domenica 29 marzo 2015

SE BERLUSCONI AVESSE FATTO COME RENZI, IN ITALIA CI SCAPPAVA IL MORTO NELLE PIAZZE

 

Lo scrivono ormai in diversi, anche tra i commentatori più benevoli nei confronti del Premier, tra cui, sicuramente, va annoverato il bravissimo Angelo Panebianco (che col passare del tempo però inizia ad avere crescenti perplessità...) : se Berlusconi si fosse azzardato a fare quello che fa Renzi, in Italia ci sarebbero state sommosse di piazza (e anche con qualche morto, aggiungo io). 
Ieri sul Corriere un perdibile Montefoschi ammetteva sì che il tratto del toscano fosse abbastanza in linea con le caratteristiche della sua terra, e quindi la spocchia e l'arroganza, negando però la deriva autoritaria. Renzi vuole solamente governare, decidere, e siccome ha vinto le primarie del PD e ha preso il 41% dei voti.... Ora, vincere le primarie del PD non ti dà titolo a governare, e le elezioni politiche non le ha vinte semplicemente perché non le ha fatte. Il 41% dei voti lo ha preso alle Europee, che è tutt'altra musica, oltretutto con un'astensione di oltre il 40% degli elettori. Insomma, l'investitura elettorale Renzi ancora non ce l'ha. Però governa lo stesso, e lo fa legittimamente, perché il nostro sistema lo consente. Il principio "chi vince governa", che a tanti sembra sacrosanto, nasconde invece la predisposizione autoritaria dell'uomo, perché , in democrazia, bisognerebbe aggiungere  che chi ha la MAGGIORANZA governa, e quella invece è lontana. Infatti si cercano escamotage elettorali per procurarsela. Ho scritto più volte che, in un equilibrio ragionevole tra principio di rappresentanza e esigenza di governabilità della nazione, mi può star bene un premio di maggioranza al vincitore purché abbia ottenuto almeno un livello decente di voti. Non lo dico solo io, lo ha detto anche la Corte Costituzionale, bocciando sul punto il Porcellum. L'Italicum fissa quel limite al 40% e quand'anche mi sembri ancora bassino, potrebbe essere accettabile, ma combinato al raggiungimento di un quorum di partecipazione al voto non inferiore al 70%. Altrimenti, niente premio di maggioranza (al massimo, un quid per la vittoria elettorale, che però non regali il controllo del Parlamento). L'Italicum non prevede nulla di ciò e anzi, introducendo il ballottaggio, rende ballerina anche la cintura di sicurezza della soglia minima del 40% per ottenere il premio. Già i sistemi democratici sono a rischio della cd. "dittatura della maggioranza", come la definì Tocqueville, se poi ci aggiungiamo che questa maggioranza è fasulla perché drogata...
Ma torniamo al confronto Berlusconi - Renzi. Panebianco ha facilmente ragione quando ricorda l'ossessione e la ferocia antiberlusconiana ( in molti casi, veri casi psichiatrici), e ne ha ancora quando rileva che Renzi, facendo cose analoghe se non "peggiori", suscita reazioni critiche molte meno diffuse, ancorché i toni siano crescenti. Il Professore è un fautore del "decisionismo", ed ha ragione, visto i danni della concertazione e dei compromessi sempre al ribasso tipici dell'Italia repubblicana, specie dagli anni '70 in poi. Però valgono le osservazioni critiche di cui sopra : l'investitura democratica di chi è chiamato a decidere, che è data da un consenso elettorale adeguato.
Scrivere che Renzi si è cucito addosso la legge elettorale che va varando, non è evidentemente rassicurante da questo fondamentale punto di vista. 
Buona Lettura


