martedì 21 aprile 2015

ITALICUM ? CHIAMIAMOLO PRORENZUM

 

Stimo Giovanni Orsina, ho letto qualche suo libro e lo seguo, saltuariamente su La Stampa. Naturalmente questo non vuol dire essere d'accordo su tutto quello che scrive. Per esempio, la sua riflessione sull'Italicum prossimo venturo, che lui stesso suggerisce di ridenominare "Prorenzum" , tanto è palese l'abito sartoriale che il premier (da oggi p minuscola) si è cucito addosso (il primo che ho letto usare questa immagine è stato Panebianco, uno di quelli non contrari a renzino), non mi persuade nelle conclusioni.
SI può valutare una legge importante come quella elettorale col criterio del "male minore" ? Potrei accettarlo in altre materie, come passo intermedio (ad esempio, in materia previdenziale si è proceduto così, per tornare al sistema contributivo dopo il bengodi retributivo durato qualche lustro e che ha contribuito a scassare le casse della previdenza) essendo troppo socialmente traumatico un provvedimento diverso. Si chiama compromesso, e, se non fatto al ribasso, in politica ci sta. Ma qui parliamo di una legge con falle importanti, in una materia delicata, interessando il voto, cioè la massima espressione della partecipazione democratica, e francamente dovrebbe essere inaccettabile il criterio dell'abito su misura.
E invece i critici lo rilevano ma poi concludono che possiamo digerirlo anche così...
Motivo ? E' un momento in cui è opportuno aumentare il potere di chi governa.  Chi scrive non ama il parlamentarismo paralizzante conosciuto nella prima repubblica, specie dagli anni '70 in poi, e ha sempre auspicato l'approdo presidenziale. Che però, nei paesi in cui c'è, è dichiarato e costruito in modo diverso dall'ibrido che Renzi si va sistemando. Sono tempi eccezionali ? Sia. Ma allora era meglio l'antica Roma, dove era previsto il ricorso ad un dittatore per un periodo circoscritto, senza che la dittatura diventasse sistema. 
Renzi si fa una legge dove si assicura la maggioranza in Parlamento, dove entreranno sostanzialmente solo i suoi peones, attraverso un premio assegnato anche nel caso in cui i voti raccolti rappresentassero una minoranza evidente del corpo elettorale ( col ballottaggio potrebbe prendersi il 55% dei seggi con il 20% degli elettori aventi diritto). Non solo, ma come ormai gli viene rimproverato anche dagli osservatori più benevoli, azzera la consistenza dell'opposizione, abbassando la soglia di ingresso ad un ridicolo 3% in modo da favorire la disgregazione dell'opposizione, con la formazione di tanti cespugli alla Alfano, tanto per non fare nomi...
E quel simil giuda di Migliore, transfuga di Sel, lì a spiegarci che con questo sistema abbiamo quadrato il cerchio : governabilità ( anche se non hai i voti, governi perché ti sei creato il volano per la maggioranza) e rappresentanza ( facciamo entrare tutti, basta che non contino).
Ora, Michele Ainis dice che questa cosa puzza di incostituzionalità, e magari il Presidente della Repubblica potrebbe parlare adesso, per convincere il capo del governo a correggere qualcosina...
Ma come dice Sansonetti, il nuovo Capo dello Stato non sembra esattamente un leone...
O forse è semplicemente persona grata. 





