Non è il nostro punto di vista, ma sul blog diamo spazio ad articoli e interviste che esprimono idee diverse, specie se verosimilmente in buona fede e poi rappresentative di un pensiero diffuso.
E' il caso di questa intervista sul Corsera di Michel Onfray, uno dei tanti filosofi parigini, per il quale, ovviamente, tutto quello che capita in occidente, stragi comprese, è colpa nostra. Lo diceva anche Oriana Fallaci, ma con motivazioni opposte, ed è noto ai lettori del camerlengo a chi va la mia condivisione.
Che poi, con una certa rassegnazione, io accetterei anche l'idea di non interessarci di quei paesi, limitandoci, questo sì, e senza se o ma, a difendere Israele. Alla fine i dittatori sanguinari, che tali erano Saddam e Gheddafi, come lo è diventato Assad (e lo era suo padre), sono un problema di quei popoli no ? E se in Afghanistan torneranno i talebani, con le donne riprecipitate nel medioevo peggiore (un inferno, laddove in altri paesi se la cavano con un brutto purgatorio) , con l'intolleranza feroce nei confronti di qualunque dissenso e diversità (provate a fare un gay pride da quelle parti), oh, alla fine, affari loro.
Però a Onfray chiederei se è d'accordo che si tengano nei confini la loro gente, ché l'occidente non ce la fa ad accogliere un continente che emigra per fuggire da quelli che noi dobbiamo lasciare stare, perché "è la loro cultura", "la loro civiltà" ecc. ecc.
Ma probabilmente sono accidioso, e preferirei che al filosofo parigino - che peraltro dice anche cose assolutamente condivisibili perché realistiche - rispondesse uno nostro, non per titolo ma per cultura vera e atteggiamento mentale, vale a dire Adriano Sofri.
Anzi, provo a chiedergli un parere, magari mi risponde.
Intanto, fatevi un'idea anche voi
Il seme della guerra
«Il 13 novembre è una risposta agli atti avviati in Iraq 25
anni fa La Francia
ritiri tutte le sue truppe»
di Sebastian Le Fot
Dopo gli attentati di Parigi, lei ha scritto su Twitter: «La destra e la
sinistra, che hanno seminato la guerra in tutto il mondo contro l’Islam
politico, oggi si ritrovano la guerra dell’Islam politico in casa propria». Non
le pare di fare il processo alla vittima, anziché al colpevole?
«Il capo dello Stato ha parlato di «atto di guerra». Così pure repubblicani e partito socialista. È già un passo avanti. Poco tempo fa si parlava ancora di gesti di squilibrati, di lupi solitari. Ma quando si tratta di guerra, bisogna riflettere. Ciò che è accaduto il 13 novembre è certamente un atto di guerra, ma in risposta ad altri atti di guerra che hanno preso avvio con la decisione di distruggere l’Iraq di Saddam Hussein, da parte del clan Bush e dei loro alleati, 25 anni fa.La
Francia ha fatto parte sin dall’inizio, a eccezione del
governo Chirac, della coalizione occidentale che ha dichiarato la guerra a
Paesi musulmani come l’Iraq, l’Afghanistan, il Mali, la Libia … questi Paesi non ci
minacciavano affatto, ma noi siamo intervenuti a negare la loro sovranità».
Lei pensa davvero che i terroristi siano soldati dell’Islam politico?
«E allora che cosa sono? Se sono tutti schedati come appartenenti ai movimenti dell’islamismo radicale, non si tratta forse dell’Islam politico? Negarlo equivale a chiudere gli occhi. È una cecità colpevole, pericolosamente colpevole. Si tratta ovviamente delle frange radicali e politiche dell’Islam salafita». La loro radicalizzazione è frutto di una scelta razionale?
«Certamente. È una guerra condotta dall’Islam politico con altrettanto acume dell’Occidente, ma con meno armi o con armi diverse dalle nostre – coltelli e non portaerei, Kalashnikov da 500 euro e non droni da milioni di dollari. Anche loro hanno teologi, ideologi, strateghi, informatici, esperti di tattica militare. Hanno anche i loro soldati, agguerriti e pronti a tutto, invisibili ma presenti in ogni angolo del pianeta. Diverse migliaia di loro vivono in Francia. Hanno una loro precisa visione della storia, cosa di cui noi siamo oggi incapaci, accecati dal nostro materialismo triviale che obbedisce ai trucchi elettorali, alle mafie del denaro, al cinismo economico, alla tirannide dell’attimo mediatico. Il califfato ha manifestato apertamente le sue intenzioni. Ma il nostro rifiuto è colpevole: negar loro il diritto di dire che sono uno stato islamico, ricorrendo alla definizione ipocrita e politicamente corretta di Daesh, trasformarli in barbari, etichettarli come terroristi, tutto questo porta a sottovalutare la loro reale natura, che non merita affatto il nostro disprezzo. Soprattutto se si auspica di raggiungere un giorno una soluzione diplomatica».