Ai tempi in cui c’era lui
di Angelo Panebianco

 
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Sia Berlusconi ai suoi bei dì che Matteo Renzi da quando è al governo sono stati accusati di autoritarismo, di rappresentare una minaccia per la democrazia. Ma c’è una grandissima differenza. Berlusconi aveva contro (ferocemente contro) metà dell’Italia e, per conseguenza, anche una grande quantità di persone che contavano tantissimo sia dentro che fuori il Paese. Renzi, invece, è accusato di autoritarismo solo da una minoranza (sinistra pd, Cinque Stelle, una parte del sindacato), per lo più composta da sconfitti, molti dei quali presumibilmente in marcia verso una definitiva marginalità politica . Non è la stessa cosa. E infatti le campagne contro Berlusconi e il suo supposto autoritarismo videro impegnati eserciti sterminati, guidati da persone dotate delle risorse necessarie per alimentare un volume di fuoco elevatissimo, capaci anche, ad esempio, di arruolare nella crociata antiberlusconiana fior di cronisti stranieri, figure di spicco del Parlamento europeo, eccetera eccetera.
Niente del genere è accaduto e accade a Matteo Renzi. Eppure Renzi, ad esempio, ha predisposto una riforma della Rai di cui un aspetto non secondario è accrescere il controllo di Palazzo Chigi. Sta proponendo, con esiti ancora incerti, una stretta sulla pubblicazione delle intercettazioni giudiziarie e uno dei suoi, per l’occasione, ha ipotizzato (pensate cosa sarebbe successo ai tempi di Berlusconi) il ricorso al carcere. Renzi, inoltre, ha messo in piedi una riforma elettorale che gli cade addosso perfettamente come fosse un vestito di alta sartoria (invece, la cattiva legge elettorale fatta a suo tempo da Berlusconi servì a lui ma anche, e forse soprattutto, ai suoi alleati). Infine, Renzi sta (finalmente) imponendo il superamento del bicameralismo paritetico. Quando Berlusconi tentava di fare cose simili, veniva giù il Paese, gli attacchi e gli allarmi contro il «nuovo fascismo» erano quotidiani, anche sulle reti Rai. O qualcuno si è forse dimenticato di cosa accadeva all’epoca dei governi Berlusconi?
Ci sono tre considerazioni da fare. La prima è che, molte volte, quanto più i «grandi principi» e i «grandi valori» vengono sbandierati con ossessione, quanto più ci si straccia pubblicamente le vesti in loro difesa gridando al lupo, tanto meno chi lo fa crede davvero in quei principi e valori. I principi vengono spesso usati in modo strumentale, piegati alle esigenze politiche del momento, sono, per molti, armi da usare contro il nemico politico e da rinfoderare quando è l’amico a fare ciò che faceva il nemico.
La seconda considerazione è che era insopportabilmente esagerata la «mobilitazione anti autoritaria» contro Berlusconi. È pertanto decisamente un bene che (sia pure a causa dell’opportunismo e del doppiopesismo di tanti) tale mobilitazione non ci sia, o coinvolga comunque assai meno persone, nel caso di Renzi.
La terza considerazione è che non c’è contraddizione fra volere un rafforzamento del governo (e dunque un accrescimento delle capacità d’azione di chi momentaneamente lo controlla) ed essere pronti a criticarne le singole decisioni e azioni. Proprio se si auspica, perché serve alla democrazia, un più forte potere esecutivo, occorre essere pronti a fargli le bucce ad ogni passo falso. Le democrazie hanno bisogno di governi forti (e chi scambia ciò per «autoritarismo» prende lucciole per lanterne). Non hanno invece bisogno di stuoli di cortigiani sdraiati ai piedi del suddetto governo forte. E il premier ne ha tanti.
Renzi ha un grande merito: sta abituando la democrazia italiana all’idea che «un uomo solo al comando» non equivalga, in quanto tale, e solo per questo, al fascismo. È anche possibile che i futuri libri di storia finiscano per ricordarlo soprattutto per questa eccellente, meritoria impresa. Ma questo non deve renderlo immune dalle critiche. Le lodi doverose per certe buone cose varate non possono oscurare i motivi di biasimo. Sia per il tanto fumo e poco arrosto che per certe scelte, le quali spacciano come «grandi innovazioni» banali, antiche, e collaudate, furbizie elettorali.

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