sabato 7 febbraio 2015

SEPARAZIONE DELLE CARRIERE, QUELLA NOBILE BATTAGLIA PERSA A CUI I PENALISTI NON RINUNCIANO



Ci sono delle battaglie perse che vale la pena di combattere comunque e sempre, perché sono giuste.
Una di queste è quella per la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, la cessazione di quell'incesto per il quale sono tutti magistrati, fanno la stessa carriera, hanno gli stessi interessi, anche economici, fanno parte della stessa associazione - poi comandata sempre dai primi...non ricordo un presidente della anm che non sia un pubblico ministero - , vanno alle stesse cene e convegni, si sentono, perchè lo SONO, COLLEGHI, è una cosa clamorosamente ingiusta e sbagliata, che esiste SOLO nel nostro sfortunato e sciocco paese.
Ne abbiamo parlato tante volte su questo Blog, e lodevolmente ne fanno un tema centrale i penalisti nel loro convegno annuale di inaugurazione dell'anno giudiziario, che quest'anno si tiene a Palermo.
Un decano della professione, come Gaetano Pecorella, e un giurista, come il Professor Vincenzo Maiello, ordinario di diritto penale all'Università di Napoli, davanti ad un silenzioso ministro Orlando (che qualcosa comunque dirà sulla questione, spiegando sinteticamente che ci sono cose più urgenti e già parecchie complicate di loro, perché il governo s'impegoli pure in questa ), illustrano in maniera chiara e vivace tutte le buone ragioni perché un processo veramente di parti equiparate non può prescindere da questa scissione.
Non avverrà, e non sarà la sola cosa ingiusta che continuerà ad affliggere il sistema giustizia di questa pavida nazione.


Il Garantista

«Separate le carriere, o tanto vale tornare al processo inquisitorio»


