Sul Corriere della Sera il compito dei commenti al tragico episodio dell'attacco terrorista islamico alla redazione della rivista satirica Charlie Hepbo, con l'uccisione di 12 persone, tra cui il direttore e tre dei collaboratori storici del settimanale, è stato affidato a Galli Ernesto della Loggia e Pierluigi Battista. Letti entrambi, preferisco quello dell'ex vicedirettore, che, nella giornata in cui tutti - quasi, che qualche voce stonata si trova sempre - postiamo Je suis Charlie, opportunamente ricorda come nel recente passato quegli uomini avevano già subito attacchi per la loro posizione di critica satirica al fondamentalismo islamico (così come per quello di qualsiasi altra religione), senza suscitare troppo solidarietà, anzi, ricevendo accuse di islamofobia. In diversi, negli ultimi lustri, si sono visti rivolgere la stessa accusa, finendo anche processati ( da noi, famosa è la Fallaci. Chissà quanto oggi ammetteranno che la grande giornalista aveva ragione ? ) . Sicuramente c'è anche un islamismo moderato, ma putroppo è soccombente, come è facile vedere nei paesi arabi dove, se non interviene un esercito adeguato ( e dittatoriale) a fare argine alla sharia dei fondamentalisti, non c'è partita. Si guardi in Iraq, in Libia, in Siria, per non parlare dell'Afghanistan. In Egitto c'è voluto un colpo di stato, e il ritorno al comando di un generale, per fermare la fondamentalizzazione del Paese da parte dei Fratelli Musulmani (che, ricordiamolo, avevano vinto le elezioni...).
Ieri una cara amica mi ha inviato il pensiero di Agostino Quadrino (che non conosco), dove si possono leggere, dopo una accorata e ritengo sincera condanna per il sangue versato, parole che assolutamente non condivido.
In primo luogo, la condanna della satira anti religiosa :
l'ironia e la satira che ha per oggetto il sentimento religioso o la sensibilità spirituale di chi ha un fede - quale che essa sia - non mi piace, e soprattutto non la considero affatto un'espressione di "libertà". La libertà vera si fonda sulla responsabilità e sul rispetto. Non considero infatti espressione di "libertà" la satira antislamica,
Nemmeno io sono un patito della satira in assoluto, però lo sono della libertà di espressione. Se poi si sforano dei limiti, diventando le vignette strumento di istigazione alla violenza, per dire, si potrà intervenire con gli strumenti di legge. Se no c'è il dibattito critico per contrastare un pensiero che non ci piace.
Peggiore la chiosa :
il mondo ideale, il vissuto, la sensibilità di chi è nato in un contesto familiare, culturale e ideale islamico e non occidentale sono profondamente diversi dai nostri. La loro cultura non è passata per Atene, per l'umanesimo europeo e cristiano, per la distinzione fra sacro e profano come nel nostro mondo secolarizzato, per il razionalismo, per l'illuminismo, per i valori (profondamente cristiani, a mio modo di vedere) della laicità e della separazione fra fede e politica, in cui tutti noi siamo cresciuti e che oramai sono nel nostro DNA. Sapere questo, dovendo oramai convivere anche in Europa con chi ha un diverso universo simbolico e valoriale di riferimento, dovrebbe portare tutti noi a rivedere certi atteggiamenti che sono *percepiti* - al di là delle intenzioni - come offensivi, aggressivi e irrispettosi e che possono pertanto accendere ed alimentare fanatismo, intolleranza e violenza.
Ecco, qui mi sembra che si scivoli addirittura in una sorta di malcelata giustificazione, e comunque una inaccettabile esortazione ad essere NOI europei, in casa nostra, ad adeguarci alla sensibilità di chi, non riconoscendo i nostri valori, non li può nè vuole comprendere.
Allora, caro Quadrino, che se ne resti a casa sua.