L’Italicum è il male minore






Alla fine di questo mese la Camera dei deputati comincerà l’esame della legge elettorale che il Senato ha già votato, e sulla quale il Partito democratico si è profondamente diviso nei giorni scorsi. In questo articolo cercherò di spiegare per quali ragioni, a mio avviso, l’approvazione di quella legge sia per il nostro Paese il male minore. 
Alla proposta di riforma è stato dato il soprannome di «Italicum». È un nomignolo sbagliato: se proprio vogliamo continuare a usare il «latinorum» per battezzare i sistemi elettorali (un’idea di Giovanni Sartori, e non certo fra le sue migliori), questo in realtà dovremmo chiamarlo «Prorenzum».  
Un importante premio di maggioranza alla lista, che soltanto il Pd potrebbe sperare di cogliere al primo turno; un eventuale ballottaggio al quale, con Renzi, a tutt’oggi arriverebbe un grillino; la possibilità di designare dall’alto una quota importante di parlamentari; una soglia di sbarramento modesta, tale che l’opposizione ne uscirebbe con ogni probabilità frammentata e impotente.  
Questa legge è un abito tagliato su misura per il presidente del Consiglio. 
E non basta. L’approvazione della riforma, perfino a prescindere da suoi contenuti, renderebbe Renzi politicamente ancora più forte. Là dove al contrario, e soprattutto, la sua bocciatura lo indebolirebbe non poco. Poiché questa è la posta in gioco, si capisce allora perché nel Partito democratico e fuori di esso sia venuta montando l’opposizione: se il divario di potere fra il presidente del Consiglio e gli altri soggetti politici, che è già amplissimo, continua a crescere, poi a quello chi lo prende più? Conviene cercare di fermarlo, o almeno di mettergli delle condizioni, adesso. 
Ma se così stanno le cose – si dirà – non bisognerebbe allora giungere alla conclusione che questa riforma dev’essere respinta come il peggiore dei mali? E perché all’inizio di questo articolo s’è detto invece che la sua approvazione sarebbe il male minore? La risposta breve a queste domande è che le alternative appaiono ancora peggiori. Una risposta più articolata richiede che quelle alternative siano considerate con un po’ di attenzione. 
La prima possibilità è che, con un gioco di navetta fra Camera e Senato, la legge sia infine approvata in una forma diversa dall’attuale. La seconda è che si vada al voto col sistema proporzionale che la Corte costituzionale ha creato nel momento in cui ha dichiarato illegittima la legge Calderoli. Ora, nulla vieta di sperare che, se dovesse verificarsi il primo caso, sia approvata una riforma migliore dell’attuale. E che, se dovesse invece verificarsi il secondo, si apra infine una legislatura costituente: eletta con la proporzionale, come le legislature costituenti dovrebbero, e dotata d’una legittimità senz’altro maggiore di quella del parlamento attuale, che è nato da un’elezione incostituzionale. 
Nulla vieta di sperarlo, però quasi tutto spinge con forza a dubitarne. Basta dare un’occhiata alle scene a dir poco surreali cui stanno dando vita le elezioni regionali, e non certo soltanto a destra: scissioni, sconfessioni e ricomposizioni; alleanze a geometria variabile; candidati d’uno stesso partito o schieramento l’un contro l’altro armati; governatori uscenti che si ripresentano col sostegno dello schieramento opposto a quello col quale hanno governato finora; elezioni primarie contestate e delegittimate; impatto destabilizzante delle questioni giudiziarie. Questo non è certo il quadro di un sistema partitico che sia in grado di decidere alcunché. Al contrario, è il quadro d’un sistema partitico in avanzatissimo, e chissà se reversibile, stato di decomposizione. E che infatti – per chi se ne sia dimenticato – gira da anni a vuoto intorno alla riforma elettorale e a quella costituzionale. 
L’approvazione del «Prorenzum» genera il timore, nient’affatto infondato, che il presidente del Consiglio diventi troppo potente. Il suo fallimento lascia sperare che possano essere trovate soluzioni più equilibrate. A mio avviso, però, oggi in Italia il pericolo della paralisi decisionale è assai più prossimo e grave di quello dell’eccesso di autorità; e, date le condizioni di drammatica balcanizzazione politica, soluzioni alternative avrebbero scarsissime probabilità di materializzarsi. Da qui la convinzione che questa riforma elettorale rappresenti per l’Italia il male minore. Alla quale si aggiunge la speranza che, col tempo, un assetto istituzionale un po’ più solido promuova la nascita, in forme che oggi è difficile prevedere, di un’opposizione degna di questo nome

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