martedì 13 gennaio 2015

SHENGEN DA LASCIARE COSì ? E QUANTA LIBERTA' DOVRA' ESSERE SACRIFICATA ALLA SICUREZZA ?



Il problema che solleva Massimo Gaggi, inviato a New York del Corriere, esperto di cose americane, è corretto e delicato. Però è troppo vago sulla soluzione. Il nodo cruciale è il rapporto tra Sicurezza e Diritti individuali, tra cui quello alla privacy. La lotta al terrorismo islamista passa, essenzialmente, per la prevenzione, e per far questo il servizio di intelligence deve avere ampi poteri. In concreto, quanto ? E qui la risposta non viene. Si dice quello che è da evitare, vale a dire gli abusi, e quindi non è giusto spiare il cellulare della Merkel o approfittare dello spazio dato per controllare il coniuge sospetto fedifrago, ma sappiamo bene come il confine non si ponga in termini così netti, da sembrare paradossali (se non fosse che poi, nella realtà, i paradossi si sono realizzati...).
Francesi e Spagnoli avevano adombrato la riforma di Shengen, con maggiori controlli per lo spostamento delle persone da stato e stato, Italia e Germania hanno detto di no, che sarebbe darla vinta ai terroristi. Gaggi dice che i sistemi, che peraltro furono drastici nel ridurre le normali garanzie, adottati al tempo della lotta contro il terrorismo endogeno (Brigate Rosse da noi, la RAF in Germania, cita l'IRA in Gran Bretagna) non sono adatti e sufficienti contro questo nuovo tipo di guerra. E sarà anche vero, ma le alternative al momento sembrano un pochino fumose.


Il confine tra diritti e sicurezza
di Massimo Gaggi
 

Niente leggi speciali, niente ripristino di frontiere abolite solo qualche anno fa in Europa. Giusto resistere alla tentazione di blindarsi, di sospendere gli accordi di Schengen. È una questione di principio: non possiamo darla vinta ai terroristi. C’è anche un aspetto pratico in questo confronto ideale: che cosa succederebbe se i fanatici arruolati nelle «cellule dormienti» dovessero scoprire che bastano due attentati, pure male organizzati, per smantellare un trattato internazionale?
E dunque nessun cedimento. Ma attenzione: non illudiamoci di poter combattere questa mutazione della minaccia jihadista, questo terrorismo feroce e nichilista, ricorrendo a strategie simili a quelle seguite qualche decennio fa in Europa per neutralizzare le Brigate Rosse, la Raf tedesca o l’Ira irlandese. La minaccia di oggi è molto più pericolosa e complessa: se vogliamo evitare di chiuderci, di scivolare di nuovo nella logica di quella guerra al terrore che Obama ha cercato di superare negli Stati Uniti, bisogna tenere alta la guardia della prevenzione. E accettare un’azione di intelligence inevitabilmente ubiqua e penetrante.
Quello di un presidente americano che predica bene e razzola male — un presidente che denuncia giustamente la corrosione dei diritti e dei meccanismi democratici provocata dal vivere in un clima di guerra permanente, ma poi non blocca lo spionaggio a tappeto della National Security Agency collegato a quella corrosione — è argomento utile a confezionare qualche titolo efficace, ma fuorviante.

E' sacrosanto difendere fin dove è possibile il nostro diritto alla riservatezza: la privacy continua a far parte delle nostre libertà essenziali, anche nell’era del terrorismo, ma i limiti e i modi di proteggerla sono cambiati — e radicalmente — negli ultimi 15 anni. Non esiste alternativa a tecniche di intelligence sempre più capillari: è inevitabile in tempi di moltiplicazione delle organizzazioni terroristiche, anche più feroci e ramificate di Al Qaeda, in un mondo solcato da diaspore di tutti i tipi e dalle flotte del traffico di clandestini, un mondo di migrazioni aeree continue e di lavoro globalizzato.
La sfida del nuovo terrorismo che fa proseliti anche da noi, così come la difficoltà di intercettare i cani sciolti che vengono dalla criminalità comune e usano la guerra santa per nobilitare rabbia e istinti violenti, richiedono una sorveglianza più attenta e più profonda. Gli investigatori non possono avere mano libera, certo: va sorvegliata la loro onestà intellettuale, oltre che la loro capacità operativa. Tuttavia il telefonino della cancelliera tedesca Angela Merkel spiato da Washington o l’agente che usa l’orecchio della Nsa per controllare la moglie sono patologie da estirpare, non la prova che il sistema creato dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 sia da buttare.

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