lunedì 1 giugno 2015

ADDIO 41% : IL RENZI FURIOSO SE NE VA IN AFGHANISTAN PER EVITARE I COMMENTI DEL DOPOVOTO

Elezioni, finisce 5-2 : ma è uno stop per Renzi Pd perde la Liguria.  De Luca vince in  Campania

La buona notizia è che da oggi il premier e i suoi ventriloqui dovranno smetterla di ricordare il 41% delle elezioni Europee, exploit isolato, favorito tra l'altro dall'astensione nonché dal pericolo "Grillo", che stavolta non era più visto come una sorta di "Annibale alle porte". 
Se i dati verranno confermati, i voti del PD su base nazionale precipiterebbero al 24%, addirittura qualcosa meno del pessimo 25 rimediato da Bersani nella famosa "non vittoria" del 2013. 
Ora, non bisogna esagerare questi dati, intanto perché vanno verificati dagli esperti capaci di scorporare, leggere i flussi, e ricordare comunque la valenza anche locale del voto. 
Però non sono in ogni caso numeri positivi per l'uomo convinto che il suo partito della Nazione valesse ormai il 40% utile per il premio di maggioranza concepito con l'Italicum. 
Confermato poi il dato pessimo dell'affluenza alle urne, precipitato al 53% ! La metà degli italiani non va a votare e io sono convinto, a differenza di certi amici aristocratici, che : 1) non è un buon dato per la democrazia 2) mettiamo pure che un 50% di quegli elettori sia ormai perso, gente che non tornerà più a votare per menefreghismo o delusione irrecuperabile, resterebbe . Restano gli altri,vale a dire 12-13 milioni di voti !!! Un tesoretto che dovrebbe fare gola a tutti e che non può fare tranquillo nessuno, ma soprattutto il centrosinistra, tenuto conto che la maggior parte di quei voti appartengono allo schieramento moderato, che a sinistra non vota e non confluisce sui partiti protestatari ( M5S e Lega).
Quanto alle regioni in sé, soddisfazione massima per la legnata mortificante rimediata dalla Moretti in Veneto, nonostante la candidatura di Tosi che ha sottratto oltre il 10% dei voti a Zaia. Nonostante questo, il governatore ora riconfermato ha doppiato la candidata del PD. A questo punto è forte la speranza che la Moretti, inanellata l'ennesima pessima figura, sparisca dai radar nonostante il suo aspetto piacente e rifletta che, anche in politica, un po' di serietà e capacità ci vogliono.
Il successo di Toti in Liguria è ovviamente figlio della spaccatura a sinistra, e anche questo farà meditare renzino : quello che perde a Gauche non lo recupera a Doit...
In Campania, De Luca, dato favorito, nonostante tutto, ce la fa su Caldoro (a sud l'austerity non poteva certo essere premiata, a dispetto dei conti in parte risanati ) , e vedremo che accade con l'applicazione della Legge Severino, specie adesso che la Cassazione ha messo fuori causa il TAR campano, al quale il neo governatore guardava con molta fiducia...
In attesa d proporvi i commenti più interessanti dei migliori opinionisti, ecco intanto l'articolo sulle prime reazioni del premier al voto.
Non troverete la notizia del suo volo in Afghanistan, appena trasmessa su sky24 e rimbalzata in rete. 
Una "fuga" che vale più di molte parole.




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L’attesa (e la rabbia) di Renzi: basta con la corrente organizzata

Il leader non intende cacciare nessuno, ma è pronto a intervenire sul partito nel partito

di Maria Teresa Meli





Matteo Renzi (LaPresse)  
Matteo Renzi (LaPresse)
 


ROMA Matteo Orfini aveva proposto di portare la PlayStation per batterlo nell’attesa dei risultati elettorati: con questa premessa Renzi si è avviato verso Roma, aspettando i primi exit poll della «7» che non coincidono perfettamente con quelli del Nazareno.
Un occhio alla disfida con il presidente del Pd, l’altro rivolto al partito, o meglio, a quella fetta della minoranza che ha giocato per farlo «perdere». E che alla fine ha «rivitalizzato» Grillo e ha regalato la vittoria a Toti, facendo un capolavoro in Liguria: «Cofferati ci ha divisi e ha lavorato per i 5 stelle».

«Dopo le elezioni - ha spiegato Renzi ai collaboratori - bisognerà ragionare tutti sul modo in cui si sta insieme nel Pd e sulla lealtà e i vincoli d’appartenenza a una stessa comunità politica. C’è il rispetto delle regole e il rispetto tra di noi che siamo sulla stessa barca».
Non caccerà nessuno, Renzi, però non ritiene più «accettabile» che ci si comporti come «una corrente organizzata» dentro il Pd e che un gruppo compatto «come un partito dentro un partito» voti «contro riforme che il governo considera delle priorità».
No, per come la vede lui «gli interessi di corrente non possono prevalere rispetto a quelli di partito». A meno che non si esca. Cosa sempre possibile. Come è stato possibile - e fattibile - che «una parte della Cgil abbia fatto campagna a favore dell’astensionismo in Veneto», anche se prima della sua segreteria ha sempre fatto un battage pubblicitario al Pd.
«Ecco - racconta con un sorriso amaro il segretario ai collaboratori - queste sono le condizioni nelle quali ha dovuto giocare il mio Pd». Con un pezzo dei democrat che tifava perché «perdessero il governo e il Pd». E il pensiero del premier a questo punto va, inevitabilmente, non solo a Bindi, ma anche ai Bersani, ai Fassina, ai D’Attorre. A coloro che non aspettavano altro che il cinque a due per dargli addosso.
«Pensando di colpire me, erano pronti a colpire il loro partito. Questo è tafazzismo purissimo. Hanno voluto perdere in Liguria, loro come lo spiegheranno ai nostri militanti e ai volontari delle feste dell’Unità?». E ancora: «Ma anche se vincessimo in altre regioni dove adesso siamo in bilico, come in Campania, alla fine, loro che potrebbero dire? Avremmo preferito perdere? Tifavamo per un altro? Abbiamo addirittura delegittimato l’Antimafia pur di far perdere Renzi?».

Il quale Renzi, si sa com’è fatto. Lui non va mai indietro. Semmai fa un passo di lato, se gli serve. E il voto regionale ha poco a che fare. «Vado più deciso di prima», dice il premier. Come se nulla fosse: «Accelererò sull’azione di governo e consoliderò il partito».
Non sono solo due frasi di prammatica. Lui le spiega così: «Per quanto riguarda il governo, ormai le riforme istituzionali sono avviate, lo stesso vale per la scuola e il lavoro. Ora ci vuole un forum sulla delega fiscale e la riforma della Pubblica amministrazione». Per il premier non esistono altre scorciatoie: «L’idea è davvero quella di arrivare al 2018, a meno che non succeda chissà che cosa».
Insomma, la strada è indicata, nonostante le proiezioni liguri.
E la data indicata dal premier ha un significato preciso: «Bisogna avere il tempo di far percepire gli effetti delle riprese e delle riforme».
Il secondo versante è il partito, che lui sta già immaginando in un prossimo futuro: «Tanto - spiega ai collaboratori - con la minoranza dura e pura non c’è niente da fare. Avete letto l’intervista di Bersani al Corriere? Ma quella roba conta al massimo il 10 per cento, il resto del Pd va consolidato. E quindi ci vuole il pieno coinvolgimento dei nostri ex oppositori e un uomo forte alla guida del Pd». Di nuovo tutti si chiedono: Luca Lotti? La successiva domanda, vista l’enorme mole di lavoro che svolge, è questa: non dormirà più tre ore a notte ma due ?

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