QUELLE VOCI LASCIATE SOLE
ANCHE DA NOI
di Pierluigi Battista
Non c’eravamo accorti della persecuzione dell’«infedele» Ayaan Hirsi Ali, in fuga da fondamentalisti che vogliono azzannarla per farle pagare con la vita la sua «apostasia». Non c’eravamo accorti che non solo Salman Rushdie era costretto a fuggire per sottrarsi a una fatwa planetaria, ma che il suo traduttore giapponese, Hitoshi Igarashi, era stato sgozzato e quello italiano, Ettore Capriolo, lasciato in una pozza di sangue, vivo per miracolo, mentre intellettuali prestigiosi in tutto il mondo accusavano l’autore dei Versi satanici (neanche letto, peraltro) di essersi meritata la condanna a morte per aver offeso Maometto.
Ce ne siamo accorti ora, che con la strage di Charlie Hebdo abbiamo vissuto ieri l’11 settembre dell’Europa. Non è un paragone esagerato, anche se il numero delle vittime è di molto inferiore. Il paragone consiste nell’alto valore simbolico delle due carneficine. Nel 2011 si volle colpire con le Torri Gemelle il simbolo della ricchezza, del potere, dell’Amerika, dell’Impero, dell’Occidente opulento e «infedele». Ieri, massacrando la redazione di un giornale satirico, si è voluto colpire il simbolo della libertà, dell’opinione eterodossa, del dissenso sarcastico .
Nella guerra culturale che il fondamentalismo jihadista ha scatenato contro il nostro «stile di vita», la libertà la critica, l’ironia, l’irriverenza, il rifiuto del dottrinarismo autoritario, la pluralità dei valori sono il Male da sradicare, il peccato da estirpare, la depravazione da colpire. In Pakistan e in Nigeria colpiscono le scuole, i libri, le ragazze che vogliono frequentare le aule scolastiche. In Europa vedono l’antitesi di ciò che vorrebbero imporre con la forza delle armi: la sottomissione (come recita il titolo del romanzo di Michel Houellebecq), l’obbedienza assoluta, la censura universale, la liturgia della subalternità, la cancellazione di ogni tentazione critica.
Essenziale delle democrazie europee e occidentali, amava ricordare il compianto Lucio Colletti, è la «critica di se stessi», il continuo riesame delle opinioni dominanti, l’autoscrutinio minuzioso e quasi maniacale nella sua intransigente volontà di non lasciare alcunché di indiscusso, di dogmatico, di tramandato.
La satira, banalizzata nella normalità della comunicazione politica ordinaria, diventa invece un’arma micidiale per i fondamentalisti, i fanatici, i sacerdoti di regimi oppressivi e asfissianti. La satira accoppia cultura e sorriso, ironia e critica. Le sue vignette non portano solo argomenti freddi, ma impongono una loro estetica e anche l’arte, l’estetica, le immagini, i colori, la stessa raffigurazione del sesso sono tentazioni demoniache che i custodi di una dottrina implacabilmente totalitaria non possono letteralmente sopportare.
Ora sui social network dilaga il motto «Je suis Charlie». Magari fosse vero. Magari ci si rendesse conto della solitudine in cui abbiano confinato i disegnatori e i giornalisti del settimanale satirico che i fanatici islamisti ieri hanno voluto annientare. Sarebbe il caso che chi li criticò nel 2006, indicando il settimanale come «oggettivo» fomentatore della guerra di religione, si astenesse oggi dalla virtuosa identificazione con le vittime del massacro. Sarebbe il caso di capire in cosa consiste il valore della libertà, della libertà culturale, della libertà d’opinione, della libertà delle donne, della libertà di stampa, della libertà di satira. Delle libertà che anche alcuni figli della nostra Europa, non solo gli «alieni» che vengono da un mondo lontano, anche chi parla perfettamente inglese o francese perché in quelle lingue è cresciuto, considerano un peccato da punire, anche con la morte violenta.
Sarebbe il caso di capire bene, nell’Europa un po’ stordita e un po’ esausta, chi sono i nemici, senza edulcorazioni dettate dall’opportunismo. Senza isterismi di reazione, ma con la calma della ragione, con la forza di valori che non vorremmo veder scomparire. E per dire «non cederemo»: ma stavolta sul serio.
Ma chi Di Battista quello che si è battuto per censurare la Guzzanti? Ora,vuole fare il rivoluzionario quando nel suo Paese non hai mai difeso la satira e sempre leccato il deretano ai potenti di turno?
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