mercoledì 24 giugno 2015

IL CITTADINO SOFRI (PER MOLTI INNOCENTE) HA COMUNQUE PAGATO IL SUO DEBITO CON LA SOCIETA'

 

Grande scandalo per l'invito fatto ad Adriano Sofri di partecipare, in qualità di consulente, ad un lavoro avviato dal Ministero della Giustizia per il miglioramento della condizione delle nostre carceri.
Apriti cielo !!
Su Libero, giornale che pure leggo, titolo cubitale : la riforma della carceri affidata ad un assassino ! 
E' lo stesso giornale che s'inalbera quando gli altri si rivolgono a Berlusconi chiamandolo "Il Pregiudicato".
Nel caso del Cav., si tratta di persecuzione giudiziaria ( della quale io sono arciconvinto, al di là dei demeriti dell'uomo, non pochi né piccoli) , per Sofri vale la condanna passata in giudicato.
E' sempre così, la coerenza è materia sconosciuta ai politici ( e si capisce, anche se non si apprezza) e ai giornalisti (e qui già si comprende di meno).
Personalmente, l'ho scritto più volte, stimo Adriano Sofri, pur non condividendo tutte le sue idee (del resto, lui è un uomo di sinistra, io no), e condanno il suo passato estremista che sicuramente ebbe la sua influenza nel clima degli anni di piombo e segnatamente nell'omicidio del commissario Calabresi, per il quale è stato   condannato come mandante. Da garantista VERO, e non solo nei giorni dispari - chi vuole capire, capirà...- una condanna, ancorché definitiva, che passa per non so quanti processi (15 ?) e pure un paio di assoluzioni, non mi può convincere MAI, persuaso come sono della bontà, in materia penale, del principio del ragionevole dubbio, e quindi dell'obbligo di assoluzione quando non vi sia la certezza (nei limiti umani della parola) della colpevolezza. Ebbene, quale certezza posso trovare mai in una vicenda processuale durata lustri, nella quale la prova regina consiste nella deposizione  di un pentito - Marino -, che si ravvede dopo 16 anni,  e, grazie a riduzioni di pena e prescrizione, non finisce in carcere -  e  dove  i giudici hanno deciso in maniera contrapposta, giudicando gli stessi fatti ??
Ciò posto, accettiamo pure che Sofri sia veramente colpevole dell'omicidio Calabresi (lui ha ammesso la responsabilità morale di quell'evento tragico, negando sempre quella penale).
A differenza degli altri due considerati co-responsabili, Pietrostefani e Bompressi, non è né fuggito (in Francia, dove non ti estradano) né ha chiesto la grazia ( "perché un innocente non la chiede").  Ha scontato la pena in carcere, ed è uscito fruendo dei benefici previsti dalla legge. Quindi, a termini di legge e di giustizia, è un uomo che ha pagato il suo debito con la società.
A questo punto perché mai, considerato il livello intellettuale indiscusso della persona, la sua conoscenza e la sua sensibilità per il problema carceri (tuttora Sofri passa alcune festività nelle mense delle prigioni, a portare doni insieme ad altri volontari), nel momento in cui si organizza un lavoro ministeriale per provare a migliorare il sistema carcerario, il cittadino Sofri non dovrebbe essere ascoltato ?
Perché nella mentalità di tanti, troppi, chi va in galera in realtà non dovrebbe più uscirne, e comunque deve restare un reietto.
"le pene devono tendere alla rieducazione del condannato" deve essere una svista, un indulgere ad una certa retorica lirica dei padri costituenti, che hanno pensato bene (gli stolti !) di inserire un simile principio nella Carta Costituzionale (art. 27, per chi si volesse togliere lo sfizio di controllare). 
Tutto questo anche pensando che Sofri sia colpevole.
Cosa che io, ripeto, NON di sinistra, non credo. 

Di seguito, riporto le parole proprio di Sofri che, con la solita estrema dignità, spiega la vicenda e il suo declinare l'offerta ricevuta.
Un hombre vertical, come pochi è dato vedere in giro. 






