sabato 31 gennaio 2015

PIERO OSTELLINO LASCIA IL CORRIERE, SBATTENDO LA PORTA

 

In una giornata plumbea, dove un personaggio altrettanto plumbeo si approssima a diventare presidente della Repubblica (mi consola, ma poco, il rilevamento per il quale solo un italiano su 5 lo avrebbe votato, in una elezione diretta ), arriva un'altra brutta notizia : Piero Ostellino lascia il Corriere della Sera. 
Lo fa sbattendo la porta, lamentando una involuzione del giornale per cui ha lavorato e scritto per praticamente tutta la sua lunga e brillante carriera, rivestendo ruoli importanti come inviato a Mosca, in anni critici come quelli della guerra fredda, poi Direttore, infine editorialista di punta col tempo però marginalizzato dalla prima pagina, riservandogli spazi meno compromettenti per la testata, e quindi quello delle Opinioni e di una sua rubrica settimanale, "Il Dubbio". 
Da qui l'uomo ha sparato a palle incatenate contro il nuovo astro della politica italiana, il divin fanciullo Renzino, e sospetto fortemente che questo abbia influito sul tenore di una proposta - al fine della continuazione della collaborazione - concepita nel modo giusto affinché non potesse che essere rifiutata.
E così è stato. 
Amare e dure, come del resto nel carattere del personaggio, cui non difetta quella schiena dritta viceversa così rara nel mondo giornalistico ( e politico...guardate in queste ore gli alfaniani...), le parole di congedo.
Il Camerlengo da qualche tempo sistematicamente faceva eco sul Blog della rubrica di Ostellino, sapendo di fare cosa gradita ai lettori di stampo liberale (ovviamente prevalenti). Adesso mi toccherà seguirlo su Il Giornale, quotidiano che non acquisto. La mia amicizia con l'edicolante mi consentirà però di comprarlo solo nel giorno in cui è presente il nostro bravissimo giornalista, il quale credo avrà più spazio, data la testata, per scrivere i suoi forti J'Accuse all'attuale presidente del consiglio. 
Per qualcuno che conosco, la partenza di Ostellino sarà motivo di riavvicinamento al Corriere, perché troppo infastidito dai toni anti renziani dell'uomo. Per altri immagino sarò l'opposto. Personalmente  starò alla finestra, e vedrò che fine faranno persone come Panebianco, Galli della Loggia, Battista, Polito, Ainis...che sono quelle per cui acquisto il giornalone di via Solferino. Fosse per i cronisti, soprattutto quelli di punta (Ferrarella, Sarzanini) e altri notisti ( Franco, Breda ) da mò che avevo smesso di regalare 1,50 euro al giorno  a Marchionne e Della Valle !




Il Corriere della Sera - Digital Edition
Le parole di un congedo
 

Questa è l’ultima volta che Il dubbio compare su queste colonne. Non è la solita rubrica, ma un congedo. Lascio il Corriere , dopo 48 anni, non di mia iniziativa, tanto meno per ragioni politiche, ma spinto fuori da una gestione del personale che non sa distinguere fra un grande giornale e una fabbrica di auto. Con l’uscita dalla direzione di Ferruccio de Bortoli — un amico e anche lui un vecchio del Corriere — la prospettiva non mi pare incoraggiante. Ringrazio gli editori Diego Della Valle e Giovanni Bazoli che mi hanno espresso il loro rammarico per quanto sta accadendo.
   Quando, anni fa, ero entrato in via Solferino, il Corriere era un prodotto industriale confezionato da artigiani di qualità; era un grande giornale perché fatto da grandi giornalisti. Che non erano fungibili — nel senso che l’uno valesse l’altro come operai di una fabbrica — bensì la condizione della sua alta qualità. Vigeva allora al Corriere una rigorosa gerarchia di valori che la proprietà riconosceva e garantiva. Non si sarebbe liberata di una firma storica; un giornalista non avrebbe lasciato via Solferino per andare altrove. In un’economia di mercato, in un rapporto di lavoro è naturale che ciascuno faccia i propri interessi. Lo fanno gli editori; lo fanno i giornalisti, tutelando la propria professionalità e indipendenza. Io, rifiutando condizioni che mi sono state offerte in modo ultimativo, volgare e offensivo, come mai sarebbe accaduto al Corriere di una volta, faccio i miei, andandomene da uomo libero .
   In questi anni, il Corriere mi ha dato molto e io credo di aver dato molto al Corriere . Ho goduto, sempre, di libertà e indipendenza. I lettori mi hanno seguito, apprezzandomi, da quando ero a Mosca e a Pechino come corrispondente; poi, da direttore, quando ho riportato il Corriere nell’alveo della sua migliore tradizione; infine come editorialista. Li ringrazio. Che dire ancora? Ciò che, una volta, si diceva sotto il profilo politico — «non si abbandona il Pci come si abbandona il Partito liberale» — vale, sotto il profilo giornalistico, anche per il Corriere . Chi ci è stato , rimane corrierista tutta la vita. Lo sono rimasti gli amici che hanno fondato e lavorato al Giornale , dove sono ora accolto con calore. E dove continuerò a scrivere con la stessa libertà di quando ero al Corriere .


(f. de b.) Auguro all’amico di una vita Piero Ostellino una nuova e feconda stagione professionale. Sono sicuro che continuerà ad essere un originale e libero pensatore come lo è stato in tanti anni al Corriere .

3 commenti:

  1. Continuerò a leggere Ostellino.
    Comunque, i liberali ed i libertari non si rammarichino troppo dell'andazzo conservatore del nostro status quo dominante. Il sistema non ha futuro è lo dimostra la scelta del nuovo capo. Chi non ha futuro guarda sempre indietro. Troverà esperienza nel caso migliore, ma certamente nessuna idea nuova. Sclerosi e poi crollo.

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  2. Sarà triste il futuro (se mai ci sarà) di chi cancella questo passato liberale soffocandone una delle voci più rappresentative. Il Consiglio di Amministrazione delega il braccio secolare aziendale (braccio secolare HR) a liberare il campo da un personaggio non allineato al potere di turno e quindi diventato scomodo. Proprio come ai tempi dell'inquisizione.

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  3. La conclusione della collaborazione di Ostellino con il Corriere, è la prova (se mai ce ne fosse bisogno) che egli ha ragione sul merito delle critiche rivolte a Renzi. Purtroppo temo che pochi se ne accorgano; l'italiano medio non è liberalista e preferisce conformarsi agli slogan che sono un surrogato del pensiero. Che tristezza, il mio Paese è sovietico per vocazione. GS Trieste

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