorabile, attestano che in tutti i continenti, in tutte le culture e in tutte le civiltà si comincia a prendere coscienza che la lotta contro l’antisemitismo è un obbligo per tutti: è una grande e bella notizia.
Quando si colpisce un ebreo, diceva un altro scrittore, è l’umanità intera a essere gettata a terra. Un mondo senza ebrei non sarebbe più un mondo: un mondo in cui gli ebrei ricominciassero a essere i capri espiatori di tutte le paure e di tutte le frustrazioni dei popoli sarebbe un mondo dove gli uomini liberi respirerebbero meno bene e dove gli uomini sottomessi lo sarebbero ancora di più. Sta a voi, adesso, prendere la parola e agire.
Sta a voi, che siete il volto del mondo, essere gli architetti di un edificio dove per la matrice di tutti gli odi lo spazio si assottigli.

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