domenica 8 febbraio 2015

PANEBIANCO : ANCHE GLI SCIMPANZE' ACCORRONO SUL CARRO DEL VINCITORE. E SENZA ACCAMPARE SCUSE



Quando a scuola o nei libri di testo di storia si accennava alla DIPLOMAZIA, Matteo Renzi doveva essere assente o saltava annoiato il paragrafo in questione. Lui la diplomazia non sa proprio cos'è, e gli aneddoti in questo senso sono ormai tanti. L'ultima volta, evidentemente già a conoscenza della transumanza che stava per realizzarsi da parte di otto parlamentari di Scelta Civica, la battuta ha riguardato la perdurante esistenza di SC. Tra l'altro l'ironia non è campata per aria, in effetti il movimento di Monti si è liquefatto, esattamente come il suo fondatore. Però perché dirlo ? Perché Renzi umanamente è un bullo, un arrogante, e se gli scappa di dirlo lo dice. Tra l'altro, questo spostamento non è certo quello che serve al premier per sostituire la defezione degli azzurri, in quanto i voti di quegli otto erano comunque blindati. Quando mai quelli di SC si sono disallineati dal governo ? No, servono altri scimpanzé, per usare l'efficace - e imbarazzante, per i destinatari, anche perché proveniente da un osservatore moderato - immagine adottata dal professor Panebianco nel suo editoriale sul Corriere. E quindi si confida, con buone speranze di successo, negli scilipoti di questa legislatura, che peraltro in materia ha battuto ogni record di vergogna in materia. Ieri Massimo Franco - altro notista moderato, anzi sempre filo governativo, che però esprime biasimo per quanto sta accadendo - parlava di 160 abbandoni del partito o movimento in cui si è stati eletti, Libero alza la cifra a 175.
Insieme all'editoriale di Panebianco, postiamo il commento di Giovanni Belardelli, pure meritevole di lettura e opportuna riflessione.
Conosciamo bene la litania dell'assenza di vincolo di mandato, ma a questo punto è necessario, tra le tante riforme costituzionali, inserire anche questa. Cosa è rimasto del Parlamento eletto dagli italiani nel 2013 ? Si rendono conto quei miei amici (chissà se lo sono ancora) del PD che così facendo il voto diventa un rito sciocco e scomodo passato il quale i politici prendono quel risultato, lo ingoiano, lo digeriscono come vogliono loro per poi proporre (il termine sarebbe un altro, vista l'immagine usata, ma cerchiamo di non tracimare) tutt'altro Parlamento ? Crisi di coscienza ? Benissimo. Ci si dimette. Ma non si lascia solo il Partito, anche la poltrona che si è raggiunta TRAMITE quel partito. Pensare che queste cose le diceva anche Renzino,  ai tempi di Scilipoti e Razzi, ma anche dopo, quando il mobbing sui grillini lo faceva Civati per salvare l'ipotesi del governo Bersani. 
Gli scimpanzé seguono il più forte, e per loro fortuna nessuno gli chiede conto di questo istinti naturale. Gli uomini sì, inventano scuse. Quelli di Scelta Civica è che ora il PD è liberaldemocratico.
Sarebbe meglio stare zitti, visto che  devono imitare le scimmie, lo facciano del tutto.


Il carro affollato del potere
di Angelo Panebianco
 

Nelle tribù umane accade esattamente ciò che avviene nelle tribù dei nostri parenti più prossimi, gli scimpanzé. Dopo che un membro del gruppo ha sconfitto i rivali al termine di una dura lotta di potere, diventando il maschio alfa, o dominante, si mette subito in moto un processo di bandwagoning : quasi tutti gli altri membri della tribù saltano sul carro del vincitore, corrono a rendergli omaggio. C’è però un’importante differenza. Fra gli umani, nel bandwagoning è sempre presente una dimensione comica. Perché gli umani sembrano obbligati a negare la vera ragione per cui saltano sul carro del vincitore, ossia il fatto che, come tutti, tengono famiglia. Sono costretti ad inventarsi i più nobili motivi, dichiararsi solennemente interessati solo al bene del Paese: non lo fo per piacer mio, eccetera.
È da quando Renzi è a capo del governo che, in parte per le circostanze e in parte per merito suo, della sua bravura, viviamo in un sistema politico praticamente senza più opposizione. Le più recenti ondate di bandwagoning , e quelle che seguiranno, rafforzano e consolidano questo nuovo carattere della politica italiana. Ciò porta con sé, oltre ad alcuni innegabili vantaggi, anche dei rischi. Rischi che riguardano sia il breve che il medio e lungo termine. I rischi di breve termine hanno a che fare con le politiche del governo. Renzi ha usato Berlusconi finché gli è convenuto per neutralizzare gli ultraconservatori della sua parte politica (la Cgil, la sinistra del Pd).