A proposito di me

 
Si è sollevato un piccolo chiasso attorno alla mia “nomina” da parte del Ministro della Giustizia come “esperto” di carcere, e in particolare di “cultura, istruzione e sport” in carcere, nel contesto della preparazione di materiali utili a migliorare la condizione delle galere italiane. L’antefatto: ricevuto un invito a partecipare a uno di 18 (tanti) “tavoli” a tema, avevo accettato. Non mi tiro indietro quando si tenti di fare qualcosa di utile alla vita quotidiana dei detenuti e della vasta umanità che il carcere travolge. Il mio contributo si era limitato a una conversazione telefonica con un autorevole giurista, e all’adesione a una eventuale riunione futura. Alla quale invece non andrò, scusandomene coi promotori, perché ne ho abbastanza delle fesserie in genere e delle fesserie promozionali in particolare.
La polemica è stata innescata dal segretario del sindacato di polizia penitenziaria Sappe. Costui mi porta uno speciale attaccamento, spiegabilissimo. Tra le troppo rare circostanze in cui i mezzi di informazione lo menzionano, una ingente percentuale proviene, negli ultimi vent’anni, dalla sua premura per me. Questa volta trova –al punto di essere “letteralmente saltato sulla sedia”- “molto grave e inaccettabile” che io sia considerato esperto di carcere. Ora, non c’è dubbio che ci siano esperti più esperti di me: ergastolani senza riparo, che stanno in galera da una vita e sanno di starci fino alla morte; ragazzi arabi denudati e messi in una cella liscia; detenuti gravemente malati e destinati a creparci (io andai lì lì). Eccetera. Tuttavia anch’io sono passabilmente esperto, avendo conosciuto il carcere più volte –la prima nel 1970, le Nuove di Torino, l’ergastolo di Saluzzo; poi nel 1988, una camera di sicurezza di Milano, il carcere di Bergamo; poi nel 1997 e di nuovo nel 2000, Sollicciano e Pisa, per complessivi nove anni, più altri anni di detenzione a domicilio. Non solo, ma in Italia e fuori non perdo occasione di visitare le prigioni, per quell’antica convinzione che siano uno specchio ideale della civiltà di un paese. Dunque, ammesso che anche il punto di vista di chi ha conosciuto la galera dalla parte di dentro paia di qualche interesse per il progetto di migliorarla, io sono del tutto idoneo a figurare da “esperto”, che non è un titolo di cavaliere. (Sono anche piuttosto esperto di agenti e sindacati di polizia penitenziaria, nella loro variegata qualità). Così ho interpretato l’invito, così l’avrei accettato, salva la verifica della sua utilità. Il titolare del Sappe aggiunge (“ricorrendo all’ironia”, secondo qualche giornale, dotato a sua volta di un raro umorismo) che “meno male che il ministro ci ha risparmiato la nomina del boss mafioso Totò Riina come massimo competente del 41 bis”. Il fatto è che Riina, benché non sia necessariamente “il massimo competente” del 41 bis, ne è certo competente: e troverei del tutto ragionevole che, in una seria indagine sulla realtà del 41 bis, venisse anche lui interpellato in qualità di “competente”. Questo genere di competenza ed esperienza non ha infatti a che fare con l’innocenza, o la colpevolezza, o la gravità della colpevolezza, di chi finisce in carcere. Un Ministero che avesse svolto una sua indagine sulla crocifissione avrebbe fatto bene a raccogliere il parere del crocifisso al centro, del ladrone di destra, e di quello di sinistra. L’indignato sindacalista ha voluto anche avvertire che “gli italiani onesti e con la fedina penale immacolata pagheranno con le loro tasse le trasferte, i pasti ed i gettoni di presenza ad Adriano Sofri”. Incauto: in quell’unica conversazione, avevo dichiarato una mia insuperabile condizione, di non ricevere neanche un centesimo di euro, neanche nella forma di rimborso delle spese. Non l’avevo fatto per prevenire polemiche di tal altezza, che non immaginavo così recidive. L’avevo fatto per una sentita simpatia verso me stesso.
Adesso, detto questo, ripeterò che io sono anche un esperto della giustizia, essendo stato accusato, condannato e imprigionato per un reato che non avevo commesso, e che non avrebbe mai potuto essere provato. Fra le conseguenze pluridecennali di quella ingiustizia c’è anche il salto che ha staccato inopinatamente e però brevemente dalla sedia il segretario del Sappe.

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