lunedì 18 maggio 2015

PANEBIANCO : QUANDO LA LINEA TRA BENE E MALE NON E' NETTA

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Difficile sempre distinguere il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, e conseguentemente decidere "che fare".
Dopo la caduta del muro, e la dissoluzione dell'Unione Sovietica, il mondo si è vieppiù complicato, ed è venuto meno un riferimento spesso utile nel decidere, nelle varie situazioni internazionali, quale strada prendere. 
Riflette su questi aspetti Angelo Panebianco nell'editoriale del Corriere della Sera, concentrando in particolare sulla situazione araba ed islamica. 
E in effetti il quadro è complesso e non promettente.
Buona Lettura 





Bene e male Quella linea incerta
di Angelo Panebianco

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C’è stato un tempo, il tempo della Guerra fredda, in cui gli amici e i nemici, il bene e il male erano facilmente riconoscibili. Una volta presa la decisione fondamentale (stare con i democratici occidentali oppure con i comunisti sovietici) tutto discendeva di conseguenza. Era un mondo «semplice», chiaro e limpido sotto il profilo morale, ove si sapeva sempre da che parte stare, ove era sempre evidente
dove fossero ubicati il bene e il male. Ed era anche un mondo in cui ciascuno era in grado di calcolare, per lo meno all’ingrosso, il proprio interesse.
Oggi non è più così. Si guardi all’atteggiamento di noi europei di fronte all’intricatissima situazione del Medio Oriente. Non solo il bene e il male si confondono ogni giorno, non è possibile distinguerli, ma anche decidere quale sia l’interesse che a noi europei (come gruppo di Stati o come Stati singoli) conviene perseguire non è sempre facile. In molti casi ci troviamo di fronte a scelte che hanno contemporaneamente un lato luminoso e un lato oscuro, che sono segnate da un’ineliminabile ambiguità. Ad esempio, come ha scritto giustamente Franco Venturini sul Corriere di ieri, gli europei dovrebbero fare pressione sull’Egitto del generale Al-Sisi perché la condanna a morte dell’ex presidente Morsi non venga eseguita (probabilmente non lo sarà. Al-Sisi non è uno sciocco, non ha interesse a suscitare l’ostilità della comunità internazionale).

Ma al tempo stesso è un fatto che non possiamo dare alla società egiziana l’impressione di parteggiare per i Fratelli musulmani, un errore che gli occidentali commisero (alienandosi molte simpatie fra gli egiziani) quando Morsi era ancora al potere. E sempre a proposito dell’Egitto: i regimi militari nati da colpi di Stato sono sicuramente una gran brutta cosa ma sono anche peggiori dello Stato autoritario islamico che il maldestro Morsi a un certo punto tentò di imporre nel suo Paese? Dove stanno il bene e il male?
Oppure prendiamo il caso di Saddam Hussein e di Gheddafi. Fu una buona cosa spazzare via due regimi sanguinari o era meglio lasciarli al potere tenuto conto di ciò che ne è seguito sia in Iraq che in Libia? E c’è poi il caso del dittatore siriano Assad. C’è chi pensa che convenisse, e che convenga tuttora, all’Occidente impegnarsi per abbatterlo, tenuto conto di quante cose tremende quel dittatore ha fatto al suo stesso popolo. Sì, ma dopo? Anche ammesso (e non concesso) che fosse stato possibile mandare al potere in Siria uomini ragionevoli anziché fanatici, anziché estremisti islamici, come saremmo riusciti, ad esempio, ad assicurare protezione a quella minoranza cristiana che in Siria sta con Assad perché teme le persecuzioni che seguirebbero a una eventuale vittoria sunnita?
E l’elenco non è finito. È chiaramente nel nostro più vitale interesse colpire con la massima durezza lo Stato islamico (ex Isis), indebolirlo militarmente e fare in modo che il mito del Califfato prima o poi si appanni e si sgonfi, che il suo carisma smetta di eccitare e di attrarre giovani islamici da ogni parte del mondo. Ma per perseguire questo vitale interesse abbiamo forse anche bisogno di rendere esplicita, consolidandola, l’alleanza militare fino ad oggi implicita, di fatto, con Assad di Siria e con l’Iran (sciita)? C’è il rischio che un’alleanza esplicita di tal fatta faccia pagare a noi occidentali costi molto elevati. I sunniti (che sono la netta maggioranza nel mondo islamico) diventerebbero ancora più ostili di quanto già oggi non siano nei confronti degli occidentali laddove questi risultassero anche formalmente alleati con i loro arci-nemici sciiti.
Anche la trattativa con l’Iran per il nucleare ha il suo lato oscuro. È una trattativa ragionevole se riesce a ritardare nel tempo l’avvento di un Medio Oriente nucleare (quando l’Iran si doterà della bomba, l’Arabia Saudita, l’Egitto, e forse anche altri, seguiranno immediatamente). Ma non è ragionevole se contribuisce a spezzare i residui esili fili fra gli occidentali e le potenze sunnite.
E ancora: forse abbiamo fatto bene a tenere la Turchia, con i suoi ottanta milioni di musulmani, fuori dall’Europa. Ma, forse, il prezzo di una Turchia in via di accelerata ri-islamizzazione (quanto sta oggi accadendo), impegnata a sostenere l’islamismo politico ovunque esso si trovi (per esempio, in Libia) è, per gli europei, ancor più salato.
Come si vede, non solo il bene e il male si confondono, ma la stessa definizione di quali siano i nostri interessi in una così complicata vicenda è difficile da stabilire. Alla fin fine, forse, possiamo dire che in Medio Oriente gli europei dovrebbero avere, oltre diversi obiettivi pragmatici, da definire e ridefinire giorno per giorno (si tratti di business, rifornimenti energetici, controllo dei flussi migratori, contenimento delle minacce terroriste, eccetera), due soli obiettivi duraturi e irrinunciabili, due soli obiettivi che possiamo chiamare «di civiltà», collegati alla storia e alla identità europee e occidentali: fare il possibile perché non avvenga mai una seconda Shoah (quella distruzione di Israele che continua ad essere sognata e invocata da tanti musulmani in Medio Oriente) e proteggere le minoranze cristiane colpite dalla violenza dei fondamentalisti islamici.
Al primo ministro britannico ottocentesco Benjamin Disraeli è attribuita l’affermazione secondo cui le nazioni non hanno amici o nemici stabili ma solo interessi permanenti. Forse è così. Ma non sempre si riesce a capire come soddisfarli. 

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