Decisamente gustoso l'articolo che Fabrizio Roncone scrive oggi sul Corsera, dedicato alle vicissitudini della minoranza democratica, che con tutti questi "punultimatum" non è che ci stia facendo una grande figura. Ad ironizzare su di loro sono ormai in tanti, ma questo non pare scuoterli, ancorché urticante dovrebbe essere il sarcasmo dei vincenti, i renziani (di prima, seconda, terza ora...). A questi ultimi è facile ricordare che "sempre non è per sempre", e la ruota prima o poi gira... Ma in politica sono in pochi ad avere la saggezza - e l'eleganza - della prudenza. Il principio che vige è "quando sei martello, batti !".
Peccato che prima o poi capita di tornare incudine...
Resta però indubbio lo spettacolo penoso che gli esponenti dell'opposizione a Renzi all'interno del PD vanno inanellando di giorno in giorno.
Il fatto è che pure loro tengono famiglia...
I dissidenti dall’ultimatum fragile:
«Noi ex pci gli ordini li eseguiamo»
L’ironia dei renziani in Transatlantico:
chi non vota contro tiene famiglia...
ROMA ( Vicolo della Missione, ingresso sala stampa di Montecitorio, martedì 10 marzo, ore 10,58 ).
Groviglio di cavi, telecamere accese nella penombra delle mura antiche.
Pippo Civati.
La sua tecnica, per adescare i cronisti parlamentari, è nota: arriva tutto elegantino, spesso in completo blu, le Clarks per un tocco radical-chic e perché lo aiutano nel passo felpato; l’aria pensosa, quasi turbata. Poi, ti fissa: lo sguardo di uno che ha deciso di dirti qualcosa di definitivo.
I cronisti che ci cascano, ormai, si contano sulle dita di una mano. Eppure, per una volta, alla vigilia del voto per il ddl sulle riforme costituzionali, Civati sta dicendo una roba forte.
«Per gran parte della cosiddetta minoranza del Pd, la battaglia da affrontare è sempre “la prossima”: così è stato sul Jobs act, così è stato e probabilmente sarà in tutti i passaggi delle riforme, compresa quella che sta per essere votata e che io, però, ovviamente, non voterò».
Nessuno osa interromperlo.
«Succede questo: una settimana prima del voto, i dissidenti sono centinaia. Tre giorni prima, sono diventati una cinquantina. A due ore dal voto, se si arriva a una dozzina è un mezzo miracolo».
La descrizione è piuttosto aderente ai fatti: sì, l’ha proprio azzeccata; se ne rende conto e, di lì a poco, scriverà tutto sul suo blog.
( Ieri mattina ).
I quotidiani pubblicano, con un certo rilievo, i numeri della votazione: la riforma del Senato è passata con 357 voti a favore, 125 contro (FI, Sel, Lega, FdI) e 7 astenuti. Tra questi, 3 dem: Capodicasa, Vaccaro e Galli. Altri 7 dem non hanno partecipato al voto: Boccia, Aiello, Bragantini, Pastorino, Pelillo, Fassina e Civati.
Civati è convinto di avere una pizza pagata da Pier Luigi Bersani. È l’ex segretario ad aver montato su una scommessa, dopo aver ordinato alle sue truppe di accodarsi per l’ennesima volta e seguire i piani del comandante Renzi.
«La riforma del Senato si poteva anche votare, ma votare l’Italicum, così com’è, sarà impossibile. Se l’Italicum non cambierà, la disciplina di partito non reggerà più. Con Civati, scettico, sono pronto a giocarmi una pizza».
Poteva almeno giocarsi una bottiglia di Dom Pérignon. Ma va bene: se rischi di pagare, magari ti viene il braccino.
«Messa così, la faccenda è divertente...», dice Davide Zoggia, guardia scelta dei bersaniani alla Camera, ex presidente della provincia di Venezia: un tipo scaltro, veloce, sicuro.
La metta come preferisce.
«Dire che noi rimandiamo sempre la battaglia finale è un po’ riduttivo. Io suggerisco, in sede di analisi, di tener conto di un paio di aspetti».
Il primo?
«Non va sottovalutato il nostro senso di responsabilità...».
Oh, no, anche lei? Questo lo ripete sempre Bersani...
«Sì, ma io le spiego cosa c’è dentro questo concetto. E sa cosa c’è? C’è la nostra storia. Vede, noi veniamo dal Pci e per noi è impensabile non seguire gli ordini del partito. Se seguiamo l’istinto, è impensabile».
Continui.
«Sul Jobs act, io fui uno dei 29 che non votò. Bene: mi crede se le dico che la notte prima e la notte dopo non riuscii a chiudere occhio?».
Le credo. Il secondo motivo per cui alla fine rimandate sempre la battaglia finale?
«Siamo vittima, dobbiamo ammetterlo, di un meccanismo perverso. Mi spiego: quello, cioè Renzi, arriva e dice che okay, ragazzi, i vostri emendamenti sono ottimi, ma io purtroppo non posso toccare niente perché ho un accordo con Berlusconi. Poi però l’accordo con Berlusconi salta e gli emendamenti non si toccano lo stesso. Uno pensa: sto’ Renzi ci avrà mica presi in giro?».
Poi Zoggia aggiunge che un problema di questi ribelli democratici è anche la loro frammentazione. C’è Bersani con i suoi (tra Senato e Camera ha numeri importanti, sulla carta da farci cadere un governo: con gente che sta pure tutti i giorni sui giornali e in tivù, tipo Miguel Gotor e Alfredo D’Attorre, tipo Roberto Speranza e Maurizio Martina, sempre lì a promettere legnate politiche, barricate, rivolte); poi c’è l’area di Gianni Cuperlo: di solito miti come il loro capo; poi c’è Pippo Civati che rappresenta molto se stesso (a Montecitorio, per dire, i civatiani sono come i coccodrilli albini: dovrebbero esistere, ma avvistarli è sempre complicato); infine c’è tutto un gruppo di dem solitari, tipo Rosy Bindi e Francesco Boccia, tipo Stefano Fassina.
Ecco, Fassina: perché questa minoranza al momento di attaccare, ripiega.
«Guardi... spesso molti di loro, nel merito, sono d’accordo con me: poi, però, mentre io voto no al Jobs act, no alla riforma del Senato... loro, sì, è vero: s’accodano».
Perché?
«Mah... È chiaro che alcuni di loro si ostinano, piuttosto inutilmente, a tenere aperta una finestra di colloquio con Renzi...».
E gli altri? Perché non arrivano mai allo scontro?
«Eh, beh, gli altri...».
Gli altri tengono famiglia, o un mutuo, o entrambe le cose, e uscire dal partito e andare in mare aperto sarebbe un rischio enorme: questo dicono in Transatlantico deputati renziani seduti sui divani, rilassati e ironici, certi che anche il loro capo, a Palazzo Chigi, la pensi così.
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