venerdì 13 marzo 2015

FACCI E LE NOVE BUFALE DEL DOPO PARTITA DEL RUBYGATE

 

Come dopo una partita di calcio molto attesa e preceduta da mille polemiche, con finale non necessariamente sorprendente ma molto sperato da una parte e assolutamente avversato dall'altra, la sentenza con la quale la Cassazione ha confermato definitivamente l'assoluzione di Berlusconi pronunciato dalla Corte d' Appello di Milano nel precesso Rubygate, le discussioni nei bar sono infinite, e ciascuno continua a dire le stesse cose di sempre, piegando la realtà al proprio granitico giudizio. Ohi, mai un cane che dica "forse mi sono sbagliato !".
Per difendere la propria convinzione, come detto, qualche bufala bisogna pure inventarsela.
Filippo Facci, in questi tre giorni, ne ha contate nove. 
Probabilmente aumenteranno, ma intendiamo prendiamo nota di queste

Facci: Ruby, le nove bufale sulla sentenza

 

Facci: Ruby, le nove bufale sulla sentenza
Le obiezioni di chi non s’arrende all’evidenza sono tante e colorate. Vediamo le principali.
1) «Ad Arcore c’era prostituzione, l’ha ammesso anche l’avvocato Coppi». Era l’unico che non l’aveva ancora capito. Anche perché c’era scritto abbondantemente (pagine 230, 264, 306) nella sentenza d’Appello che appunto è stata confermata. Il dettaglio è che il processo non era su questo, perché la prostituzione in Italia non è reato. Giustificare la nascita di un processo perché Berlusconi «resta un “puttaniere”» (Gad Lerner) il quale non avrebbe avuto problemi «se non si fosse riempito la casa di mignotte» (Travaglio) significa sovrapporre al Codice penale un codice morale. E quello che ieri ha fatto Avvenire: tutti gli altri si mettano in fila.

