giovedì 9 luglio 2015

PER LA FRANCIA LA GRECIA DEVE RESTARE, PER LA GERMANIA INDOVINATE ?

 
Sul Corriere oggi c'erano tanti articoli interessanti riguardanti Grecia e dintorni. In uno Marco Galluzzo descrive un Draghi piuttosto stanco e preoccupato, il quale però trova il brio per una risposta vagamente ironica alla cronista che gli chiede un parere sull'eventualità che la Grecia si rivolga a Mosca : " Ma no, non hanno soldi nemmeno loro..."
Un mito quest'uomo, senza il quale l'Euro non esisterebbe più dal 2012 (il che magari non sarebbe stato questo male epocale, ma siccome lo temiamo, per ora è a lui che dobbiamo dire GRAZIE).
Poi c'è Federico Fubini che si fa una passeggiata per Atene, in un quartiere dove OXI, cioè NO, ha stravinto con l'80% dei voti, e rivela come l'euforia sia durata pochino, anche perché Tsipras, forte del sostegno del popolo, oggi ha chiesto aiuto all'Ente salva Stati, con tutto quello che di "esproprio della sovranità nazionale" questo può comportare... Insomma, qualcuno in Grecia sente puzza di bruciato, temendo che, alla fine, l'orgoglio greco dovrà piegarsi per evitare il crac definitivo.
Infine c'è Danilo Taino, che magari perché corrispondente da Berlino, è quello più filo tedesco, il quale riporta le ragioni del Si (francese) alla conservazione a qualsiasi costo, o quasi, della Grecia nell'eurozona e dell'opposto No, ovviamente teutonico.
Entrambe hanno i loro perché, ma confesso di essere più persuaso da quelle berlinesi. Magari perché Taino quelle le espone meglio ?
Possibile.
Buona Lettura 
 


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 Sembra di essere arrivati alla fase in cui, nella crisi greca, si va con l’autopilota: il Paese è sulla strada che porta all’uscita dall’euro e, se non interverrà qualcuno a sterzare, il Consiglio europeo di domenica prossima ne prenderà atto. Gli effetti del referendum di quattro giorni fa sono durati 24 ore. La situazione economica del Paese peggiora velocemente, innanzitutto a causa della chiusura delle banche, ormai senza più fondi. I centri di studi, indipendenti o delle banche internazionali, in genere danno la probabilità della Grexit sopra al 75%, alcune all’85%. Ieri, Oxford Economics ha pubblicato un’analisi nella quale tra l’altro nota che il vertice di domenica è dei 28 della Ue e non dei 19 dell’eurozona, «per discutere come limitare il contagio derivante dagli eventi che probabilmente si svilupperanno da lunedì mattina».
In questa situazione, è difficile capire se i capi di governo decideranno sulla base dell’inevitabile o sulla base di una scelta politica, cioè rispondendo alla domanda se è meglio che la Grecia resti o esca, definitivamente o per un po’. Però questa risposta sarebbe bene averla: da essa dipenderà cosa faranno i governi, ad Atene e in tutta Europa, nei prossimi mesi per rispondere a quello che è successo, qualsiasi sia la fine. Ci sono ragioni forti e meno forti sia per volere la Grecia dentro sia per volerla fuori. A Berlino prevale nettamente la seconda soluzione, a Parigi la prima. La tendenza francese — fare l’impossibile per evitare la Grexit — teme innanzitutto che se l’euro inizia a perdere un pezzo ad Atene possa poi sfaldarsi con un effetto domino. Se la moneta è unica, non si può uscirne, altrimenti è un semplice sistema a cambi fissi e se si perde la Grecia i mercati lo vedranno in questo modo. Innanzitutto il rischio a medio termine, dunque. Inoltre, perdere un membro dell’eurozona è — secondo questa impostazione — l’ammissione di una debolezza nella costruzione e nella gestione dell’euro alla quale si deve rispondere mostrando la determinazione dei governi a rimanere sulla strada scelta originaria. Infine, a Ovest del Reno si dice che la Grecia soffrirebbe immensamente, fuori dalla moneta unica e per di più rischierebbe di diventare uno Stato fallito su un confine geopolitico importante. 

Tre buoni motivi per dire che la Grexit sarebbe un disastro.
A Berlino il mondo è invece visto al contrario. Non è solo che dei governi greci non ci si fida più, in particolare di quello di Alexis Tsipras: si ritiene soprattutto che la sospensione di Atene sia la scelta migliore oggi. Innanzitutto dal punto di vista della Grecia. Data la situazione dell’amministrazione, del fisco, della corruzione, del nepotismo, dei privilegi consolidati, la crisi ha mostrato che il Paese non è in grado di stare nell’euro — corre la teoria tedesca. Deve ricostruire quasi tutto, ma fargli arrivare altro denaro da fuori è il modo migliore per essere certi che non lo faccia. Meglio che ritrovi le sue energie da solo: tenuto legato alla Ue, aiutato per scopi umanitari ma sulle sue gambe diventate gracili perché non usate a sufficienza. Secondo, dal punto di vista europeo, quello che i francesi vedono come una debolezza in realtà qui è visto come un fallimento: l’architettura dell’euro era sbagliata o comunque mancante in qualcosa e la Grexit costringerà l’eurozona a occuparsene.  

Terzo, se si premia chi non ha rispettato i patti, Atene, si penalizza chi li ha rispettati con enormi sacrifici, da Lisbona a Dublino, da Madrid a Roma. Non è un punto morale: è che se l’eurozona funziona così il modello giusto diventa quello britannico, starne fuori, e più di un’opinione pubblica, al Nord come al Sud, inizierebbe a prendere in considerazione sul serio la possibilità.  
Dal punto di vista europeo, dunque, la domanda è netta: si tratta di forzare la realtà o di prenderne atto e rispondere? 
Ed è più stabile un euro dal quale non si può uscire costi quel che costi o un euro nel quale non ci sono ragioni per uscire? Dal punto di vista greco, invece: quando si parla di solidarietà, cosa si intende, elargire denaro oppure creare le condizioni perché un’Unione funzioni? Al momento non si può dire che i leader europei abbiano affrontato questioni del genere in modo serio. Lo dovranno fare da domenica in poi, quale che sia l’esito del vertice dei capi di governo. Per l’eurozona e per l’Ue inizia una fase comunque nuova: Tsipras non c’entra più.
@danilotaino

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