sabato 7 febbraio 2015

LA SINDROME DI GIUDA IN PARLAMENTO TROVA NUOVI CONTAGIATI : GLI "STABILIZZATORI".



A questo punto toccherà comprarlo il libello di Pippo Civati, dato in uscita il prossimo 19 febbraio, e che riflette su quella sindrome italica del "cambio in corsa", chiamata con parola educata "trasformismo", e che diventa "vendita delle vacche" o "senso di responsabilità" a seconda se il cambio di casacca sia attuato dagli amici o dai nemici.
Personalmente, quando il fenomeno tocca, in un anno, 160 parlamentari, mi pare difficile pensare alla seconda versione.
Se poi anche un notista prudente, sempre filo governativo, come da tradizione storica dei corrieristi, qual è Massimo Franco, scrive un'analisi come quella che segue, allora capirete che forse si sta passando il segno.
Ci torneremo, intanto Buona Lettura




VOTI BLINDATI IN SENATO
MA SI ESALTA L’OPPORTUNISMO




Si comprende l’ottimismo sui numeri del governo al Senato, che Matteo Renzi ostenta. Non è soltanto la migrazione della pattuglia di Mario Monti da Scelta civica al Pd: un passaggio che ha il colore dell’opportunismo ma chiude una parentesi politicamente già finita, e formalizza un’appartenenza affidata finora solo al voto favorevole. La vera riserva di consensi parlamentari, per una coalizione che a Palazzo Madama ha dovuto faticare più volte per raggiungere la maggioranza di 161 voti, arriva da spezzoni dell’opposizione. Spunta tra i frammenti espulsi dal Movimento 5 Stelle; e, sul versante opposto, da «costole» del centrodestra ansiose di stare al governo.
Sono una ventina di senatori sui quali Palazzo Chigi ha giustamente puntato molte delle sue speranze di approvare le riforme. Porterebbero l’area della maggioranza oltre la soglia di 190, garantendo margini di sicurezza finora inimmaginabili. C’è già la parola che dovrebbe sublimare questa operazione: «stabilizzatori». Parlamentari eletti per combattere il governo, e ora pronti a puntellarlo per evitarne la crisi. L’operazione sa di trasformismo: quella pratica tutta italiana, inaugurata nel 1883 da Agostino Depretis e basata sulla cooptazione nelle maggioranze di schegge dell’opposizione; e replicata l’ultima volta tra il 2008 e il 2011 dal governo Berlusconi.
Fu giustamente criticata dal Pd, che nei «responsabili» di allora vedeva gli eredi di Depretis; e difesa da FI, che legittimava l’arruolamento come un modo per risarcire Berlusconi della perdita dell’appoggio di Gianfranco Fini. Adesso, la manovra viene attaccata da FI e da Beppe Grillo, mentre nel Pd si tende a difenderla in nome dell’interesse dell’Italia a completare le riforme. Spettacolo discutibile, che riflette la scomposizione del sistema dei partiti e lo sgretolamento di alcuni: un sottoprodotto prima delle elezioni
del 2013, con un Parlamento spezzato in tre tronconi; poi dell’arrivo di Renzi.

La domanda è quanto tutto questo rafforzerà davvero la coalizione Pd-Ncd; e se la terrà al riparo dai ricatti di piccole minoranze che alla fine furono tra le cause della caduta di Berlusconi nel 2011. Certo, i cosiddetti «stabilizzatori» offrono a Palazzo Chigi un supplemento di forza contrattuale. Il coltello del patto del Nazareno tra il premier e l’ex premier sarebbe sempre più nelle mani di Renzi. In più, l’idea di un governo col vento in poppa viene accreditata dalla corsa di semi-oppositori nell’orbita del potere. E si alimenta la narrativa di un M5S che perde pezzi.
Eppure, il saldo dell’operazione potrebbe risultare assai più controverso di quanto appaia. Intanto, la trasparenza dei rapporti parlamentari e della dialettica governo-opposizione viene intorbidita per puri calcoli di potere. E gonfiandosi con innesti di formazioni avversarie, la maggioranza finisce per confermare la sua necessità di ricorrere ad un aiuto esterno. Non si vede una grande operazione politica dietro quanto sta avvenendo. Al massimo, un surrogato raccogliticcio di quel patto del Nazareno che l’elezione del capo dello Stato ha scompaginato.

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