2) «La Cassazione ha salvato Berlusconi». È stato titolo d’apertura di Repubblica (mercoledì) anche se la Cassazione non ha salvato nessuno: la suprema corte si è solo assicurata che la sentenza d’Appello dell’anno scorso fosse legittima e basata su una corrente interpretazione della legge, dunque non viziata da ricostruzioni illogiche.
3) «Processo politico? La prostituzione minorile è frutto di due leggi fatte da due sue ministre per inasprire le pene contro gli sporcaccioni che vanno con le ragazzine». (Travaglio) L’inasprimento delle pene legate alla prostituzione minorile fu fatta per combattere lo schiavismo e il racket delle minorenni, non contro “gli sporcaccioni” o per impedire che una marocchina molto sveglia disponesse a piacere delle proprie risorse (fisiche) in un Paese in cui la prostituzione non è reato. 
4) «L’ha fatta franca solo grazie alla Legge Severino». Questa, specialità del semplificatore per gonzi Marco Travaglio, è proprio falsa. La legge Severino, infatti, ha spacchettato il reato di concussione in due: ma Berlusconi è stato assolto per entrambe le ipotesi. Sembra complicato ma non lo è. La procura, nel gennaio 2011, chiese e ottenne il rinvio a giudizio di Berlusconi con la formula della «concussione per induzione»; poi nel novembre 2012 la Legge Severino varata dal governo Monti distinse tra «concussione per induzione» e «concussione per costrizione», ma nel novembre 2013 Berlusconi venne condannato per «costrizione» (imposta a un funzionario della questura) diversamente da come aveva chiesto la procura. Fu già il giudizio di primo grado a smentire la procura. Poi il successivo grado d’Appello - e la Cassazione - ha stabilito che non c’erano gli elementi per nessuna delle due ipotesi. In altre parole non c’era la concussione e basta: né pre nè post Severino. Vedi sentenza d’Appello.
5) «Comunque è evidente che il processo si doveva fare». È la vulgata corrente, il ritornello genere «l’assoluzione dimostra che la giustizia funziona» perché ha appurato «fatti storici accertati». Ora: sulla rilevanza «storica» delle abitudini sessuali di Berlusconi (peraltro lecite) si potrebbe aprire tutto un discorso, ma limitiamoci a dire che non c’è fatto «storico» che non potesse essere valutato nel corso di un’apposita udienza preliminare che - attenzione - a Milano non è stata neppure fatta: perché il gip Cristina Censo, il 15 febbraio 2011, concesse il rito immediato. Notare che il rito immediato, di norma, si dovrebbe concedere in base a «prove evidenti» che nel caso erano così evidenti che Berlusconi ne uscirà assolto. La verità - se non fosse che il concetto di udienza preliminare è sostanzialmente fallito, in Italia - è che ci stava un «non luogo a procedere» grande come una casa: già scrivemmo - come battuta, ma sino a un certo punto - che non andrebbe abolito il processo d’Appello, ma quello di primo grado. Soprattutto a Milano.
6) «Berlusconi non poteva non sapere che Ruby era minorenne». Il perché non si è capito. A Berlusconi le donne le portavano a casa con la carriola e la signorina Ruby - che aveva credibilmente raccontato di avere 24 anni - esordì ad Arcore quando aveva 17 anni e 10 mesi. A ogni modo in tribunale conta una sola verità: quella dimostrabile. Per dirla con la Corte d’Appello, la consapevolezza di Berlusconi è «una congettura non riscontrata da dati fattuali di precisa e univoca concludenza». La Cassazione è d’accordo.
7) «L’inchiesta è costata meno di qualunque altra su fatti simili». A parte che un’inchiesta del genere non si è mai vista, sostenere che sia costata solo 65mila euro di cui 27mila per le intercettazioni (Ferrarella, Corriere di mercoledì) è come dire che il costo di un attentato (riuscito) sia solo quello dell’esplosivo. Ora è difficile quantificare il danno che lo sputtanamento internazionale dell’Italia - trainato dai processi a Berlusconi, se ne converrà - abbia determinato: ci ha provato Libero di ieri, contemplando anche la bufala della Merkel «culona inchiavabile» e cioè l’intercettazione che Il Fatto Quotidiano si è completamente inventato. Forse è un po’ più 65mila euro.
8) «È ridicolo, come hanno potuto dire che era la nipote di Mubarak?». È ridicolo, in effetti: anche se Berlusconi non se l’è certo inventato. Semplicemente Ruby, che ha sparato questa e ben altre cazzate (tipo cene ad Arcore con George Clooney, con un paio di ministre nude) a un certo punto disse di essere figlia di una cantante che aveva un qualche grado di parentela con Mubarak. Tra l’altro capitò per caso che Mubarak, memore della cantante in questione, distrattamente confermò. Era una chiacchiera da bunga-bunga, mica c’era da telefonare in questura. Comunque, nell’insieme, resta ridicolo.
9) «Il presidente della Corte d’Appello non a caso si era dimesso». Enrico Tranfa, il presidente del collegio che assolse Berlusconi in secondo grado - la sentenza confermata dalla Cassazione - il 16 ottobre 2014 in effetti annunciò le proprie dimissioni dalla magistratura come per marcare una dissociazione. Disse: «Non me la sento domani di giudicare un marocchino in un modo diverso da quanto fatto oggi per Berlusconi». Non fu un bel comportamento, perché sulle posizioni nell’aula di consiglio vige il segreto e si accetta il principio di essere messo in minoranza: il dissenso è ammesso, ma va messo in busta chiusa e sigillata. Le dimissioni per opinioni che non convergono con i colleghi del collegio non sono contemplate. Dunque? dunque, a ben vedere, Tranfa aveva semplicemente 69 anni ed era in procinto di andare in pensione come previsto, senza deroghe. Infatti è in pensione.

1 commento:

  1. MARCO FANTI

    Sottoscrivo tutti i nove punti. Aggiungo: il giudizio immediato fu ottenuto dalla procura attraverso una grave scorrettezza, ovvero la ritardata iscrizione di Berlusconi nel registro degli indagati. Per mesi hanno intercettato e messo sotto controllo chiunque avesse a che fare con villa San Martino e hanno iscritto il nome Berlusconi a notizie di reato solo poco prima di chiedere il giudizio immediato per evitare di andare oltre i termini fissati dal codice.
    In teoria, si tratterebbe di un comportamento che integra responsabilità disciplinare del pm, ma l’avete mai vista una sanzione del Csm per questa condotta?

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