lunedì 28 settembre 2015

GLI INDIGNADOS ALLA MATRICIANA E L'ASSUEFAZIONE AI PICCOLI EPISODI DI MAFIA

 Risultati immagini per SEQUESTRATA AMBULANZA

Gli indignados nostrani si agitano a comando, vittime di un riflesso pavloviano per cui se non sono ben determinati soggetti ad aizzarne (è il termine esatto) l'attenzione, cose di pari o peggiore gravità li lasciano del tutto indifferenti.
Un esempio solare è stata l'eco data alle parole del Papa contro la pena di morte pronunciata in America, dove purtroppo in alcuni stati ancora vige, alla vigilia di una esecuzione in Virginia.
Grande enfasi sulla prima pagina di Repubblica. E' notorio che in Russia, e ancora di più in Iran e in Cina, la pena capitale è parecchio usata, ma l'indignazione per quei paesi, si sa, non è operativa. Non è cattiva volontà, proprio "nun glie viè"...
Lo stesso fenomeno, guardando alle cose di casa nostra, capita con la palese assuefazione alla circostanza, pur gravissima, di regioni del sud che hanno zone completamente sotto controllo delle varie mafie, con episodi di prepotenza, illegalità e totale assenza dello Stato che dovrebbero lasciare basiti, e che invece trovano spazio a fatica nelle pagine di cronana locali.
Berardelli denuncia questo storico andazzo, e chiede, retoricamente, a premier e ministro degli interni se hanno qualche idea in proposito...


Il Corriere della Sera - Digital Edition

VINCERE L'ASSUEFAZIONE
Una questione nazionale 
La presenza endemica della criminalità organizzata in
alcune aree è confermata dai fatti di cronaca. 
Lamentarsi è inutile: ci sono ragioni storiche da capire e
misure urgenti da prendere senza esitazione



Pochi giorni fa, ad Acerra, è accaduto che un’ambulanza, trovatasi a passare nel luogo in cui c’era appena stata una sparatoria, fosse fermata da un gruppo di camorristi. Il ferito che stava trasportando veniva abbandonato sull’asfalto e al suo posto l’ambulanza era costretta a caricare un pregiudicato appena ferito, accompagnato da moglie e figlia. Lo stesso giorno in cui Il Mattino pubblicava questa notizia, il Corriere del Mezzogiorno riferiva di come a Giugliano, dunque sempre nel Napoletano, dei ragazzini, dopo essere stati redarguiti dai vigili urbani per il loro comportamento, ne accoltellassero uno, riuscendo poi a dileguarsi grazie alla protezione di alcuni abitanti della zona prontamente intervenuti. Sono notizie — se si esclude il particolare insolito (ma anche indice di grande protervia e senso di impunità) dell’ambulanza sequestrata — simili a tante altre che compaiono regolarmente sulla stampa.
 Ma che non suscitano un centesimo delle discussioni nate attorno ai funerali del boss Casamonica (in cui peraltro, non essendo vietata l’ostentazione del cattivo gusto, non credo sia stato commesso alcun reato).
Neppure due settimane fa alcune dichiarazioni dell’onorevole Bindi sul radicamento sociale della camorra provocarono la reazione scandalizzata del sindaco di Napoli e del presidente della Regione Campania. Eppure le affermazioni della presidente della commissione parlamentare Antimafia sono state puntualmente confermate da episodi come quelli che ho appena citato. Il fatto è che, al di là dei soliti discorsi sulla questione meridionale, sulla necessità di contrastare le mafie e così via, il Paese sembra essersi assuefatto all’idea che esistano zone del Mezzogiorno che sono al di fuori del controllo dello Stato. Proprio partendo da un’osservazione del genere Norberto Bobbio osservò una volta che in alcune aree del nostro Paese ad essere assente è addirittura lo Stato moderno, che consiste anzitutto — secondo la famosa definizione weberiana — nel monopolio della violenza legittima.

 È un problema che risale alla nascita stessa del Regno d’Italia, che dovette fare i conti con la circostanza che in gran parte del Mezzogiorno le forme giuridiche e amministrative, i modelli di autorità dello Stato moderno erano stati ostacolati dalla sopravvivenza delle istituzioni feudali, solo formalmente abolite al principio dell’800. Nel Sud, notava Leopoldo Franchetti dopo un viaggio nelle province meridionali intrapreso a pochi anni dall’unificazione, un altro requisito dello Stato moderno, l’impersonalità della legge, era sostituito dal rapporto personale tra il contadino e il notabile locale.
Quella debole presenza dello Stato ha dunque cause antiche, mai davvero superate dai vari regimi politici succedutisi in 150 anni (nemmeno da quello fascista, in realtà, che pure predicava l’assoluta, e antidemocratica, sovranità dello Stato). In ogni caso, ogni discussione sull’arretratezza del Mezzogiorno rispetto al resto d’Italia, ogni analisi dei motivi per i quali il divario economico tra Nord e Sud — ridottosi negli Anni 50 e 60 — abbia poi ripreso a crescere, non dovrebbe prescindere da un giudizio come quello di Bobbio. 

Invece dei soliti commenti scandalizzati di fronte a chi rileva il radicamento sociale della camorra, invece delle (ovvie) precisazioni circa il fatto che non tutto il Sud è in mano alle mafie e che esistono in realtà diversi Sud, il ceto politico meridionale e nazionale dovrebbe articolare qualche proposta adeguata alla gravità del problema.
Per esempio, è così scandaloso pensare a una presenza dell’esercito in quelle aree e quei quartieri abitati da nostri concittadini che sono solleciti a intervenire solo a protezione di qualche delinquente che rischia d’essere arrestato? A misure come queste una parte dell’opinione pubblica guarda con sospetto, anche quando — come in questo caso — si tratterebbe di ripristinare la piena sovranità dello Stato democratico sul territorio.
 Se proposte del genere paiono semplicistiche o inadeguate, cos’ha invece in mente il ministro dell’Interno Alfano? E cosa il presidente del Consiglio? Nulla di particolare, temo, sottovalutando anch’essi, come del resto noi tutti andiamo facendo da tempo, la gravità del problema.

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