Non sono i soli, sicuramente, e l'agenzia lo denuncia. Però sembrano essere i più sistematici e organizzati a livello di Stato. Parlo dello scandalo del doping che investe violentemente la Russia di Putin. Sembra di tornare ai tempi della DDR, che specialmente in certe discipline (nuoto femminile) eccelleva, e anche sull'URSS i sospetti erano grandi, poi tramandatisi sulla Cina.
L'Italia pare ben piazzata in classifica (sesto posto !?!), però mi pare di capire che da noialtri vige la libera iniziativa : sono gli atleti che si dopano, non è lo stato ad aiutarli e/o coprirli (in passato invece, e sempre nell'atletica leggera, Nebiolo fu accusato di questo).
Paolo Valentino spiega perché si tratti di un pessimo colpo alla "narrazione" putiniana, al di là del bruttissimo colpo allo sport in genere.
Buona Lettura
Un colpo al mito dello zar
di Paolo Valentino
Con il duro attacco della Wada allo sport russo, accusato di «doping di Stato», Vladimir Putin subisce un grave colpo d’immagine. Lo scandalo, con la vasta rete di complicità e coperture, arriva fin dentro il governo federale e intacca uno dei pilastri del mito, rischiando di danneggiare la narrativa putiniana.
Lo Zar ha un problema. Proprio mentre ristabilisce le sue credenziali di uomo forte, esce dall’isolamento in cui si era ritrovato dopo la crisi ucraina e si propone al mondo come partner affidabile e deciso nella lotta alla nuova barbarie del Califfato, Vladimir Putin subisce un grave colpo d’immagine, che per lui e solo per lui può avere ricadute politiche spiacevoli.
Va detto subito che nessuno può cantare vittoria, di fronte al rapporto dell’Agenzia Mondiale per l’antidoping, che ha certificato una diffusa e ramificata truffa sportiva, i successi dopati che umiliano discipline antiche e nobili come l’atletica, i pesi, la lotta, il nuoto, il ciclismo e via continuando. Chi più, chi meno, ci siamo tutti nella lista della vergogna: 115 Paesi in 89 sport nel solo 2013. E sela Russia è largamente in testa, non sono da meno la Turchia , la Francia , l’India, il
Belgio, seguito a ruota dall’Italia, un sesto posto (83 violazioni) che non ci
fa per nulla onore.
Nel caso della Russia e del suo presidente, il doping sistematico cui hanno fatto ricorso gli atleti della Federazione fa tuttavia storia a sé. Non perché possa in alcun modo minacciare la posizione politica di Vladimir Vladimirovich, il quale pur tra qualche incertezza di percorso veleggia verso la sua quarta incoronazione, prevista nella primavera del 2018, proprio alla vigilia di quei Mondiali di calcio che nel disegno dei suoi aedi dovrebbero segnarne l’apoteosi.
In realtà lo scandalo del doping, con l’annesso della vasta rete di complicità e coperture che arriva fin dentro il governo federale, intacca uno dei pilastri del mito e rischia di danneggiare seriamente la narrativa putiniana di un Paese tornato vincente, grazie a un Presidente giovane, volitivo e senza paura. Un vero muzhik , l’uomo forte, come ama definirlo Nikita Michalkov.
Lo sport, per Vladimir Putin, è molto più di uno svago. È il terreno dove si costruiscono le amicizie più profonde e solide tra uomini: occorre ricordare che il suo cerchio magico attinge largamente ai compagni di judo dei tempi di San Pietroburgo? È nelle sue tante incarnazioni sportive — judoka, canoista, giocatore di hockey, cavaliere, sciatore — che Putin ha forgiato il suo racconto. Non c’è nulla che lo appassioni e lo coinvolga di più che inseguire un disco di metallo con una mazza su un rettangolo ghiacciato e mandarlo in rete, magari con la compiacenza dei suoi compagni di partita.
Le Olimpiadi invernali di Sochi sono state Yang e yin della sua affabulazione. Putin le ha volute con determinazione e realizzate contro i venti e le maree delle disfunzioni e della endemica corruzione russa. Ne ha fatto una sfavillante vetrina della nuova Russia, che voleva veder chiudere in testa al medagliere. È andata proprio così, anche se oggi capiamo meglio in che modo. Poi, a rovinargli la festa, proprio sul finire, venne la crisi dell’Ucraina.
Non ha del tutto torto, il ministro dello Sport, Vitaly Mutko, a sostenere che il problema del doping in Russia non è più grave che altrove: «Abbiamo le stesse percentuali di altri Paesi». Ma il «così fan tutte» non è un’autoassoluzione. E che dire del capo dell’Agenzia Medica della Russia, Vladimir Uiba, pronto, invece di dare spiegazioni di fronte all’evidenza, a evocare un complotto, parlando di «campagna politicamente motivata», legata alle sanzioni controla Russia ?
Il solo complotto che il rapporto dell’Agenzia antidoping sembra smascherare è
quello che vede atleti, medici, allenatori, preparatori, istituzioni sportive
russe legati da un unico patto scellerato. Non solo in Russia, ripetiamo. E
sarà indispensabile indagare fino in fondo in tutti i Paesi coinvolti.
