Nel titolo de La Stampa, che trovate appresso, mi colpisce la parola "rischia". Dicesi rischio quacosa di concretamente possibile, ancorché non probabile. Parlando invece di pensioni, il fatto che i lavoratori di oggi si ritroveranno con pensioni dimezzate rispetto al reddito percepito in costanza di lavoro, rientra nella sfera delle CERTEZZE.
Il passaggio dal lussuoso metodo retributivo, per il quale si andava in pensione con una cifra molto prossima all'ultimo reddito percepito, a quello contributivo (che peraltro in un remoto passato fu sostanzialmente la regola ), basato invece sui contributi versati, non può che portare ad un abbattimento drastico delle future pensioni, il cui livello non sarà lontanamente paragonabile a quelle dei nostri genitori. La cosa che disturba un po' (eufemismo) è che la severità presente e futura è anche in gran parte determinata dall'eccessiva generosità passata. Il conflitto generazionale non esplode perché i pensionati benestanti aiutano largamente figli e anche nipoti creando una situazione di equilibrio mutualistico sociale destinata però a saltare nel tempo.
Ulteriore problema è dato dal fatto che la pressione fiscale, oltre che la precarietà diffusa del lavoro, impediscono di fatto ai lavoratori di oggi, destinati a pensioni assai modeste, di risparmiare per cercare di tutelarsi un domani che non lavoreranno più.
Un brutto futuro si prepara, e nemmeno troppo lontano.
La Generazione mille euro di oggi rischia una pensione dimezzata domani
Una ricerca Censis-Fondazione Generali lancia l'allarme sul futuro dei giovani
La generazione mille euro a fine carriera rischia di trovarsi
povera. Oggi il 40% dei lavoratori dipendenti di 25-34 anni ha una
retribuzione netta media mensile fino a mille euro. Per questo molti si
troveranno ad avere una pensione più bassa del reddito che avevano a
inizio carriera. Secondo il Censis e la Fondazione Generali, che hanno
avviato un percorso di ricerca sul welfare del futuro, l'invecchiamento
della popolazione e le riforme pensionistiche renderanno più complesso
il tema della longevità. Il Censis stima che il 65% dei giovani occupati
dipendenti 25-34enni di oggi avrà una pensione sotto i mille euro,
anche con avanzamenti di carriera medi, a causa dell'abbassamento dei
cosiddetti tassi di sostituzione. Questa previsione riguarda i riguarda
gli occupati, cioè i 3,4 milioni oggi inseriti nel mercato del lavoro
con contratti standard. A questi vanno aggiunti 890mila giovani
25-34enni lavoratori autonomi o con contratti di collaborazione e quasi
2,3 milioni di Neet. Il 53% dei millennial (i giovani di 18-34 anni)
rivela una certa consapevolezza su ciò che aspetta loro: uno su due
pensa che la pensione arriverà al massimo al 50% del reddito da lavoro.
La pensione dipenderà infatti dalla quantità dei contributi versati.
Quasi due su tre millennial hanno avuto finora una contribuzione
intermittente, perché hanno alternato pause tra un lavoro e l'altro,
sono rimasti spesso senza lavoro o hanno lavorato in nero. Per avere
pensioni più adeguate, l'unica soluzione sarà quella di lavorare fino ad
età avanzata? Il mercato del lavoro lo permetterà? I dati sono
allarmanti. L'occupazione dei giovani è crollata. Siamo passati dal 70%
di giovani di 25-34 anni occupati nel 2004, pari a 6 milioni, al 59,1%
nel 2014 (primi tre trimestri), pari a 4,2 milioni. In dieci anni si
sono persi quasi due milioni di posti di lavoro giovanili. Una perdita
con un costo sociale pari a 120 miliardi di euro. Se la tendenza dovesse
continuare, i giovani sarebbero precari oggi anziani poveri domani.
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