giovedì 30 aprile 2015

PERCHE' L'OSTIA CONSACRATA DEL PRORENZUM E' INDIGESTA. UN GRANDISSIMO MICHELE AINIS



Non credo sia un caso che per comunicare urbe et orbi il proprio verbo, renzino abbia scelto La Stampa, che da tempi non sospetti, cioè dall'insediamento dell'attuale premier, ha i contorni dello scendiletto di casa Renzi a Pontassieve.
Del resto, l'unica voce dissonante, troppo critica, quella di Luca Ricolfi, è scomparsa dal giornale torinese - e con lui, è scomparso il mio abbonamento digitale.
Così Geremicca, Sorgi, la Gualmini (quest'ultima letteralmente infatuata dal toscano, che pure certo una bellezza non è...ma si sa, il potere è un grande afrodisiaco...) ..., sono lì a lodare l'uomo forte del momento, in una pratica ben nota, quella del soccorso al vincitore.
I giornaloni autenticamente nazionali - La Stampa evidentemente non lo è , mentre lo sono Corriere e Repubblica - sono più snobbati dal capo del governo perché non abbastanza amici.
E infatti nell'editoriale del primo compare oggi l'articolo di Ainis, costituzionalista non avverso a Renzi, ma razionalmente critico dell'Italicum (come lui, molti altri, come Panebianco e Orsina, che pure non sono degli anti renziani, anzi). 
Le critiche di Ainis, fatte anche in passato, nella vana speranza che certi errori potessero essere corretti, entrano nel merito della legge, riguardano le criticità delle nuove regole, non vertono sulle questioni politiche, e quindi il pro o contro Renzi, come ormai sta diventando consuetudine, proseguendo quella, ancora più viscerale e sanguigna (ma magari è solo questione di tempo), che aveva caratterizzato l'età berlusconiana.
Certo Renzi è uomo assolutamente divisivo, la spaccatura è nelle sue corde, arrogante (disinvolto piace di più ?) com'è. 
Ma, ripeto, le questioni poi dovrebbero essere valutate nel merito.
E i difetti del "Prorenzum" (come l'Italicum è stato ribattezzato da Orsina, che pure lo considera il male minore) sono evidenti.
Io li ho elencati più volte, e devo dire ho ricevuto poche repliche, e più spesso non ragionate. Il pregio più grande, more solito quando si parla di Renzi, è che finalmente c'è uno che "decide" (veramente, su cose serie come gli immigrati o, parlando di tutt'altro, la querelle con l'India per i Marò, tutto questo decisionismo sfugge...) , e che è bene che in Italia ci sia una legge elettorale che stabilisca chi deve comandare, senza inciuci.
Perfetto, abbiamo creato il presidenzialismo ? No, certo che no, per farlo bisognerebbe provvedere con una legge costituzionale, non basterebbe certo quella ordinaria...
Ma Renzi, con l'Italicum, proprio questo ha realizzato, di fatto...
Ai renziani, ai fan dell'uomo della provvidenza del momento, all'ennesimo unto del signore, va bene così. Un po' miopi, un po' troppo attaccati al "qui ed ora", come se gli equilibri (squilibri più appropriato) contingenti durassero in eterno. E quando a fruire di una legge che assegna la maggioranza assoluta ad uno che magari, in concreto, avrà avuto il 25, anche il 20% del voto degli aventi diritto, non sarà più l'uomo per cui tifate, ma l'avversario ? Vi andrà bene lo stesso ?
Dubito assai... Oppure verrà un altro, stavolta lui con i numeri giusti, ma NON gradito dalle tifoserie oggi trionfanti, che si farà a sua volta la legge elettorale su misura (PAnebianco questo dice dell'Italicum), sostituendo i membri contrari delle commissioni parlamentari e procedendo a colpi di fiducia ...
Andrà bene ? Anche in quel caso ci accontenteremo che "i regolamenti sono stati rispettati" ?
Oppure agiteremo le folle? In fondo non sbagliano Letta, Fassina ed altri quando  dicono "se fosse stato Berlusconi a fare tutto questo, ci sarebbero state le rivolte in piazza". 
Renzi, grazie al Porcellum, e alla regola italiana più inviolabile che è "tengo famiglia", regna su un parlamento dove nel 2013, quando fu eletto, lui contava come il due di coppe (briscola denari), sconfitto alle primarie da Bersani, con 40 dei suoi dentro per pietà. Oggi 40, e nemmeno, sono gli oppositori dem. Solo nel paese del 25 luglio - e dell'8 settembre - poteva accadere una cosa simile senza stupire nessuno.
Le considerazioni di Ainis sono, a mio parere, blindate, sia da un punto di vista giuridico, che politico che di buon senso.
Per questo non potevano trovare usbergo
Buona Lettura 




