venerdì 2 ottobre 2015

ECONOMIA IN RIPRESA MA ANCORA PRESENTE IL RISCHIO DEFLAZIONE

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Da qualche tempo in qua io e Caterina Simon, lettrice fedele, nonché amica ormai cara,stiamo particolarmente apprezzando gli scritti di Federico Fubini, esperto di economia, fiorentino ma sembrerebbe non irretito dal conterraneo residente a Palazzo Chigi, in rientro da Repubblica dove si era trasferito due anni orsono prendendo il posto di Giannini - traslocato a Ballarò dove non sta andando benissimo, ma è coperto d'oro ugualmente - nella direzione dell'inserto Affari&Finanza.
Oggi fa un breve excursus sulla situazione globale, che vede un po' tutti in affanno o rallentamento, con l'Italia in piacevole controtendenza.
Ovviamente questa considerazione va letta cum grano salis, cioè tenendo conto che, venendo noi da un lungo periodo di recessione, anche una ripresa modesta viene salutata con giusta positività, ma allo stesso tempo è proprio quel pesante segno meno che rende più facile il segno più, con un'economia non paragonata ai tempi pre crisi ma al solo anno precedente...
Con questo ritmo, osservava in altro articolo Ricolfi, e confidando che non vi siano passi indietro, ci vorrebbero dai 5 ai 10 anni per tornare ai livelli economici antecedenti al 2007, che peraltro era un periodo già piuttosto stagnante. 
Fubini è altro osservatore che lega buona parte della nostra ripresa al QE di Draghi, il quale non si stanca di ripetere ai governi, e segnatamente il nostro, di non distrarsi e proseguire con le riforme, finalizzate a consentire una riduzione della pressione fiscale e della spesa pubblica.
A occhio e croce, mi sembra che renzino traduca queste esortazioni un po' a modo suo...
Nel leggere Fubini, mi è rimasta una curiosità :  ma qual è la profezia di Krugman ?? Ho cercato un po', e un'ipotesi potrebbe essere la corsa agli sportelli da parte dei risparmiatori con collasso delle banche nazionali ? Oppure è la previsione di una lunga stagione di "prezzi freddi", e quindi di stato deflattivo ?
Quello che sicuramente ho trovato è la sua polemica con i profeti del disastro conseguente agli eccessi di deficit, che però sembrerebbe un po' in controtendenza con i giusti allarmi che Fubini lancia nel chiudere il suo intervento.
Buona Lettura



IL DILEMMA DEI PREZZI




 

Vent’anni fa, prima di diventare un blogger di successo, Paul Krugman ha avuto un’intuizione brillante. Ha colto quello che sarebbe diventato un tratto dell’epoca, i prezzi freddi.
L’economia mondiale del ventunesimo secolo somiglia a un solo grande mercato, da Ho Chi Minh City a Boston, con al suo interno diseguaglianze enormi. Un operaio cambogiano lavora a una frazione del costo di uno tedesco, e così via. Questa concorrenza fra sette miliardi di persone tiene strutturalmente sotto pressione al ribasso la dinamica dei prezzi nell’emisfero Nord del mondo. Non è un caso se le banche centrali dei Paesi ricchi hanno già stampato qualcosa come settemila miliardi di dollari (quattro volte e mezzo il reddito dell’Italia) nel tentativo di scongiurare la deflazione.

Questa è una parola che inquieta, perché ne conosciamo le conseguenze. Le famiglie rinviano gli acquisti aspettando che fra qualche mese un’auto o una vacanza costino meno. Le imprese sospendono gli investimenti perché temono di dover vendere in futuro un manufatto a un prezzo troppo basso rispetto al costo di produzione attuale. Tutti aspettano, i prezzi scendono ancora di più, e la spirale fa un altro giro.
Se ci sono cause secolari di queste minacce (non ancora realtà), ce ne sono altre più vicine. La Cina è in una brusca frenata. In Brasile è ormai aperta quella che chiamano la «Caipirinha Crisis». L’America cresce, ma meno di quanto si sperasse un anno fa, e persino Germania e Spagna danno segnali di affanno.
Questo non è un replay del 2009, perché l’espansione continua. Ma il paradosso per l’Italia è che vive una ripresa più vivace proprio mentre quasi ovunque nel mondo accade il contrario. L’insidia della deflazione prende spunto proprio da qui: meno crescita, dunque meno domanda di petrolio, che ne fa crollare i corsi e spinge verso l’Europa una seconda ondata di freddo sui prezzi.
Per l’Italia possono esserci anche conseguenze positive: la Banca centrale europea reagisce ai rischi creando moneta e iniettandola nell’economia tramite l’acquisto di titoli pubblici, e forse in futuro lo farà ancora di più. Così il governo gode di tassi più bassi. Nessuno beneficia dell’azione della Bce come uno Stato debitore da 2.200 miliardi, che di solito pagherebbe interessi più pesanti degli altri: non è un caso se proprio ora l’Italia migliora, in controtempo sul resto del mondo.
Ci sono però anche dei rischi. Quando l’inflazione è sottozero il reddito nazionale, contato in euro, sale meno di quanto non si sperasse. Soprattutto sale meno del debito, perché questo cresce per inerzia a causa dei tassi d’interesse. Meno euro del previsto in entrate, stessi euro di interessi da pagare. Il risultato può essere un debito pubblico più alto.
Proprio in una fase così il governo sta perseguendo una forte detassazione del mondo produttivo, giusta e coraggiosa. Basta che non dimentichi la profezia di Krugman, se per caso esita di fronte ai tagli di spesa corrispondenti.


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