Ma adesso, grazie agli smottamenti parlamentari in atto a suo favore, e a quelli che avverranno prevedibilmente nel prossimo futuro, egli ritiene di non avere più bisogno di quell’alleanza. I numeri parlamentari sembrano dargli ragione. Però non è verosimile che un così radicale mutamento degli equilibri politici non tocchi anche la sostanza dell’azione di governo. Renzi può negarlo quanto vuole ma è un fatto che, in mezzo a tante promesse e chiacchiere (una vera overdose), se qualche riforma è stata comunque fatta, ciò si deve anche all’apporto dei berlusconiani (un sostegno che, come Berlusconi ha appena ribadito, difficilmente ci sarà in futuro). L’intelligenza di Renzi fu infatti quella di capire subito che non c’era riformismo possibile senza alleanza con la destra (di governo con Alfano, sulle riforme con Berlusconi), che l’alternativa sarebbe stata quella di diventare ostaggio della sua sinistra interna. Con la certezza di affondare nella palude e nell’immobilismo.
Ma basterà questa nuova massa eterogenea di profughi in fuga da territori (partiti) disastrati — dai 5Stelle a Scelta civica e, a breve, sicuramente, anche Forza Italia — a svolgere lo stesso ruolo che ha svolto il patto del Nazareno? C’è da dubitarne. E poiché Renzi è tutt’altro che sciocco è impossibile che non se ne renda conto anche lui. Vuole forse dire che egli accetta il fatto che avvengano cambiamenti di sostanza nella politica del governo, e che questo prezzo egli sia disposto a pagare volentieri in cambio della nuova unità del suo partito?
La fine dell’opposizione dovuta al generalizzato bandwagoning porta anche con sé rischi «sistemici». Che cosa è una democrazia senza opposizione? Precisiamo: è sbagliato lamentarsi del fatto che le riforme istituzionali in cantiere (legge elettorale, Senato) accrescano notevolmente il potere del premier. Chi teme questa concentrazione e la considera addirittura «antidemocratica», è vittima di un abbaglio: non sa che una forte concentrazione del potere nelle mani del primo ministro (Gran Bretagna, Germania, Spagna) o del presidente (Francia) è la norma nelle grandi democrazie europee. Ed è, inoltre, vittima di un pregiudizio culturale: crede che la tradizione italiana, quella della democrazia acefala, quella in cui nessuno comanda e tutti pongono, con successo, veti all’azione altrui, sia l’unica democrazia possibile o, almeno, la più bella del mondo. Non è così. Le riforme che accrescono il potere del governo dovrebbero essere accolte con favore perché possono rendere meno inefficiente il processo democratico.
Ma se una forte concentrazione del potere nell’esecutivo è la norma nelle democrazie europeo-continentali, non lo è invece l’assenza di una credibile opposizione. La mancanza di una tale opposizione finisce inevitabilmente per ingenerare nei governanti un eccesso di sicurezza e di arroganza (nel caso del governo Renzi, se ne sono già visti gli effetti, qua e là, in qualche occasione). Soprattutto, l’assenza di una credibile opposizione toglie al governo la tensione e l’attenzione che sono necessarie per schivare errori e passi falsi, come ha giustamente osservato Alessandro Giuli sul Foglio di ieri.
Da questo punto di vista, ciò che c’è di sbagliato nella legge elettorale detta Italicum non è il fatto che essa — come è giusto — dia a chi vince la possibilità di governare. C’è di sbagliato il fatto che essa non tuteli la democrazia contro il rischio di un’eccessiva frammentazione dell’opposizione. Abbiamo sperimentato per lungo tempo un bipolarismo che non funzionava, a causa della ferocia degli scontri e dell’odio etnico tra i due schieramenti. Può essere allora che il nostro destino sia quello di un «monopartitismo democratico» in grado di durare per tutto il tempo in cui dureranno la lucidità e la fortuna del suo leader. E destinato ad essere sostituito dal caos non appena lucidità e fortuna se ne andranno. 





