domenica 8 febbraio 2015

MENTRE IN ITALIA SI GIOCA ALLE FIGURINE, IN UCRAINA LA GUERRA E' SEMPRE PIU' VICINA



Mentre in Italia assistiamo all'imbarazzante spettacolo della miseria umana di chi per sopravvivere pensa di andare ad omaggiare il vincitore del momento, nel mondo accadono cose gravi, e tra queste sicuramente c'è la crisi Ucraina. Il fatto che Merkel ed Hollande si siano recati direttamente da Putin, dopo essere passati da Kiev, rivela la preoccupazione e l'impegno dei due capi di Stato per una situazione che sembra sempre più avvicinarsi ad un punto di non ritorno. Il presidente francese lo ha detto esplicitamente : se falliamo, sarà guerra aperta.  I tedeschi si stanno impegnando stavolta seriamente per trovare una soluzione diplomatica, seguiti dai francesi, mentre i briutannici sono al solito più vicini alle posizioni americane, quindi pronti ad armare l'Ucraina. Gli italiani. Mogherini e Gentiloni lasciamoli stare, si perde tempo ad ascoltarli. 



Tregua in Ucraina, corsa contro il tempo
Merkel: io ci provo, non so se Putin accetta
Hollande: se falliamo è guerra aperta.
Da Biden a Lavrov alla cancelliera, tutti riuniti a Monaco
 
 

DAL NOSTRO INVIATO MONACO DI BAVIERA Angela Merkel è convinta che la crisi ucraina definirà l’Europa dei prossimi decenni. Opinione che condivide con il vicepresidente americano Joe Biden. I due differiscono sui modi per affrontare il conflitto. Ma sono entrambi convinti — ne hanno avute altre prove ieri — che la situazione stia diventando ogni giorno, forse ogni ora, più grave, pericolosa.
A Monaco, dove è in corso la Conferenza sulla Sicurezza, ieri il clima tra i partecipanti era pessimo, l’umore nero. Dalla Francia, il presidente François Hollande, di ritorno da Mosca dove con la cancelliera tedesca venerdì notte ha incontrato Vladimir Putin, diceva che «se la nostra proposta di pace fallirà, l’unico scenario è la guerra». Dalla capitale russa, Putin rispondeva di non volere «combattere con nessuno ma collaborare con tutti», ma ormai alle sue parole in Occidente credono in pochi. Il presidente ucraino Petro Poroshenko, anch’egli nella capitale della Baviera, dava il senso della drammaticità del momento: «Immediatamente, abbiamo bisogno di una cosa semplice: un cessate il fuoco». E aggiungeva: «Ci serve una risposta in pochissime ore». La situazione in Ucraina, insomma, è avviata verso la guerra aperta e in questi istanti le diplomazie lavorano, a dire il vero senza una road-map chiara, per cercare di fermare la corsa.
Frau Merkel, con il volto segnato dalle cinque ore di discussione con Putin, prima ha spiegato che il confronto non ha portato risultati. «Dopo i colloqui di ieri a Mosca — ha detto — non è sicuro che ci sia un successo. Ma dalla mia prospettiva e dalla prospettiva del presidente francese valeva la pena provare». Altri contatti con il Cremlino ci saranno, probabilmente già oggi per telefono. Ma il passaggio resta critico. La cancelliera ha poi fissato i punti chiave della vicenda ucraina. La responsabilità è della Russia. Nell’Europa del XXI secolo non sono accettabili le annessioni (Crimea) e la creazione di sfere di influenza. L’Europa non invierà nessun tipo di arma a Kiev (Poroshenko lo ha di nuovo chiesto) perché ciò porterebbe a un’escalation e «la comunità internazionale deve pensare a qualcos’altro». L’Europa però è impegnata a sostenerne l’economia ucraina al collasso. L’articolo 5 del trattato Nato — l’attacco a un membro dell’Alleanza sarà considerato un attacco a tutti i membri — è pienamente in vigore. Quest’ultimo punto per tranquillizzare i Paesi Baltici, che si sentono minacciati da Mosca (l’Ucraina non fa parte della Nato).
Il vicepresidente Biden ha seguito lo stesso filone argomentativo. Ma è stato più duro verso Putin. Per dirgli che «se lui è cambiato anche il nostro focus è cambiato», cioè se all’inizio della presidenza Obama l’obiettivo era premere il tasto Reset, ora siamo al Reassert. Riaffermare cioè che i confini non si toccano con la forza, che ogni Paese «ha il diritto di scegliere le proprie alleanze». Parlando dei separatisti ucraini, Biden ha detto che il loro «cuore, la leadership, i combattenti rispondono direttamente a Putin. Come si usa dire abbiamo le foto» (Poroshenko ha anche mostrato i passaporti di combattenti russi sequestrati in Ucraina). In questo quadro, il vicepresidente americano ha fatto capire che Washington fornirà armi a Kiev: non tanto con l’obiettivo di vincere sul terreno — sostengono gli analisti — quanto per alzare il prezzo che Mosca dovrà pagare.
La risposta a questa narrazione occidentale è arrivata dal ministro degli Esteri Sergei Lavrov: un discorso chiuso, condotto tutto in russo senza una parola in inglese, a differenza che in passato a Monaco. Una lettura opposta quella di Lavrov. Ha detto che la crisi è responsabilità dell’Occidente. Che nell’Ucraina dell’Est non ci sono forze russe. Che il Cremlino non è direttamente coinvolto. Un dialogo tra sordi, divergente nei presupposti, nel quale qualcuno mente sapendo di mentire. E che fa capire quanto al momento sia difficile, se non impossibile, parlare la lingua della trattativa e della diplomazia. È forse l’inizio di una seconda Guerra Fredda — si diceva ieri a Monaco.

D. Ta.

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