mercoledì 26 agosto 2015

RENZI BOCCIA LA FAIDA BERLUSCONISMO E ANTI. MA IL FUTURO RISCHIA DI NON DISTANZIARSI TROPPO DAL PASSATO

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Piace , del discorso tenuto da Renzi a Rimini, di fronte al popolo ciellino, l'equiparazione - non perfetta, ma troppo non si può pretendere - tra berlusconismo ed anti come fattori paralizzanti della vita politica italiana nei 20 anni trascorsi. Nulla era fattibile in quanto targato CAV, a prescindere dell'eventuale bontà obiettiva del provvedimento in sé. Questo quando al governo c'era Lui. Quando invece toccava agli altri, era pressoché lo stesso...Oltretutto, per poter vincere, in quegli anni, il centro sinistra doveva mettere su un cartello elettorale che metteva dentro di tutto, da Mastella a Di Pietro a Ferrero passando per Bertinotti... Poi ovvio che non sia facile governare...e infatti Prodi non arrivò mai a fine legislatura.
Liquidata così la seconda repubblica conosciuta fin qui, Massimo Franco, nell'editoriale del Corsera di oggi, giustamente si domanda quanto effettivamente sarà in grado di far meglio il governo in carica, e ne elenca limiti e difficoltà.
Buona Lettura 



Ambizioni e difficile realtà

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Risultati immagini per RENZI A RIMINI Liquidare «il ventennio» passato come un rosario di occasioni perdute dall’Italia significa stilare un verbale del declino difficilmente contestabile: anche se si dimentica l’ingresso del nostro Paese nel sistema della moneta unica, e le speranze che l’euro creò. Il problema è che nel bilancio fatto ieri da Matteo Renzi al Meeting di Comunione e liberazione a Rimini, e poi a Pesaro con l’annuncio dell’abolizione di Imu e Tasi nel 2016, risuona anche un’eco del passato. L’impressione è che il presente venga esaltato in modo eccessivo. L’idea di uno spartiacque virtuoso, rivoluzionario, appartiene ad una narrativa magari comprensibile ma controversa. È vero che per il presidente del Consiglio si trattava di tornare sulla scena dopo settimane difficili; di riaffermare un protagonismo marcato in vista di scadenze istituzionali cruciali come la riforma del Senato, e di una legge di Stabilità insidiata dalla crisi finanziaria cinese.
Proprio il contorno di incertezza, però, tende a schiacciare l’esecutivo sulle esperienze deprecate dalle quali si vuole distanziare.
È condivisibile l’analisi sull’eccesso di ideologia che tuttora permea il sistema. E l’espressione «provincialismo della paura» rende bene il modo in cui alcune forze politiche fomentano la xenofobia e il timore dei cambiamenti. Rimane però il sospetto che il governo descriva in maniera efficace i problemi, ma fatichi a risolverli.
Per quanto sia difficile contestare la tesi del premier secondo la quale «veti e controveti» hanno bloccato il Paese, c’è da chiedersi se oggi la situazione sia così diversa.



Sul Senato è lo stesso Pd di cui Renzi è segretario a seminare resistenze e incognite destinate a pesare sul merito della riforma e perfino sulla tenuta della maggioranza. Né convince del tutto la contrapposizione tra i «cattivi» che vogliono ancora l’elezione diretta dei senatori e i «buoni» che puntano a svuotarlo attraverso la riforma.
L’idea di affidare la modernità del Senato a un listino scelto dai Consigli regionali, grumi di una spesa pubblica irresponsabile e spesso di un malgoverno ai limiti dei codici, come ammette la stessa Consulta, è per lo meno opinabile

Quanto all’agenda delle priorità economiche, per il momento non è sempre decifrabile. Non solo. Quando il premier parla di abolizione delle tasse sulla casa e più in generale di abbassamento del carico fiscale, viene subito da pensare come saranno compensati.
I margini di manovra che l’Europa dovrebbe concedere all’Italia rimangono aleatori. La tentazione di sfondare il tetto del patto di Stabilità è evidente. Riflette uno scetticismo di fondo sulle politiche rigoriste dell’Ue, che anche ieri Renzi non ha nascosto; e che, va detto, trova più di una giustificazione. La prospettiva di uno strappo appare, tuttavia, altamente rischiosa. Tradisce la preoccupazione di chi si è dato obiettivi molto ambiziosi, e capisce quanto siano sfuggenti.
Il pericolo vero, per Palazzo Chigi e per l’Italia, è un limbo nel quale si sarebbe costretti a galleggiare perché il ritorno indietro comporterebbe solo una regressione; ma il futuro per ora si configura segnato da incertezze assai poco rassicuranti. Nell’abbozzo di una politica post ideologica che Renzi offre, si indovina lo sforzo di superare questo stallo; di individuare il nucleo di un nuovo modello. Riaffiora l’embrione di una formazione che non parli solo alla sinistra, e anzi si guardi da una certa sinistra passatista.
Si tratta di una sfida che comporterà rotture e traumi, dei quali già si intravedono i prodromi. Rimane da capire se il Renzi di oggi abbia la stessa forza, la stessa aura di vincente e le stesse alleanze di un anno fa: non solo per sostenerla ma per vincerla.

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