IL DOPPIO GIUDIZIO
SUI CAMBI DI CASACCA 
di Giovannio Belardelli 



Le democrazie rappresentative si fondano sul divieto del mandato imperativo: ogni parlamentare — come recita anche la nostra Costituzione — rappresenta tutta la nazione e non gli elettori dai quali è stato eletto. Non esiste legge o norma, men che meno di rango costituzionale, che vieti dunque i passaggi da Scelta civica al Pd cui abbiamo appena assistito. E tuttavia episodi del genere rappresentano un vulnus per la qualità e la credibilità delle istituzioni democratiche; rischiano infatti di mettere in crisi quel rapporto di fiducia tra il parlamentare e i cittadini ai quali ha chiesto il voto che è fondamentale in una democrazia. Soprattutto se il passaggio, come è successo in questi giorni, avviene in gruppo e senza alcun particolare pathos . Se avviene non a conclusione di accesi e laceranti dibattiti, ma anzi rifuggendone apertamente, visto che quanti sono appena passati al Pd lo hanno fatto proprio alla vigilia del congresso di Scelta civica che si apre oggi.
Naturalmente in politica, come in tanti altri campi, è del tutto lecito e spesso auspicabile cambiare opinione; ma dopo che ci si è presentati di fronte agli elettori con un programma alternativo al Pd (ricordo che Sc nel 2013 alla Camera era alleata con le liste di Casini e Fini, con i quali aveva costituito una lista comune al Senato), si dovrebbe sentire la responsabilità di dare adeguatamente ragione delle proprie scelte. E di farlo quindi in un modo diverso da quello, vagamente presuntuoso, di alcuni dei neoparlamentari Pd che si sono limitati a sostenere che non sono loro ad aver cambiato posizione ma il Pd ad aver sposato finalmente le loro idee. Viene peraltro il dubbio che di questa trasformazione qualcuno si sia accorto solo dopo il successo di Renzi nella partita del Quirinale e gli inviti espliciti del premier ad allargare i ranghi del suo partito. Neppure un anno fa Gianluca Susta, appartenente al gruppetto che ha appena lasciato Sc, definiva «inutile» il voto per il Pd alle europee. Irene Tinagli solo ad ottobre definiva «vergognoso» che «per puri interessi personali» qualcuno lasciasse Sc per il Pd.
Siamo comunque di fronte a un fenomeno frequente in politica: il bandwagoning , l’irresistibile (per alcuni, almeno) propensione a salire sul carro del vincitore. Non per questo si tratta di un bello spettacolo, soprattutto ripensando al fatto che i suoi attori, fondando Scelta civica, avevano voluto accreditarsi come i rappresentanti di quella classe dirigente seria, competente, pensosa delle sorti del Paese che in Italia mancava. Ma lo spettacolo è tutt’altro che bello anche per un altro motivo. Per l’entusiasmo con il quale i dirigenti del Pd hanno accolto i transfughi da Sc, lodandone (così il vicesegretario del Pd Debora Serracchiani) la «responsabilità», dopo avere per anni considerato proprio l’inventore dei «responsabili», Domenico Scilipoti — che lasciò l’Italia dei Valori per sostenere il governo Berlusconi —, come la personificazione dei mali della nostra politica. E ci si potrebbe anche chiedere perché il segretario del Pd, che poche settimane fa invitò Sergio Cofferati, intenzionato a lasciare il partito, a dimettersi anche da parlamentare europeo, non abbia ritenuto che un invito analogo valesse per i nuovi «responsabili» approdati al Pd. È riemerso insomma in questa occasione un fenomeno che tutti ben conosciamo, consistente nell’applicare un metro diverso di giudizio dinanzi a un’azione a seconda se la compie un amico o un avversario. È purtroppo un dato profondo e antico della cultura italiana questo, uno degli ostacoli alla formazione di quella cultura civica di cui sempre si lamenta la debolezza o l’assenza. Ma quale cultura civica potrà mai esistere sulla base di criteri di comportamento e di giudizio che valgono diversamente a seconda dei soggetti ai quali si applicano?
È probabile che, di fronte alla forza politica del presidente del Consiglio, accentuata dallo sfarinamento in atto in Forza Italia come nella sinistra Pd, le salite sul bandwagon , sul carro con la banda (del vincitore), non finiranno. Al di là degli effetti che ciò potrà avere sui numeri in Parlamento, quel che forse deve preoccupare di più è l’effetto di aumentare il discredito della politica che nel nostro Paese ha da tempo raggiunto e forse superato i livelli di guardia.

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