mercoledì 11 febbraio 2015

ROBLEDO INDEGNO DI FARE IL PM. ALLORA FACCIA IL GIUDICE....

 

Alla fine, la guerra della Procura di Milano l'ha vinta il peggiore, e cioè Bruti Liberati. Robledo, per altra vicenda rispetto a quelle che lo aveva visto lottare in modo rusticano col suo capo, viene trasferito a Torino. La cosa che mi incuriosisce è che gli venga vietato di continuare a fare il procuratore. Faccia il giudice.  Ora. messa così ammetterete che suona male. Siccome, dicono quelli del CSM, Robledo si è comportato male intrattenendo un rapporto di assoluta "opacità" con un avvocato, allora non solo è bene trasferirlo ma deve smettere di fare indagini. C'è da pensare che un giudice possa fare meno danni, il che in teoria non dovrebbe corrispondere alla verità, visto che le sentenze non le fanno i pubblici ministeri ...
Oltretutto, se la condotta di Robledo è così opaca, forse, in attesa che si concluda il provvedimento disciplinare, sarebbe opportuno sospenderlo, metterlo in aspettativa, insomma non continuare a fargli fare il magistrato finché non si è sicuri che ne sia degno. 
Questo senza entrare nel merito della vicenda, che a leggere Ferrarella non sarebbe così "inequivocabile" come quelli del CSM sostengono.


 
Robledo trasferito a Torino come giudice
Il Csm: condotta grave e inequivocabile
«Rapporto di contiguità con l’avvocato della Lega improntato allo scambio di favori»


Via da Milano il procuratore aggiunto Alfredo Robledo , e mai più pm: in attesa del processo disciplinare, lo decide ieri l’apposita sezione del Csm che, accogliendo la proposta dal procuratore generale di Cassazione (in pensione tra 24 ore) Gianfranco Ciani, ritiene Robledo meritevole di trasferimento cautelare (21 casi in 4 anni) per i suoi rapporti con l’intercettato (a Reggio Calabria) avvocato della Lega, Domenico Aiello. Ma sia chi riterrà fondato e giusto il trasferimento disciplinare come giudice a Torino, sia chi lo giudicherà sproporzionato e impropriamente usato per risolvere il contrasto con il procuratore Bruti Liberati da lui denunciato un anno fa, non troverà conforto nei motivi dell’ordinanza.
Dalle intercettazioni del 18 dicembre 2012 tra Aiello e i vertici leghisti, e dal sms del 29 gennaio 2013 di reciproci ringraziamenti tra l’avvocato («Uomo di parola! Poi grande magistrato») e il pm («Caro avvocato, promissio boni viri est obligatio»), il Csm afferma «provato un rapporto di contiguità» tra Robledo e l’avvocato che difendeva molti leghisti nella truffa dei rimborsi tra i consiglieri della Regione Lombardia: «Un rapporto privilegiato improntato allo scambio di favori», nel quale la «disponibilità informativa» di Robledo a «indebitamente veicolare informazioni coperte da segreto» era «rapportabile all’interesse personale del pm ad acquisire tramite l’avvocato copia di atti, di natura riservata e non ostensibili a terzi», riguardanti l’immunità chiesta al Parlamento europeo dall’onorevole Gabriele Albertini contro cause fatte da Robledo.
La sentenza sposa l’accusa che Robledo abbia svelato che prima delle elezioni avrebbe indagato consiglieri anche di Pd e altri partiti; che contro il Pdl c’erano intercettazioni gravi; che contro la Lega c’era una gola profonda. Ma, nel farlo, amputa alcuni dati. Non mette una riga dei due legali del capogruppo regionale pd, che testimoniano come a metà dicembre 2012 ebbero dal pm le stesse notizie date ad Aiello per la Lega, e cioè «Robledo ci riferì» che le indagini avrebbero definito «contemporaneamente tutti gli indagati e senza distinzione di partiti, anche per evitare qualsiasi strumentalizzazione politica in vista delle elezioni». Ignora i numerosi giornali che avevano già riferito delle intenzioni dei pm (fino a Il Giornale a cose fatte: «La Procura l’aveva promesso, stesso trattamento prima delle elezioni»). Non spende una parola sull’attestazione che nell’indagine milanese non esistessero intercettazioni, e tantomeno una gola profonda, di cui invece erano i giornali a parlare ma in tutt’altra inchiesta della Procura di Roma. E, più di tutto, glissa sull’incongruenza di sostenere che il 18 dicembre 2012 Robledo rivelasse segreti in cambio di documenti utili a contrastare l’immunità chiesta da Albertini in Europa, posto che di essa fu informato da Albertini solo il 29 gennaio 2013 in un atto della causa civile.
Per la sentenza (che Robledo impugnerà in Cassazione con il difensore Antonio Patrono), «una volta veicolate le notizie, il contro favore richiesto ad Aiello è il suo interessamento per far conseguire al pm copia degli atti» della richiesta di Albertini a Bruxelles, trasmessi mail da Aiello al pm il 6 febbraio 2013. La sentenza è logica nel valorizzare l’intercettazione del 6 febbraio nella quale Robledo dice ad Aiello: «Chillu vulissi io, da tenere per me, naturalmente!», e «se lunedì riusciamo a leggerla riservatamente siamo a cavallo! Grazie tantissime mio caro… Lei è un aiuto prezioso». Ma quando una perizia informatica documenta che Aiello ha trasmesso a Robledo solo un pubblico ordine del giorno della commissione giuridica, e il medesimo atto civile già notificato da Albertini a Robledo nella causa civile, i giudici Csm derubricano il dato a «non di particolare pregio»: il vantaggio per Robledo «è dimostrato dal fatto che, al fine di poterli reperire e ricevere aliunde, ha avvertito la necessità di rivolgersi all’avvocato di alcuni suoi indagati, peraltro appartenenti ad un partito rappresentato nella giunta del Parlamento europeo deputata a decidere sull’immunità».
Altra incolpazione disciplinare riguardava la consulenza contabile che il 21 febbraio Aiello legge in parte sull’ espresso e chiede di poter avere intera a Robledo, il quale prima dice sì e poi invece no per le perplessità dei pm Pellicano-Filippini dopo una riunione col procuratore Bruti. Qui la sentenza tace la deposizione proprio dei due pm: «Robledo era favorevole al rilascio, ma non mostrò alcun disappunto quando la decisione fu in senso contrario. Se avesse voluto, essendo coassegnatario, avrebbe potuto comunque autorizzare il rilascio di copia anche senza chiedere il nostro parere. Il fatto che invece ce l’abbia chiesto e si sia rimesso alla decisione della maggioranza dimostra disponibilità nei nostri confronti».
E alla fine un certo imbarazzo motivazionale si coglie anche nello slittamento lessicale della sentenza, per la quale la «propalazione di segreti» esordisce come «uno scambio di favori» sinallagmatico, e finisce invece come qualcosa «in vista di uno scambio di favori»: «riconducibile alla logica del do ut des, che» sulla vicenda Albertini «ha il suo antefatto nella vicenda» rimborsi.

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