mercoledì 14 ottobre 2015

RIFORMA DEL SENATO : PERCHE' AL REFERENDUM RENZINO RISCHIA

 Risultati immagini per referendum costituzionale giugno 2016

Una pacata ma attenta riflessione quella di Verderami sul Corriere, all'indomani dell'approvazione della riforma del Senato . L'iter legislativo   non si è ancora concluso, ma magari i prossimi passaggi saranno più lisci, il vero scontro finale si avrà col referendum.
Ecco, il giornalista si concentra su qeull'appuntamento, per fare delle considerazioni più generali sulla situazione politica nel nostro paese, che nel 2016 avrà vari voti importanti : si rinnovano infatti i sindaci di Milano e Napoli e, se il PD non bara (la tentazione ce l'hanno, e forte !), di Roma, oltre il già citato referendum.
Per Verderami, quest' ultimo, ipotizzando che i voti amministrativi, come è accaduto quest'anno, non sorridano a renzino e al suo pd, potrebbe essere una sorta di pronta rivincita.
Non sarei tanto sicuro.  La vittoria politica un po' banditesca - visto lo stato piuttosto raccogliticcio e avventuroso della maggioranza al Senato (alla Camera provvede santo Porcello, mai animale così disprezzato ebbe tanti meriti politici per i governanti...) - di Renzi nella vicenda della riforma costituzionale, non è affatto detto che si ripeta in sede di ratifica referendaria. Le opposizioni oggi presenti in Parlamento sulla carta hanno ben più voti rispetto alle formazioni che, in vario modo, supportano la maggioranza. 
Area Popolare, per non parlare di quegli altri mercenari a poco prezzo di Ala, quanti voti valgono in realtà ? Pochi, tanto è vero che per accontentare Alfano la soglia per l'accesso in Parlamento nell'Italicum è stata portata al 3%. Forse dovranno abbassarla ancora...
Lista Civica è liquefatta e non credo proprio si ripresenterà (Monti, che figura miserrima hai fatto !! ) , e parimenti, i vari peones sparsi (i fuoriusciti dei Cinque Stelli per esempio) non portano nemmeno i voti dei parenti stretti. 
L'unica formazione vera è il PD, che però vale, secondo i sondaggi, il 33% delle intenzioni di voto, senza dimenticare che la sinistra del partito era decisamente avversa alla riforma, alla fine approvata perché nessuno di lor signori si può permettere di perdere la poltrona per fine anticipata della legislatura. 
Ovviamente un referendum è cosa diversa dal voto ai partiti, e quindi può darsi che la maggioranza degli italiani, all'idea che comunque la riforma può significare una semplificazione dell'iter legislativo decisionale, ma soprattutto la riduzione dell'odiato numero dei poltronari (argomento populista, vabbè, ma appunto per questo di grande presa) , la approvi.
Secondo me dipenderà molto dalla veemenza dei pentastellati. In quanto a slogan populisti e capacità di suscitare e veicolare la protesta, non sono secondi a nessuno. Sono loro che faranno la differenza.
Buona Lettura


 
Una vittoria con paracadute

Risultati immagini per vittoria con paracadute
di Francesco Verderami



Il Senato non ha riscritto solo la Costituzione, ha descritto un altro mondo: ecco la nuova Yalta della politica italiana.
Il voto sulle riforme disegna due blocchi contrapposti e in mezzo una sorta di no fly zone , un’area cuscinetto, dove si scorgono le rovine del vecchio patto del Nazareno. Certo, il fatto che la fine del bicameralismo non sia frutto di un accordo tra forze di maggioranza e opposizione bensì l’esito di un conflitto, contrasta con l’idea che due anni e mezzo fa ha dato vita alla legislatura costituente. 
 Ma da allora molte cose sono cambiate, compreso il governo, e non c’è dubbio che da allora le riforme sono diventate (anche) un terreno di lotta politica.
Così sul campo si contano vincitori e vinti, che già si preparano alla sfida referendaria, dove i comitati del sì e quelli del no — attraverso il voto dei cittadini — tenteranno di definire le future frontiere. Intanto Renzi ha ottenuto ieri dal Senato — grazie a un’ampia maggioranza — una rinnovata legittimazione, una sorta di fiducia costituzionale, tappa fondamentale per portare a compimento il suo ambizioso disegno: sancire la fine del bicameralismo paritario, tenere a battesimo la nuova Repubblica e infine guidarla. Ma l’esito non è scontato.
Arrivato un anno e mezzo fa al governo con l’ostilità del Palazzo e il consenso sostanziale della gente, ora ha conquistato il Palazzo perdendo però un po’ di smalto presso l’opinione pubblica. Il punto è che Renzi — presentatosi alla guida di una cordata di innovatori — ora rischia di essere vissuto come il capo di un nuovo establishment . E per quanto le Amministrative non rappresentino un test politico, in quel voto si riverseranno anche gli umori di un Paese che è solito cambiar verso rapidamente nei riguardi di ogni premier.
Perciò non è un caso se il referendum costituzionale si terrà pochi mesi dopo le elezioni comunali, perché se in primavera il responso delle urne a Roma, Milano e Napoli fosse avverso al Pd, in autunno la consultazione popolare sulla Carta si trasformerebbe per Renzi in un paracadute, in un’occasione di rivincita e di rinnovata legittimazione al cospetto degli italiani. È vero, la sfida decisiva verrà alle Politiche, lì si vedrà se il leader democratico avrà saputo intercettare gli italiani. Ma il passaggio del referendum sarà dirimente, perché servirà a formalizzare i confini della nuova Yalta o a decretarne l’immediato fallimento.
Al referendum si misurerà la forza d’urto dei Cinquestelle e dei leghisti, che certo non si giocavano la loro partita in Parlamento

Con i comitati per il sì al referendum si capirà se i centristi di Alfano — che sulle riforme hanno visto riconosciuta la ragione sociale del loro partito — sapranno aggregarsi insieme ad altri e costruire un campo più largo, elettoralmente attrattivo. È il referendum che chiarirà le sorti di Forza Italia, divisa ieri nel voto al Senato e schiacciata sotto il peso di vecchie contraddizioni e del giovane alleato leghista.
Renzi si avvia ad intestarsi la paternità della Terza Repubblica, che poggia però su basi ancora da consolidare. C’è un motivo quindi se Napolitano, che delle riforme è stato patron e architetto, ha esortato il premier a porvi rimedio oltre che attenzione. Il presidente emerito della Repubblica non ha inteso criticare la mancanza di qualità lessicale, che pure emerge dalla lettura delle nuove norme costituzionali, ma ha centrato il suo discorso in Aula su aspetti da correggere per spazzar via ogni accusa e timore sull’imprinting della Carta.
È vero che le riforme sono come delle Formula 1, che nessun test in galleria del vento nè simulazione al computer può anticipare la bontà di un progetto: che — insomma — bisogna girare in pista, cioè far entrare a regime una legge per provarla.  

Ma un sistema che per molti versi è presidenziale senza formalmente esserlo, ha bisogno di essere temperato, e Napolitano ha individuato nella legge elettorale il punto su cui intervenire
Possibile che Renzi non faccia tesoro del suggerimento?
Perciò, piuttosto che lasciare l’Aula in segno di ostilità verso l’ex capo dello Stato, il gruppo di Forza Italia avrebbe fatto meglio ad ascoltarlo, perché Napolitano ha sollevato — a suo modo — lo stesso identico problema posto dal capogruppo Romani a più riprese. Peccato: è stato un altro segno di come le riforme siano state usate in base alla convenienza politica del momento. E in questo caso non ci sono vincitori e vinti .

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