martedì 10 novembre 2015

DELITTO DI ANCONA : ANTONIO TAGLIATA AVEVA SCRITTO UNA LETTERA RIVELANDO LE SUE INTENZIONI. I DUE INNAMORATI INIZIANO AD ACCUSARSI

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L'amore folle sembra sia agli sgoccioli, visto che di fronte agli inquirenti ora i due ragazzi di Ancona iniziano a rimbalzarsi le responsabilità.  Il ragazzo, Antonio, dice che è stata lei, la figlia, ad incitarlo a fare fuoco contro i suoi genitori ( e lui, povero, non ha saputo dirle di no...), mentre la ragazza dice che non sapeva nulla delle intenzioni dell'amato (ex ?) bene, che è rimasta impietrita e poi l'avrebbe seguito solo per paura.
Il che contrasta però con le prime indiscrezioni seguite al fermo della giovane - ora in una casa protetta - che pareva preoccuparsi delle sorti del giovanotto, assassino della madre e forse del padre (quest'ultimo in coma, si teme irreversibile).
Ma se sulle versioni della ragazza non si può essere poi certi, diversa, e assai grave, appare la posizione del giovane, che avrebbe lasciato dei fogli nella sua casa PRIMA di recarsi all'incontro coi genitori della fidanzata, armato fino ai denti, e nei quali confessava apertamente le sue intenzioni. Si tratterebbe quindi di omicidio premeditato, con il conseguente rischio di ergastolo, ancorché il processo sia tutto da fare, e la giovanissima età (18 anni) magari salverà Antonio Tagliata dal "fine pena mai".



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Chi ha plagiato chi

Mesi di gelosie e ossessioni, ora le accuse reciproche Il killer al pm: «È stata lei a dirmi di sparare»
 
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ANCONA In cella si voleva portare la boccetta del Minias per calmare gli attacchi di panico e gli stati d’ansia di cui soffre da due anni. E poi la croce di un rosario d’argento che gli aveva regalato sua madre Lucia tempo fa, «perché così — ha detto Antonio Tagliata, 18 anni, alla mamma poco prima di entrare in carcere sabato scorso — è come se tu fossi qui con me». Sia il Minias che la piccola croce, però, sono rimasti fuori dalla sua cella, perché da tre giorni lui è sorvegliato a vista, per il rischio concreto che si possa fare del male con qualunque cosa, dopo quello che ha già fatto in via Crivelli ai genitori della sua fidanzatina, a colpi di semiautomatica.
Lei invece, che non ha ancora 16 anni perché li compirà il prossimo 22 novembre, ora è in un centro di pronta accoglienza, in attesa dell’udienza di oggi di convalida del fermo per omicidio. «Cosa faccio adesso? Dove andrò? E la scuola?», ha chiesto al suo avvocato, Paolo Sfrappini, che l’ha incontrata ieri mattina. La ragazza non sa ancora che il suo Antonio davanti al magistrato ha detto che fu lei quel giorno ad incitarlo a premere il grilletto: «Spara, spara e io ho sparato...». Un racconto, però, completamente diverso dal suo: «Io non l’ho fermato perché sono rimasta impietrita. E poi, dopo che aveva sparato sui miei genitori, l’ho seguito soltanto perché avevo paura».
Adesso le versioni non coincidono. Lo dice il capo della procura dei minorenni, Giovanna Lebboroni: «Le dichiarazioni non collimano al cento per cento». E anche i destini ormai sembrano separarsi. Ma fino a sabato scorso era stato amour fou , quattro mesi assurdi di simbiotica follia, totale assoluta reciproca dipendenza, fisica e psicologica. Antonio che piangeva e si disperava quando lei non c’era perché i genitori della sedicenne non la facevano uscire: e allora ecco che si stringeva forte al petto l’orsetto avana di peluche con la scritta Hard Rock Amsterdam che lei gli aveva regalato e se ne stava lì delle ore chiuso in camera, sul letto dei loro incontri.
Una sola carne, lui e lei, gelosia e possesso micidiali, lui pronto ad accompagnarla perfino davanti al tribunale dei minori per chiedere la sua emancipazione e poterla così finalmente sposare e darle un figlio. Lei che furiosa lo aveva obbligato il 6 agosto (data dell’ultimo post) a lasciare di punto in bianco Facebook con tutti i suoi 2.025 contatti e a troncare pure tutte le sue precedenti amicizie femminili, strappando anche le lettere, al punto che un’ex irriducibile di Antonio una volta gli era entrata di nascosto in casa e aveva chiesto a mamma Lucia di poter odorare per l’ultima volta almeno il cuscino di suo figlio, per trattenere il ricordo di lui.
Antonio, il «gigante buono» (era questo, dice sua madre, il soprannome), che aveva studiato all’istituto alberghiero a Senigallia perché sognava di fare il cuoco, il giorno del massacro però si era rasato a zero i capelli per non farsi riconoscere a scuola dov’era andato a prendere lei, raccontano i suoi genitori, visto che era convinto che la polizia lo sorvegliasse. Secondo i Tagliata la guerra tra le due famiglie era scoppiata il 28 ottobre scorso, quando la signora Roberta e il signor Fabio Giacconi, le vittime della mattanza di via Crivelli, sarebbero andate in Questura per denunciare l’ennesima fuga d’amore della figlia. Ma il questore di Ancona, Oreste Capocasa, smentisce categoricamente che ciò sia avvenuto. In quell’occasione, sempre secondo i genitori del ragazzo, i Giacconi avrebbero saputo della vera identità del padre di Antonio, con tutto il fardello del suo ingombrante passato. Da quel momento si erano spaventati e avevano intimato alla ragazza di lasciarlo.
Per dieci giorni, così, Antonio avrebbe covato l’odio e preparato il suo piano assassino. Fino alla mattina di sabato, quando si è rasato i capelli a zero, ha preso la pistola semiautomatica, i tre caricatori e una scatola di cartucce, ha scritto ai genitori cosa stava per fare ed è uscito. Non più un gigante buono.

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