giovedì 30 luglio 2015

ROMA NON CE LA FA PIU', RENZI DECIDA

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Osservazioni talmente intrise di buon senso, quelle di Antonio Polito sul Corriere di oggi, da apparire quasi banali, non degne dello spazio privilegiato di un editoriale. Però una cosa non del tutto in linea col pensiero dominante l'opinionista nel finale la dice, ed è quando inverte il rapporto Roma - Italia, con la prima specchio corretto delle infezioni molteplici della seconda. Roma non è un'eccezione del dissesto italiano, è un esempio, solo più evidente ed eclatante a causa delle sue dimensioni, della (troppa) gente che ci vive ( più del doppio di Milano, il triplo di Napoli, che sono le due città più  popolose. Tutte le altre sono molto dietro), e naturalmente della sua notorietà mondiale per la sua storia millenaria e per l'indubbia bellezza archeologica monumentale. 
E' questa sua caratteristica, oltre che il suo ruolo di Capiale, a rendere di interesse nazionale la soluzione, almeno iniziata, dei suoi molteplici e gravi problemi. E' per questo che la guerriglia in corso tra Marino e Renzi non porta nulla di buono.
O si collabora, oppure si butta dalla torre il Sindaco, con la sfiducia dei democratici, e si torna a votare.
Ma così è un'agonia.



Il grande Collasso di Roma
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Si dice che la fortuna è cieca, ma la sfortuna ci vede benissimo. Deve esserci dunque una ragione se ha deciso di accanirsi con tanta sadica ostinazione su Roma, facendo della Capitale l’epicentro e il simbolo della crisi italiana.
Per quanto eterna, la città ricorderà a lungo questa estate nera, un vero e proprio groviglio di fallimenti tecnici, errori umani, sabotaggi e disfatte morali. Guardate che cosa è successo nella sola giornata di ieri. L’areoporto di Fiumicino, porta d’ingresso e di uscita del turismo nazionale, è rimasto bloccato per la seconda volta in pochi mesi a causa di un incendio, stavolta pare doloso, al punto che Alitalia minaccia di lasciarlo, avendo già subito danni per 80 milioni di euro. Renzi ha chiamato Alfano e gli ha detto che è «impensabile» che un hub così importante sia bloccato da incidenti o peggio ancora da azioni criminali. Ma invece è pensabilissimo, sono mesi che Fiumicino è un inferno. A sei chilometri di distanza, a Ostia, le Fiamme gialle hanno sequestrato su ordine della procura il porto turistico della città, coinvolto nell’inchiesta su Mafia Capitale. E mentre in Campidoglio si cambiava la terza giunta in poco più di un anno e mezzo, il Viminale faceva sapere che l’inchiesta giudiziaria ha rivelato «gravissimi episodi» nell’attività dell’amministrazione Marino, che il sindaco ha sottovalutato. Tutto ciò mentre il presidente del Consiglio non manca di farci sapere ogni giorno che quel sindaco, per incidens del suo partito, non è all’altezza di Roma, ma che Roma è all’altezza delle Olimpiadi del 2024.


Meno male che a ottobre comincia il Giubileo, una benedizione divina è a questo punto fortemente opportuna.
Il collasso capitale ha però una spiegazione umana, molto umana. L’intera struttura logistica e di servizi sta crollando sotto il peso di una manutenzione a lungo trascurata. Le società complesse sono vulnerabilissime, si fondano su meccanismi automatici e sulla fiducia nel fatto che funzionino, basta un filo elettrico scoperto o un mucchio di sterpaglia non rimossa per rovinare le vacanze di migliaia e migliaia di persone. La manutenzione è la chiave della modernità, e se smetti di farla, o non hai più i soldi per farla, o non hai più le competenze per farla, scivoli in un istante dal primo al secondo mondo, dall’Europa al Maghreb. Che è, più o meno, ciò che sta accadendo a Fiumicino, o alle strade di Roma minate dalle buche, o agli autobus dell’Atac perennemente guasti; ciò che ha denunciato il Corriere nella sua inchiesta sul Grande Degrado con gli articoli di Rizzo e Stella. Figurarsi poi se all’incuria si aggiunge il sabotaggio.
Ma anche la corruzione, la penetrazione dei poteri criminali,
l’asservimento del denaro pubblico alla avidità privata, in fin dei conti è un problema di manutenzione. Politica ed etica. Anche in quel campo ci vogliono persone capaci e vigili al comando, a prevenire e a controllare che prevalga sempre l’interesse generale. Quello che la giunta Marino non è riuscita a garantire. Quando il sindaco si difende dalle accuse dicendo che il sistema Mafia Capitale non è stato prodotto da lui ha ragione. Ma la sua colpa non è ciò che ha fatto, è ciò che non ha fatto mentre era lui di guardia, ed è lecito dubitare riesca a farlo ora che ha scambiato un paio di assessori con un paio di deputati.  

È però importante capire, e sempre meno sembra capirlo l’opinione pubblica nazionale, che Roma non è così perché è Roma, ma perché è Italia.
Non si può passare in un anno dalla esaltazione planetaria per la sua grande bellezza alla denigrazione antropologica di una città e del suo popolo. Una celebre inchiesta giornalistica dell’ Espresso degli anni Cinquanta titolava «Capitale corrotta, Nazione infetta». Temo che oggi la metafora si sia rovesciata, e che sia la Nazione infetta a mostrare la sua ferita più purulenta sul volto deturpato della Capitale. È il governo della Repubblica, in una parola, che si gioca su Roma una parte cospicua della sua credibilità internazionale e affidabilità interna.

Il giochino dello scaricabarile tra Campidoglio e Palazzo Chigi deve insomma finire. Tra i due Palazzi ci sono poche centinaia di metri di distanza. Parlarsi non dovrebbe essere un problema, almeno finché reggono le linee telefoniche.

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