mercoledì 11 febbraio 2015

VENTI DI GUERRA



Mentre la crisi Ucraina si aggrava, con il rischio di diventare una guerra ufficiale laddove già lo è, ma ufficiosa, mi trovo a condividere in grande parte le considerazioni di Bernard Henry Levi che si schiera decisamente contro Putin, attribuendo a lui la responsabilità di quanto sta accadendo. Lo fa sullo stesso giornale dove scrive Sergio Romano, che sostiene le ragioni dell'autocrate russo, sostenendo come un'Ucraina europea e addirittura inserita nella NATO sarebbe del tutto inaccettabile per Mosca, e che questa "deriva" che Putin vuole evitare appoggiando le popolazioni russofane.
Una politica di "prevenzione difensiva", in buona sostanza. 
Non mi convince, persuaso di più dagli argomenti del filosofo e politologo francese che potete leggere di seguito.



La minaccia di Putin 
chiama l’Europa a nuove responsabilità 
 
 
Nessuno sa, mentre scrivo queste righe, cosa accadrà dell’iniziativa di pace avviata, la settimana scorsa, da François Hollande e Angela Merkel. Ma quello che ognuno dovrebbe sapere è che questa iniziativa di pace è l’ultima possibilità di impedire, attraverso la sola diplomazia, che l’avventurismo, l’estremismo, il bellicismo del Cremlino prevalgano. Bisognerebbe quindi decidersi a guardare le cose in faccia e smettere, come si fa quasi dappertutto, di invertire i ruoli.
È Putin, soltanto lui, ad aver preso il rischio storico dello scontro con i suoi vicini. È Putin, soltanto lui che, inviando i cacciabombardieri a solcare lo spazio aereo ieri dell’Estonia o della Polonia, oggi della Francia, si cimenta nel gioco della guerra dei nervi fra potenze che, sottolineano con piacere perverso i suoi organi di stampa, sono talvolta potenze nucleari. È Putin, soltanto lui che, per la prima volta dai tempi della Guerra fredda, ha preso la terribile decisione di modificare con la forza, ai confini dell’Europa, le frontiere di un Paese chiave nell’architettura del sistema di sicurezza collettiva che assicura la pace ai nostri popoli. È Putin, soltanto lui che — cosa mai vista dalla Seconda guerra mondiale — è andato a cercare nel museo degli orrori politici i temi tristemente famosi di un nazionalismo linguistico (è russo chi parla russo... è tedesco chi parla tedesco...) che pensavamo discreditati per sempre dalla remota questione dei Sudeti, poi dall’ Anschluss .
È ancora e sempre Putin che — appoggiando ostentatamente tutti i partiti razzisti e antisemiti che esistono nel continente; sostenendo, se non finanziando, partiti come Podemos, Syriza, Front National, il cui fine manifesto è destabilizzare l’Unione Europea e le sue regole; sfoggiando la propria alleanza con una Ungheria diventata, con Viktor Orbán, l’anello debole dell’Unione — si intromette negli affari dell’Europa. Ed è ancora e sempre lui che, come se inseguisse una vecchia e tenace vendetta e come se il suo revanscismo ci ritenesse responsabili della caduta dell’Unione Sovietica — «la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo» a dir suo — sembra ingegnarsi a scalzare le fondamenta europee.
Quanto agli argomenti sbandierati dai sostenitori della codarda politica di appeasement , è sorprendente constatare che anch’essi spuntano direttamente dall’arsenale — stavolta retorico — del putinismo.
L’Ucraina apparterrebbe storicamente alla Russia? E occupando la Crimea, poi il Donbass, l’erede di Nicola I e di Stalin non farebbe che recuperare i propri beni? Se questo argomento venisse da noi accettato, oltre al fatto che è storicamente falso e che lo Stato-nazione russo non è più antico di quello ucraino, un domani potrebbe essere utilizzato per giustificare la conquista di una porzione dei Paesi baltici o della Polonia, e consentirebbe ai polacchi (che nel XVII secolo erano a Mosca) di rivendicare, inversamente, la proprietà della capitale russa.
La Russia, con il suo comportamento, non farebbe che reagire alla sorda e silenziosa umiliazione che da vent’anni l’Europa le fa subire? Tenterebbe, il che sarebbe naturale, di rompere l’accerchiamento imposto dall’«Impero»? Nemmeno questo argomento ha senso. È grottesco, se pensiamo all’insistenza, invece, con cui la Russia è stata invitata a far parte del Partenariato per la Pace (1994), del Consiglio dell’Europa (1996), della Carta di sicurezza europea dell’Ocse (1999) o del Consiglio congiunto Nato-Russia (2002). Ed è perfettamente indecente, se appena ricordiamo con quanta attenzione, dalla caduta del Muro, si è badato a non collocare forze straniere nell’ex Germania dell’Est, a non dispiegare in Polonia missili balistici di lunga gittata che avrebbero potuto urtare Mosca e, nel momento stesso in cui le venivano vendute le navi Mistral, a chiudere le porte della Nato a Georgia e Ucraina...
Insomma, l’Europa si trova davanti a una situazione, in Ucraina, che a dir poco essa non ha scelto. E di fronte a questa crisi gravissima, orchestrata da cima a fondo dal Cremlino, poteva avere due comportamenti. O lasciar fare e, cedendo ai sostenitori di una Eurasia che si presenta come un progetto geopolitico e ideologico alternativo a quello dell’Unione Europea, mettere in gioco il proprio onore, perdere la propria anima e incoraggiare, all’interno come all’esterno, le forze che come unico progetto hanno quello di vederla disintegrare. Oppure reagire, fronteggiare la minaccia che, al di là di Sebastopoli e Lugansk, mette in pericolo il progetto di pace perpetua sognato dai filosofi kantiani e realizzato — da Konrad Adenauer e Robert Schumann a Helmut Kohl e François Mitterrand — dai padri fondatori dell’Europa, e allora andare in aiuto di una Ucraina divenuta, suo malgrado, la sentinella dell’Europa democratica.
È questo secondo comportamento che l’Europa, spinta in particolare dalla Francia, ha scelto di seguire. Ha scelto la via della saggezza, ma deve tener presente che l’opzione diplomatica, se è di gran lunga preferibile, non è evidentemente la sola, e che potrebbe accadere (come ha ventilato il presidente statunitense Barack Obama, ndr) di dover decidere, non potendo fermare Putin, di fornire a Poroshenko i mezzi militari per difendersi davvero.

Nessun commento:

Posta un commento