lunedì 16 febbraio 2015

IL PRIMO ROUND TRA GRECIA ED EUROGRUPPO FINISCE MALE

 

La prima riunione tra Grecia ed Eurogruppo non è andato benissimo. 
"Proposta inaccettabile" , così glo uomini di Tsipras hanno definito la bozza sottopostagli dai ministri finanziari dell'Unione.
Chi ben comincia...
A questo punto acquista ancora più attualità l'interessante riflessione che era comparsa sul Corriere di oggi, di Moavero Milanesi, quando ancora non si conosceva l'esito di questo primo incontro tra le parti in causa. 
La situazione è complessa, e c'è più di una posta in gioco sul tavolo.
Buona Lettura


L’Europa e la Grecia pochi margini
e molti pericoli 
 
Enzo Moavero Milanesi 
 

I n Europa, stando alle dichiarazioni fatte al vertice di giovedì scorso, con riguardo alla situazione della Grecia tutti auspicano un’intesa che scongiuri nuove turbolenze nell’area dell’euro.
La cancelliera tedesca Angela Merkel ne ha tracciato il perimetro, evocando la capacità europea di cercare un compromesso, ma nel quadro delle vigenti regole comuni. Il premier greco Alexis Tsipras ha detto che rispetterà queste regole. Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, però, ricorda la distanza fra le posizioni. I tecnici hanno lavorato in preparazione della — decisiva? — riunione odierna dei ministri dell’Economia (Eurogruppo). Ci sono stati gesti di buona volontà. Poiché le parole pesano, la consumata versatilità lessicale europea ha sostituito il vituperato termine «troika» (che indicava i delegati di Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale, incaricati del programma di risanamento dei conti pubblici in Grecia), con un pudico «istituzioni». Al di là del vocabolario, tuttavia, trovare una soluzione non è semplice. L’esercizio è complesso, perché deve affrontare almeno due ordini di difficoltà, che si condizionano a vicenda.
Il primo è eminentemente politico. La crisi economica globale, nell’Unione Europea, ha destabilizzato i bilanci di alcuni Stati e il sistema dell’euro. Pericoli concreti, fronteggiati rafforzando le regole comuni di garanzia e prendendo, in tutti i Paesi, misure per ridurre la spesa pubblica, aumentare le imposte e varare riforme strutturali. La crisi ha reso ineludibili cambiamenti che noi europei ci eravamo illusi di poter continuare a rinviare; fattori epocali, quali l’invecchiamento della popolazione e la globalizzazione, avevano già minato un’Europa che viveva al di sopra delle sue possibilità. Quasi tutte le misure adottate — non a caso definite di austerità — sono state accolte negativamente da tanti cittadini. I governi che le decidono vengono contestati e perdono o rischiano di perdere le elezioni: quindi, se consentissero ad altri Paesi comportamenti divergenti, favorirebbero la propria opposizione interna. Del pari, i governi degli Stati dove l’economia va meglio, convinti della bontà della loro ricetta e sostenuti dai propri cittadini, non solo non vedono ragioni per mutarla, ma temono i contraccolpi delle devianze di altri Paesi partner. Dunque, in Europa, a seconda del contesto politico nazionale, si contrappongono maggioranze elettorali, visioni e interessi differenti che è molto complicato conciliare.
Il secondo ordine di difficoltà attiene al merito della posizione del governo greco. Su qualche punto potrebbe trovarsi un’intesa, senza violare le regole base: ad esempio, per rinegoziare parte del programma della troika e per ricevere prima i profitti realizzati dalle banche centrali dell’Eurozona sui bond greci acquistati (il cui incasso è, per ora, condizionato all’esecuzione di tale programma). Sembrano, invece, in frizione con la disciplina vigente altri punti, come: l’emissione di nuovi titoli di debito a breve (oltre la soglia consentita e già superata); l’allungamento della scadenza di parte dei titoli di debito pubblico circolanti; la riduzione dell’attuale avanzo primario (l’attivo di bilancio, esclusi gli interessi da pagare sul debito).
Questi interventi servirebbero a dare più margini di spesa al governo greco, per realizzare le sue notevoli promesse elettorali. E qui sorgono problemi, sia tecnici sia politici. Problemi immediati per i creditori, che hanno salvato la Grecia dalla bancarotta e vedrebbero diluirsi il rimborso del loro prestito. Nonché problemi riconducibili al «precedente» creato da eventuali concessioni: che determinerebbe spinte emulative in altri Stati, tali da logorare la credibilità delle basi regolamentari dell’euro. Insomma, uno scenario dalle forti analogie con la tempesta di pochi anni fa, che spaventa; forse, ancor di più di un’uscita della Grecia dall’Eurozona.
Dunque, i margini di manovra per risolvere la questione greca esistono, ma sono stretti e pieni di contraddizioni. Per esempio, come Italia, dovremmo ben valutare il rischio che, allentando le regole, si apra di nuovo una crisi sui mercati, focalizzata proprio sul debito pubblico, un nostro tallone d’Achille; inoltre, siamo tenuti a chiederci se far prevalere l’istintiva solidarietà con i greci in drammatiche ambasce o pensare a quanto abbiamo loro prestato (con un costo ingente, pari a un paio di punti del nostro debito pubblico, in percentuale sul prodotto interno lordo).
Il confronto è fra le diverse ricette per l’economia, i rispettivi interessi e pertanto, fra i vari governi nazionali e i relativi elettorati. Le maggioranze degli elettori di ciascuno Stato hanno la medesima legittimità democratica, le posizioni «rigoriste» valgono quanto le istanze di chi chiede più spesa pubblica, anche facendo ulteriori debiti. La doverosa ricerca del compromesso è condizionata da queste discordanze e dalla sostenibilità di un sistema incompleto come è quello europeo, con le sue dinamiche politiche ancora tanto nazionali.

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