Siccome non ce la farà - almeno così pare - a fare la riforma costituzionale con la maggioranza qualificata che eviterebbe il ricorso al referendum popolare, ecco che Renzino fa di una strada obbligata una "scelta".
Magari qualcuno gli crede pure.
Antonio Polito no, e anzi ricorda che questo richiamo al popolo era consueto da parte di altro leader, peraltro da tutti indicato un po' come il maestro di Renzino, che poi ovviamente, come sempre accade agli allievi capaci, o quantomeno abili e furbi, di superare i loro pigmalioni.
Quando sarà il momento di votare questo referendum, mi sforzerò di guardare al merito delle riforme e non cedere alla tentazione di uno schiaffone pregiudiziale ad un premier antipatico.
Credo di potercela fare.
Buona Lettura
Le parole del leader
e il popolo sovrano
(atto secondo)
Quando Berlusconi era in auge soleva ritorcere contro i suoi avversari, come ha fatto ieri Matteo Renzi, che «la sovranità appartiene al popolo»: intendendo, più o meno, che apparteneva a lui in quanto vincitore delle elezioni. Tant’è che l’allora presidente Napolitano dovette ricordargli che il primo articolo della Carta va letto nella sua interezza: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
Contrapporre la «volontà del popolo» al Parlamento non è infatti nello spirito della Costituzione. Del resto oggi il popolo viene invitato a esercitare la sua sovranità per ridursela, visto che con la riforma perderà il potere di eleggere una delle due Camere. E alla fine del calvario delle riforme ci sarà sì il referendum popolare promesso da Renzi, ma solo perché in Parlamento non si sono raggiunti i due terzi richiesti dalla Costituzione.
È dunque più utile chiedersi perché, a partire da domani alla Camera, quella maggioranza ampia mancherà ancora una volta. E qui si esce dal campo della razionalità costituzionale e si finisce in quello ben più caotico della lotta politica. Il Berlusconi che ha ieri annunciato il suo voto contrario ha votato a favore fino all’altro ieri. La metamorfosi da padre delle riforme a suo accanito oppositore ha dunque solo una spiegazione contingente. A Berlusconi sta succedendo con il Pd di Renzi ciò che succedeva al vecchio Pd quando faceva accordi con Berlusconi: un’emorragia di voti. E siccome tra qualche settimana ci sono le Regionali, a Montecitorio andrà in scena un complicato tentativo di fermarla.
Il fatto è che tre anni sono troppi per tenere insieme una maggioranza costituzionale. Le riforme avviate alla metà del 2013 vedranno il referendum, se va tutto bene, alla metà del 2016. Un’era geologica, in cui interi partiti fanno in tempo a nascere, a morire, o a cambiare radicalmente idea. Ragion di più per dire, se davvero Matteo Renzi ce la farà ad arrivare fino in fondo e qualsiasi sia il giudizio di merito, che si sarà trattato di un miracolo.
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