Le regole come atto di fede 
di MICHELE AINIS
 
Più che la fiducia, ormai serve la fede. Un atto religioso, non politico. Un giuramento, non un voto. Ieri il governo ha chiesto (e ottenuto) la fiducia dai parlamentari; ma è come se l’avesse chiesta a tutti gli italiani, separando gli infedeli dai fedeli. È infatti questo il retroscritto della legge elettorale: non ne cambio più una virgola, nemmeno quella falsa clausola di salvaguardia che desterà non pochi grattacapi a Mattarella quando dovrà metterci una firma. Non lo faccio perché l’Italicum è già il meglio, perché non si può migliorare il meglio. E voi dovete crederci.
Noi crediamo alle buone intenzioni del presidente del Consiglio. Ne ammiriamo l’energia, ne appoggiamo il progetto d’innovare norme e procedure. Ma quando l’impeto riformatore investe le stesse istituzioni occorre la ragione, non la fede. 

E il costituzionalismo alleva una ragione scettica, diffidente nei confronti del potere. Perché ha esperienza dell’abuso, sa che l’uomo troppo potente diventa prepotente.  
Non sarà il caso di Renzi, ma può ben esserlo di chi verrà dopo di lui. D’altronde le regole del gioco durano più dei giocatori.
Da qui il primo dubbio che ci impedisce d’ingoiare l’ostia consacrata. L’Italicum determina l’elezione diretta del premier, consegnandogli una maggioranza chiavi in mano. Introduce perciò una grande riforma della Costituzione, più grandiosa e più riformatrice di quella avviata per correggere le attribuzioni del Senato. Ma lo fa con legge ordinaria, anziché con legge costituzionale

 L’ avessero saputo, i nostri costituenti sarebbero saltati sulla sedia. Loro non volevano questa forma di governo, e infatti ne hanno stabilita un’altra. Dunque l’Italicum stride con la Costituzione vecchia, ma pure con la nuova. Perché quest’ultima toglie al Senato il potere di fiducia, e toglie dunque un contrappeso rispetto al sovrappeso dell’esecutivo. Mentre a sua volta dimagrisce il peso dell’opposizione: con una soglia di sbarramento fissata al 3 per cento, in Parlamento si fronteggeranno un polo e una poltiglia. Eppure basterebbe poco per trasformare i vizi in altrettante virtù. Alzando la soglia dal 3 al 5 per cento, come avviene in Germania. Distribuendo il premio fra tutti gli alleati, o meglio fra i partiti coalizzati che abbiano superato quella soglia minima, per evitare che in futuro si ripeta quanto sperimentò Prodi con Mastella.
Rendendo obbligatorio il ballottaggio se nessuno conquista il 45 (non il 40) per cento dei consensi, in modo che il bonus di maggioranza lo decidano sempre gli elettori, anziché il legislatore. E magari aggiungendo un bonus di minoranza, in premio al secondo partito. Come del resto succede in Champions League, dove accedono le prime due del campionato. Ne otterremmo in cambio un’opposizione più forte, non un governo più debole. Nessuno di questi correttivi demolirebbe l’impianto dell’Italicum. Il presidente del Consiglio tuttavia li ha rifiutati, declamando una parola magica: governabilità. Sta a cuore anche a noi, rendere il sistema più efficiente. Ma la governabilità dipende dalla politica, non dalla matematica. Non basta trasformare i deputati in soldatini, e non basta un deputato in più per conseguirla. La governabilità dei numeri — su cui insiste, per esempio, D’Alimonte — è una formula rozza, oltre che fallace. Quest’ultima deriva viceversa dalla legittimazione dei governi, dunque da regole legittime e da politiche condivise. 
Altrimenti divamperà l’incendio, sicché a Palazzo Chigi avremo bisogno d’un pompiere. Come disse Leonardo Sciascia in Parlamento (5 agosto 1979): «governabilità nel senso di un’idea del governare, di una vita morale del governare». Ma Sciascia è morto, e neanche noi stiamo troppo bene.

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