Ma è a Vladimir Putin che lo scandalo rischia di far più male. Perché porta con se l’odore stantio del socialismo reale, quello che in Urss e nella Germania Est, accanto a veri miti dello sport, produceva tanti eroi in laboratorio, ricacciandolo in una cultura dalla quale in questi anni ha cercato di affrancare se stesso e il suo Paese. E perché rischia di intaccare una delle colonne della sua popolarità, quella dei circenses , in un momento in cui la crisi economica mette per la prima volta in discussione il panem , il benessere che aveva potuto cosi generosamente distribuire nei primi 13 anni del suo potere. Far chiarezza e pulizia, al più presto, invece di chiudersi a riccio, è la sola strada che ha davanti. Le altre potrebbero risultargli impervie.
Con il duro attacco della Wada allo sport russo, accusato di «doping di Stato», Vladimir Putin subisce un grave colpo d’immagine. Lo scandalo, con la vasta rete di complicità e coperture, arriva fin dentro il governo federale e intacca uno dei pilastri del mito, rischiando di danneggiare la narrativa putiniana.
Lo Zar ha un problema. Proprio mentre ristabilisce le sue credenziali di uomo forte, esce dall’isolamento in cui si era ritrovato dopo la crisi ucraina e si propone al mondo come partner affidabile e deciso nella lotta alla nuova barbarie del Califfato, Vladimir Putin subisce un grave colpo d’immagine, che per lui e solo per lui può avere ricadute politiche spiacevoli.
Va detto subito che nessuno può cantare vittoria, di fronte al rapporto dell’Agenzia Mondiale per l’antidoping, che ha certificato una diffusa e ramificata truffa sportiva, i successi dopati che umiliano discipline antiche e nobili come l’atletica, i pesi, la lotta, il nuoto, il ciclismo e via continuando. Chi più, chi meno, ci siamo tutti nella lista della vergogna: 115 Paesi in 89 sport nel solo 2013. E se
Nel caso della Russia e del suo presidente, il doping sistematico cui hanno fatto ricorso gli atleti della Federazione fa tuttavia storia a sé. Non perché possa in alcun modo minacciare la posizione politica di Vladimir Vladimirovich, il quale pur tra qualche incertezza di percorso veleggia verso la sua quarta incoronazione, prevista nella primavera del 2018, proprio alla vigilia di quei Mondiali di calcio che nel disegno dei suoi aedi dovrebbero segnarne l’apoteosi.
In realtà lo scandalo del doping, con l’annesso della vasta rete di complicità e coperture che arriva fin dentro il governo federale, intacca uno dei pilastri del mito e rischia di danneggiare seriamente la narrativa putiniana di un Paese tornato vincente, grazie a un Presidente giovane, volitivo e senza paura. Un vero muzhik , l’uomo forte, come ama definirlo Nikita Michalkov.
Lo sport, per Vladimir Putin, è molto più di uno svago. È il terreno dove si costruiscono le amicizie più profonde e solide tra uomini: occorre ricordare che il suo cerchio magico attinge largamente ai compagni di judo dei tempi di San Pietroburgo? È nelle sue tante incarnazioni sportive — judoka, canoista, giocatore di hockey, cavaliere, sciatore — che Putin ha forgiato il suo racconto. Non c’è nulla che lo appassioni e lo coinvolga di più che inseguire un disco di metallo con una mazza su un rettangolo ghiacciato e mandarlo in rete, magari con la compiacenza dei suoi compagni di partita.
Le Olimpiadi invernali di Sochi sono state Yang e yin della sua affabulazione. Putin le ha volute con determinazione e realizzate contro i venti e le maree delle disfunzioni e della endemica corruzione russa. Ne ha fatto una sfavillante vetrina della nuova Russia, che voleva veder chiudere in testa al medagliere. È andata proprio così, anche se oggi capiamo meglio in che modo. Poi, a rovinargli la festa, proprio sul finire, venne la crisi dell’Ucraina.
Non ha del tutto torto, il ministro dello Sport, Vitaly Mutko, a sostenere che il problema del doping in Russia non è più grave che altrove: «Abbiamo le stesse percentuali di altri Paesi». Ma il «così fan tutte» non è un’autoassoluzione. E che dire del capo dell’Agenzia Medica della Russia, Vladimir Uiba, pronto, invece di dare spiegazioni di fronte all’evidenza, a evocare un complotto, parlando di «campagna politicamente motivata», legata alle sanzioni contro
Ma è a Vladimir Putin che lo scandalo rischia di far più male. Perché porta con se l’odore stantio del socialismo reale, quello che in Urss e nella Germania Est, accanto a veri miti dello sport, produceva tanti eroi in laboratorio, ricacciandolo in una cultura dalla quale in questi anni ha cercato di affrancare se stesso e il suo Paese. E perché rischia di intaccare una delle colonne della sua popolarità, quella dei circenses , in un momento in cui la crisi economica mette per la prima volta in discussione il panem , il benessere che aveva potuto cosi generosamente distribuire nei primi 13 anni del suo potere. Far chiarezza e pulizia, al più presto, invece di chiudersi a riccio, è la sola strada che ha davanti. Le altre potrebbero risultargli impervie.
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