lunedì 12 ottobre 2015

MARINO E IL PD, NESSUNO DEI DUE SI SALVA . E CON LORO, ROMA

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Con una certa sorpresa registro che a Roma c'è anche chi manifesta perché Marino resista e alla fine non presenti le dimissioni annunciate (dovrebbe essere formalizzate oggi). 
Certo, non sono tantissimi : un paio di migliaia di persone, in una città di tre milioni di abitanti...
Meno stupore ovviamente provo nel leggere che sia nella Giunta che nel Consiglio comunale, il PD è spaccato, essendo comunque diversi quelli che continuerebbero a sostenere il sindaco. E te credo !! E' la stessa "responsabilità" che ha animato gli alfaniani e ora i verdiniani...
Si chiama "tengo famiglia"...
Però il problema di Roma NON è Marino. Il sindaco è un grottesco frutto dei mali della città, e la corruzione che impera nel partito che , a tutti gli effetti, preso il posto della vecchia DC, parliamo ovviamente di quello Democratico, è stata certificata da un commissario autorevole interno, l'onorevole Fabrizio Barca : su 108 circoli piddini esistenti, ne ha salvati SEI !!!
Pochini no ? Ma a parte il PD, è proprio Roma città ad essere infetta, e bene l'ha scritto Ernesto Galli della Loggia - http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2015/10/e-se-i-romani-avessero-i-sindaci-che-si.html - qualche giorno fa, e lo ribadisce Giacalone nell'articolo che segue.
Buona Lettura 



Non di vino


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Nessuno creda che Ignazio Marino sia affogato nel vino. Quello è solo il lato grottesco di un uomo in coerente e perpetuo conflitto con i rimborsi delle spese. E non cerchi di sostenere che lui ha solo passato le ricevute, perché è come se trasmettessi al commercialista quelle delle mie vacanze e poi me la prendessi con il professionista una volta scoperto a scaricare costi che con il lavoro non hanno nulla a che vedere. Patetico. Levateje er vino, ma non è affogato in quello, bensì nel malaffare. Cinque mesi addietro avrebbero potuto farlo fuori e sperare di salvare il partito che lo ha scelto ed eletto dall’inabissarsi della sua sindacatura. Fra cinque mesi avrebbero potuto farlo fuori, evitando che le elezioni romane (che voglio ben sperare si facciano) si sommino ad altre comunali, promettendo tempesta sul partito che s’accredita come unico possibile vincitore di ogni cosa. Se è caduto adesso, in un tripudio di allusioni e ricatti, è perché il malaffare romano ha risucchiato l’intero sistema sul quale quella sindacatura poggiava.
Affermando di non avere accettato compromessi con il malaffare il buon Marino fa intendere che il partito dei manigoldi è finalmente riuscito a far fuori quello degli onesti. Ora, a parte il fatto che i suddetti onesti sarebbero stati guidati da uno che si fa rimborsare libagioni incongrue e pure spiccioli spesi per offrire da bere, dimostrando un portafoglio largo quanto l’animo, resta il fatto che il partito dei manigoldi sarebbe quello che lo ha eletto, il Partito democratico. Cosa che è confermata sia dal fatto che a detronizzarlo non è il prevalere dell’opposizione, ma il volere della maggioranza, sia dalle per nulla misteriose minacce subito lanciate dal sindaco, pronto a fare i nomi dei compagni affaristi e compromessi, se entro venti giorni non gli riconfermano la fiducia (nessun curioso, dalle parti della procura?). Marino, insomma, prova a passare da vittima. Invece di questa situazione è il frutto.
Ricordate l’incarico assegnato a Fabrizio Barca, relativo allo studio e risanamento del Pd romano? Giunse a questa incredibile conclusione: su 108 circoli esistenti ben 27 erano da chiudere urgentemente, perché finalizzati al “potere per il potere”, la gran parte erano inerti, mentre solo 9 (nove) potevano considerarsi utili a elaborare e trasmettere i bisogni della cittadinanza. Sono ancora tutti come erano. 
Sbaglia, però, chi crede (o spera di far credere) che sia un problema del solo Pd. La politica è stata cancellata da una Roma che, anche in questo, è capitale rappresentativa d’Italia. I circoli di potere sono l’estensione tentacolare di un malaffare che così marca non l’influenza, ma il possesso di quelli che furono i partiti. Occhio, però, al ribaltamento dei rapporti di forza: l’amministrazione democristiana era corriva e consustanziale al sacco edilizio, senza che i palazzinari potessero fare a meno della sponda capitolina, indispensabile per licenze e piani regolatori (anche nel non farli); l’amministrazione Pd è abitata dagli interessi men che commendevoli, ma quelli possono anche fare a meno dell’attiva partecipazione amministrativa, essendo sufficiente, per prosperare, la totale incapacità. Marino è diventato sindaco per quello.
Il miglior complimento al malaffare romano lo ha fatto un’inchiesta penale, bollandolo come “mafia”. Je piacerebbe! Sono ladri capitanati da un assassino. Ma, allora, come hanno potuto espandersi? Ci sono riusciti perché agivano nel vuoto. Politico, morale ed economico. La società civile è sempre più incivile. La gente dabbene conta nulla, sicché manco va a votare. I chierici, le coscienze morali, gli intellettuali, insomma tutto il fighettame che se la tira non hanno tradito (quello era il grido di Benda), hanno fallito e si sono venduti. Da ultimo senza neanche trovare acquirenti. 
La Dc appartiene al secolo scorso. Il Pd occupa quest’epoca, e si vede.
 L’influenza papalina è eterna. La destra romana ha provato il trasloco dalle reminiscenze evoliane al governo del presente, toccando apici d’inutilità, insulsaggine e grossolanità. Hanno commesso reati? Non lo so e neanche importa, bastando quello di cui non sono stati capaci. Esistono ancora interessi economici prepotenti, ma sono più che altro spartitori, a ridosso di una spesa pubblica suicidatasi con i debiti. Così è arrivato e poi è andato Marino. Ma non sarebbe mai capitato se la capitale non fosse vuota d’idee e coscienze. In questo metafora fedele d’Italia.

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