Parlare di destra in Francia è diverso che in altri paesi, specie quelli anglo sassoni, perché il gollismo, e anche il lepenismo, in quanto a statalismo non è che poi sono molto da meno rispetto a quelli a gauche.
E questo fa sì che la Francia, paese più ricco del nostro, abbia problemi di debito pubblico di poco inferiori nella sostanza, se non nelle percentuali (loro vicini al 100 %, noi superiori al 130 ).
Da noi il liberalismo attecchisce poco, siamo più anarchici che liberali, loro nemmeno questo : lo Stato, prima nella persona del Monarca assoluto, poi come soggetto regolatore delle istanze del popolo, è DIO. Non mi suscitano pertanto particolare entusiasmo i risultati delle ultime tornate elettorali transalpine. Certo, vedere la sinistra in crisi mi fa, istintivamente, piacere, specie poi quando questa è guidata da un'ameba come Hollande (chissà come sarebbe stato Strauss-Khan all'Eliseo ? a parte terrorizzare il personale femminile del palazzo presidenziale intendo...). Il partito socialista, completo però di alleati, supera (28%) la destra estremista della Le Pen, che si ferma al 24% dei voti (secondo partito di Francia comunque). Ma il successo di Sarkozy, che sfiora il 37%, è costruito su temi e toni molto simili se non uguali a quelli della bionda rivale, e quindi lo smottamento della politica francese verso un atteggiamento di chiusura, anti immigrazione e critica forte all'Europa appare netto, coinvolgendo quasi due terzi dell'elettorato.
Chissà cosa suggeriranno questi risultati alla sinistra "dura e pura". In fondo, è proprio il "centrismo" renziano che la salva.
Il commento che segue è di Massimo Nava, nell'editoriale odierno del Corriere.
Il fragile
argine
ai populismi
di Massimo Nava
Logica conseguenza la valutazione in chiave nazionale. L’asse della Francia si sposta sensibilmente a destra. La sinistra, divisa e conflittuale al proprio interno, è minoritaria nel Paese. Il risultato fa evaporare lo spirito di gennaio, l’orgogliosa riscossa della Francia dopo l’attacco a Charlie Hebdo . Un sussulto unitario rivelatosi una coperta corta. A dieci anni dalla rivolta delle periferie, i problemi d’integrazione, immigrazione clandestina, marginalità e insicurezza sono gli stessi. Anzi, aggravati dall’islamismo radicale che appare oggi un surrogato dell’esclusione, l’alternativa militante per chi ha tentato invano di sentirsi parte della società francese.
Questi problemi sono finiti nelle urne, essendo il tema più facile e sensibile per un elettorato quotidianamente traumatizzato e sempre più sordo alla cultura della gauche . Il presidente Hollande naviga a vista fra marosi sociali interni e venti minacciosi da Bruxelles che sollecitano invano un’azione riformatrice più incisiva. Così scontenta tutti, riformisti e radicali.
Un cenno merita un’altra elezione svoltasi ieri, il risultato dell’Andalusia, che conferma l’emergere del movimento Podemos e vede una prima affermazione dei «Ciudadanos», il partito dei cittadini. Entrambi risulteranno indispensabili alla formazione del governo regionale della socialista Susana Díaz, astro nascente della sinistra spagnola. Qui la corruzione, la rivolta contro i partiti tradizionali, l’opposizione al centralismo statuale hanno avuto un peso maggiore, ma c’è una lettura comune, che comprende anche altri Paesi europei.
È esplicita la critica all’Europa, così come funziona oggi. Critica a volte ingenerosa, a volte strumentalizzata ad uso interno, ma pur sempre critica a un modello che ha tradito attese e aggravato disparità sociali. È forte il bisogno di protezione da nemici interni o esterni, veri o presunti. La tenuta dei partiti tradizionali, la loro capacità di interpretare la volontà popolare e di assumere un ruolo d’indirizzo, persino pedagogico, è messa a dura prova.
Saranno forse i sistemi elettorali, vecchi o riformati, ad arginare la fine dei bipartitismi e i rischi d’ingovernabilità. Ma intanto i populismi, pur partendo da culture e ideologie persino opposte, sembrano convergere. La loro grammatica politica esalta reazioni emotive non più liquidabili come pregiudizi. La loro narrazione sociale, confortata da saggi e romanzi di successo — da Eric Zemmour a Michel Houellebecq — racconta la sconfitta del «politicamente corretto».
Soltanto un cieco non vede che i ceti più deboli e i ceti medi impoveriti pagano il prezzo più alto delle politiche finanziarie degli ultimi anni, dell’immigrazione indiscriminata, dell’insicurezza. E risulta sempre meno facile distinguere le differenze fra argomentazioni rozze di leader populisti e dotte analisi di autorevoli economisti, dall’autore di best seller Thomas Piketty al Nobel Paul Krugman, i quali — cifre alla mano — raccontano in fondo le stesse cose. In questo quadro, la Francia — dal tempo in cui fu bocciato il trattato costituzionale europeo — è il laboratorio più interessante e drammatico delle tendenze che tormentano il Vecchio Continente. È il grande malato, afflitto dall’onda populista e incapace di mettere mano alle riforme, quindi impossibilitato a esercitare un ruolo leader in Europa e di riequilibrio nei confronti della Germania.
L’impressione è che i margini di recupero siano ristretti, salvo rapidi ripensamenti di strategia e metodi. È questa in fondo la scommessa di Sarkozy, ossessionato da rivincite a qualsiasi prezzo. Lo stato comatoso della sinistra e la sensibilità popolare soffiano in suo favore.
Nessun commento:
Posta un commento