a. separazione delle carriere

Palermo i penalisti si presentano con uno slogan: “Inauguriamo la Giustizia del futuro”. Ma nel futuro non pare esserci la separazione delle carriere. Non nel futuro immediato. Le centinaia di avvocati e professori di Diritto penale accorsi nell’aula magna della Facoltà di Giurisprudenza per la prima giornata del convegno organizzato dall’Unione Camere penali registrano l’ennesimo no del governo sull’ipotesi di revisione dell’ordinamento.
«Dubito che si possa procedere senza intervenire sulla Costituzione, e credo che le tensioni di queste ore dimostrino quanto sia difficile una riforma di questo tipo», dice senza molti giri di parole il guardasigilli Andrea Orlando. Non c’è spazio, dunque, eppure un’ampia parte del dibattito di questa “Inaugurazione dell’anno giudiziario dei penalisti” è dedicata proprio alla separazione del ruolo dei pm da quello della magistratura giudicante.
Ed è interessante soprattutto lo scambio che avviene nel corso di una delle tavole rotonde organizzate nella giornata di ieri, a cui partecipano un decano delle Camere penali come Gaetano Pecorella e l’ordinario di Diritto penale dell’università Federico II di Napoli Vincenzo Maiello, che è nel direttivo del Centro studi Marongiu dell’Ucpi. A moderare una firma di primissimo piano del Corriere della Sera come Giovanni Bianconi.
Al quale spetta il compito di raffreddare l’ardore degli altri due relatori, che in realtà insistono a invocare una riforma ordina mentale profonda anche quando, a metà pomeriggio, in prima fila si siede proprio il ministro della Giustizia. «Il giudice dovrebbe guardare il pm con lo steso occhio di sospetto che dovrebbe avere verso chi sostiene le tesi di una parte, non la giustizia in senso assoluto», ricorda Pecorella. «Se vogliamo un processo accusatorio, cioè un processo di parti, mettiamo un giudice che non abbia a che vedere né con il pm né con il difensore », continua il penalista ed ex parlamentare del centrodestra, «dico anzi di più: il pm che deve raccogliere le prove a favore dell’imputato è in realtà la negazione del processo accusatorio. Deve raccoglierle contro. Questo è l’accusatorio. Il pm deve essere un soggetto rispetto al quale il giudice è veramente terzo. E invece abbiamo a che fare con pm che dieci giorni prima sedevano a fare i giudici. O con pm famosi che poi ci ritroviamo in Cassazione».
Il tenore della discussione è pacato, ma Pecorella lo infarcisce della sua sottile ironia milanese: «Nessuno di noi che facciamo i penalisti se la sentirebbe di fare il matrimonialista». Poi aggiunge: «Non separare le carriere comporta una perdita. Il pm che per motivi di carriera va a fare il giudice non ha la cultura del giudice, ha la cultura del pm. Ci sono tutti i motivi per arrivare alla separazione delle Carriere. La Costituzione chiede la parità delle parti e il processo ‘di parti’. E allora perché mai non è stata fatto  la separazione delle carriere, che sarebbe una riforma a costo zero?».  Di fronte alla ritrosia su questo punto, sostiene l’ex difensore di Silvio Berlusconi, sarebbe più coerente «tornare al processo inquisitorio. Se vogliamo l’accusatorio, il pm deve diventare veramente parte e non essere invece intercambiabile nel tempo con il ruolo di giudice
Bianconi prova a portare la discussione al suo punto di caduta finale: a chi risponderebbe il pubblico ministero in un nuovo assetto ordinamentale che lo vedesse separato dai magistrati giudicanti? Ricorda, la firma di Giudiziaria del Corriere, come molti considerino rischioso uno sviluppo del genere: «E’ plausibile, accettabile che vada sotto l’esecutivo? Deve decidere da solo quali reati perseguire e quali no, o resta l’obbligatorietà dell’azione penale». Secondo Pecorella la questione non è ingrado di scardinare l’idea che separare le carriere sia urgentissimo: «Potremmo ribaltare la domanda: a chi hanno risposto quei procuratori della Repubblica che hanno stilato graduatorie dei processi da fare prima o dopo? A nessuno. A chi risponde il pm che lascia sul tavolo per 3 o 4 anni un fascicolo e invece in poche settimane chiude un altro fascicolo: risponde a qualcuno? La separazione delle carriere non ha a che vedere con le scelte dei reati alla cui persecuzione dare priorità. Il tema di come regolare tali scelte è connesso con quello dell’obbligatorietà dell’azione penale. Oggi la Procura non risponde a nessuno, fa le stesse scelte che farebbe con le carriere separate
Prosegue Pecorella: «Il pm fa scelte sul piano della priorità, e sui mezzi da impiegare, e quindi sul clamore che ciascuna inchiesta deve arrivare a produrre: e questa è appunto politica giudiziaria ». C’è il ministro Orlando in platea che ascolta silenzioso. Il decano dell’Unione Camere penali lo prende di petto: «Perché non si fa la separazione delle carriere? Non vorrei si rispondesse che è meglio avere un corpo della magistratura unico e forte e non due corpi separati. D’altronde non credo ci vorrebbe una riforma costituzionale. In proposito si dovrebbe anzi dare seguito all’articolo 111 della Carta, che prevede un giudice terzo, eppure il sistema ordinamentale prevede che giudice e pm siano intercambiabili
Bianconi chiede se in fondo non sia un vantaggio avere dei pubblici ministeri che condividano la stessa cultura del magistrato giudicante e che quindi ne possano immaginare la decisione. Gli risponde il professor Maiello: «Nessuno sostiene che svincolando l’organo inquirente dalla struttura ordinamentale dell’organo della decisione, si voglia creare dei soggetti incolti e non attrezzati. Figurarsi se immaginiamo un soggetto incaricato di sostenere l’accusa nel processo che non sia caratterizzato da standard elevati di cultura giuridica». Il vero nodo, sostiene il professore di Diritto penale dell’università di Napoli, è quello delle garanzie, e cioè dei «limiti all’esercizio del potere, pensati perché in loro assenza il detentore del potere potrebbe usarlo per obiettivi non funzionali agli scopi della giurisdizione. La prospettiva della separazione delle carriere non si accompagna al depotenziamento del pm, anzi. Dal punto di vista dell’accusa, un sistema diverso potrebbe consentire di individuare meglio quelle strategie processuali che consentirebbero di condurre l’azione penale fino al traguardo»a traguardo il processo».
Maiello chiude il dibattito con un’analisi che individua l’aspetto più evidente dello squilibrio tra le parti del processo determinato dalla mancata separazione delle carriere: «Negli ultimi tempi, qualche pm impegnato in processi di risonanza, e personalmente schierato dal punto di vista politico, ha coltivato l’idea che un processo possa essere anche funzionale a ricostruire un fatto storico, più che ad arrivare a una condanna. Se il pm pensa di mettere in piedi un processo anche se sa che la prospettiva della condanna non c’è, e lo mette dunque in piedi per far capire come sono andate le cose in un certo settore della vita pubblica, siamo di fronte a uno sbandamento della giurisdizione». Evidentemente favorito dalla commistione tra ruoli inquirenti e giudicanti. Ma neppure questo basterà a spingere l’attuale Parlamento a rivoluzionare la giustizia.

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