venerdì 24 luglio 2015

OSTELLINO APRE UN PERTUGIO : RENZI SA COSA DEVE FARE, POI PERO' NON LO FA...

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Partendo dalla premessa che Piero Ostellino è uno dei più vibranti critici dell'attuale premier, l'articolo comparso ieri su Il Giornale - dove il famoso giornalista liberale è approdato dopo essersene andato dal Corsera, con tanto di porta sbattuta - è quasi una sorpresa, essendo i toni contro renzino un po' più soft. 
Oddio, le critiche continuano a non mancare : dopo un anno e più di governo, l'Italia non mostra segni di miglioramento, anzi, le tasse asfissianti non scendono e il vizio del florilegio, l'eccesso di normazione, non retrocede di un passo. 
Però Ostellino, nel dire questo e altro, aggiunge una cosa giusta e non irrilevante : Renzi non fa meglio, ma nemmeno peggio. E' come gli altri che lo hanno preceduto, che prima o poi si sono arresi alle resistenze corporative, alla difesa italica dell' acquisito (lo chiamano diritto), facendo poco o nulla. Del resto, le famose riforme sono roba radicale e tosta, incompatibile con la fame di consenso dei politici, e solo l'emergenza più dura potrebbe, forse, farle passare.
Per le pensioni (legge Fornero) è stato così. Il Jobs Act, al momento l'unica riforma in corso di reale attuazione, sicuramente delle innovazioni, per esempio nel regolare l' uscita dal mondo del lavoro, le ha portate, anche se ci vorrà tempo per fare i primi bilanci. Quanto all'entrata, bisogna vedere il sistema della decontribuzione quanti posti di lavoro VERI avrà contribuito a creare. 
Ostellino però scrive anche : Renzi aveva mostrato di capire quali erano i problemi e annunciato le riforme volte a risolverli.
Ecco, questo è un riconoscimento inedito, da parte del giornalista, che finora aveva descritto il premier come uomo attaccato solo al potere, molto parolaio e anche un po' ducetto. 
Ora invece si apre uno spiraglio, ancorché piccolo e contornato di pessimismo. 
L'articolo chiude con la riproposizione di una critica nota alla Carta Costituzionale, che personalmente condivido da tempo. 
Buona Lettura 



Renzi sa cosa fare Il problema è che non lo fa

Dopo un anno di governo Renzi, l'Italia sta peggio di prima. È la conferma che, senza riforme radicali che spazzino via l'eccesso di fiscalità e di legislazione di anni di governi orientati a sinistra, il Paese, nella migliore delle ipotesi, vivacchia nella stagnazione o, nella peggiore, regredisce. 


Il presidente del Consiglio aveva avuto il merito di individuarne l'urgenza e aveva annunciato che avrebbe cambiato il volto del Paese con le riforme. Ma poi non ha fatto nulla.
L'Italia di Renzi è quella di sempre perché il governo si comporta come quelli che lo hanno preceduto e ne hanno provocato la crisi dalla quale non accenna neppure ad uscire. Invece di ridurre la pressione fiscale, diventata ormai intollerabile, aumenta le tasse per coprire i costi delle soluzioni di volta in volta individuate. Nuove tasse e maggiore produzione legislativa - con la pretesa di regolamentare tutto, la stessa dei governi che lo hanno preceduto - accrescono gli ostacoli che la società civile deve superare per produrre ricchezza, sviluppo e crescita. Ricordo la conferenza stampa che una delegazione giapponese aveva tenuto a Mosca dopo una serie di colloqui con le autorità sovietiche. «Quando noi abbiamo un problema – avevano detto i giapponesi – cerchiamo di risolverlo; i sovietici convocano una conferenza nella quale elencano le cose che dovrebbero fare, ma poi non le fanno, e tutto si esaurisce lì». In Italia accade la stessa cosa da anni e si ripete con Renzi.
Gli annunci del presidente del Consiglio assomigliano alle volonterose enunciazioni di un convegno di studio. Elencano le cose che si dovrebbero fare, come non dipendesse dal governo farle, ma poi non le si fa perché, evidentemente, c'è qualcuno, o qualcosa, che vi si oppone, o la politica preferisce non farle per non inimicarsi chi non le vuole. Chi sia poi chi non le vuole, è presto detto: è l'apparato burocratico dalla cui soluzione dipenderebbero, ma che non ha né la voglia, né alcun interesse a farle, dipendente come è dalle corporazioni civili.
Renzi aveva mostrato di aver capito quali erano i problemi, aveva annunciato le riforme che li avrebbero risolti, ma poi non le ha fatte. Hanno vinto ancora una volta le corporazioni e la burocrazia che sulla stagnazione ci campano e che impediscono ogni pur piccolo cambiamento; figuriamoci riforme che dovrebbero cambiare la fisionomia del Paese!
Il capo del governo sta facendo la fine che già aveva fatto Berlusconi, cui assomiglia come una goccia d'acqua. Ha il pregio – come l'aveva avuto il Cavaliere - di capire quali sono i problemi – che sono sempre gli stessi - e le soluzioni per risolverli, anch'esse sempre le stesse. Sono le riforme che modernizzino l'Italia e la differenzino dai Paesi di socialismo reale che le dure repliche della storia hanno condannato al fallimento. 
Vengono sistematicamente a galla i vizi d'origine del nostro sistema politico codificati nella Costituzione del 1948, un compromesso fra la cultura liberale, della quale si avvertiva l'esigenza dopo anni di dirigismo fascista, e la cultura collettivista di marca sovietica, cui si guardava con un eccesso di ideologico ottimismo. Le conseguenze dell'ibrido compromesso le paghiamo ogni giorno. Le paga il mondo imprenditoriale, impedito di fare il proprio mestiere da un eccesso di divieti, di licenze e di permessi. Il mondo della politica, sotto l'influsso delle corporazioni e della burocrazia, non ha ancora capito che la licenza è il mezzo col quale ogni potere dispotico esercita il proprio dispotismo sulla società civile. Se per aprire una tabaccheria, o una qualsiasi altra intrapresa, occorre una licenza pubblica, è inevitabile che il Paese o si fermi o produca forme estreme di corruzione per aggirarla. Ma, ad ogni denuncia della corruzione, spunta sempre qualcuno che suggerisce un modo tutto burocratico per combatterla – un nuovo organismo, una legge speciale - così la corruzione, invece di diminuire, aumenta!
Forse, bisognerebbe dare una scossa a Renzi – magari alle prossime elezioni, cui mostra di contare molto – che lo induca a darsi una regolata. Non solo ad annunciare un luminoso avvenire che poi non arriva mai, ma per cercare di consentire alle risorse private di realizzarlo davvero, per quanto possibile, in questa Italia di socialismo reale...

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