Nel suo comunicato di rivendicazione Daesh dice, a proposito delle vittime del Bataclan, che si trattava di «centinaia di idolatri in una festa di perversione». Queste persone non ci odiano innanzitutto per quello che siamo?
«Si tratta di uno scontro di civiltà. Ma l’atteggiamento politicamente corretto in Francia proibisce che ciò venga detto. Faccio notare che anchela Francia possiede
«un’identità nazionale», e questa riemerge spesso e volentieri quando
l’identità islamica la fa risaltare nel contrasto di questo momento storico. Ma
siccome riteniamo ugualmente sconveniente menzionare l’identità francese, per molto
tempo non è stato possibile affermare che sì, esiste un modo di vivere
all’occidentale che non corrisponde in nulla a quello islamico. I propugnatori
del multiculturalismo ammettono che esistono molte culture diverse e tra queste
alcune che difendono la musica rock nelle serate festive e altre che le
giudicano una «festa della perversione». Le culture hanno tutte lo stesso
valore? Sì, dicono i paladini del politicamente corretto. Personalmente,
ritengo superiore una civiltà che consente la critica rispetto a una che la
vieta e punisce con la morte il minimo dissenso».
La Francia
deve abbandonare la coalizione internazionale in Siria e in Iraq?
«Sono a favore di un ripensamento totale della politica estera francese. Se continueremo a condurre una politica aggressiva contro i Paesi musulmani, questi reagiranno come già stanno facendo. Inviare truppe di terra in Siria equivale a gettare fiumi di benzina sul fuoco.La Francia dovrebbe
rinunciare alla sua politica neocoloniale e islamofoba allineata sulle posizioni
statunitensi. Dovrebbe ritirare tutte le sue truppe d’occupazione da ogni
missione militare. A quel punto sarebbe possibile firmare una tregua tra lo
stato islamico e la Francia ,
e far in modo che i suoi militanti, oggi presenti sul nostro territorio,
depongano le armi».
Agli attentati di gennaio era seguito un movimento di unità nazionale. Succederà lo stesso dopo la tragedia del 13 novembre? Oppure lei teme una guerra civile?
«Ci vorrebbe una grande politica, di cui Hollande non è capace: non lo è mai stato e non lo sarà mai in futuro. Ho paura che le organizzazioni di estrema destra, quella vera (non quella che i politicanti strumentalizzano associandola a Marine Le Pen) finiranno per armarsi, si raggrupperanno in milizie e daranno avvio a operazioni di commando, con pestaggi, spedizioni punitive, incendi di moschee e altre azioni criminali per destabilizzare la democrazia».
«Il capo dello Stato ha parlato di «atto di guerra». Così pure repubblicani e partito socialista. È già un passo avanti. Poco tempo fa si parlava ancora di gesti di squilibrati, di lupi solitari. Ma quando si tratta di guerra, bisogna riflettere. Ciò che è accaduto il 13 novembre è certamente un atto di guerra, ma in risposta ad altri atti di guerra che hanno preso avvio con la decisione di distruggere l’Iraq di Saddam Hussein, da parte del clan Bush e dei loro alleati, 25 anni fa.
«E allora che cosa sono? Se sono tutti schedati come appartenenti ai movimenti dell’islamismo radicale, non si tratta forse dell’Islam politico? Negarlo equivale a chiudere gli occhi. È una cecità colpevole, pericolosamente colpevole. Si tratta ovviamente delle frange radicali e politiche dell’Islam salafita». La loro radicalizzazione è frutto di una scelta razionale?
«Certamente. È una guerra condotta dall’Islam politico con altrettanto acume dell’Occidente, ma con meno armi o con armi diverse dalle nostre – coltelli e non portaerei, Kalashnikov da 500 euro e non droni da milioni di dollari. Anche loro hanno teologi, ideologi, strateghi, informatici, esperti di tattica militare. Hanno anche i loro soldati, agguerriti e pronti a tutto, invisibili ma presenti in ogni angolo del pianeta. Diverse migliaia di loro vivono in Francia. Hanno una loro precisa visione della storia, cosa di cui noi siamo oggi incapaci, accecati dal nostro materialismo triviale che obbedisce ai trucchi elettorali, alle mafie del denaro, al cinismo economico, alla tirannide dell’attimo mediatico. Il califfato ha manifestato apertamente le sue intenzioni. Ma il nostro rifiuto è colpevole: negar loro il diritto di dire che sono uno stato islamico, ricorrendo alla definizione ipocrita e politicamente corretta di Daesh, trasformarli in barbari, etichettarli come terroristi, tutto questo porta a sottovalutare la loro reale natura, che non merita affatto il nostro disprezzo. Soprattutto se si auspica di raggiungere un giorno una soluzione diplomatica».
Nel suo comunicato di rivendicazione Daesh dice, a proposito delle vittime del Bataclan, che si trattava di «centinaia di idolatri in una festa di perversione». Queste persone non ci odiano innanzitutto per quello che siamo?
«Si tratta di uno scontro di civiltà. Ma l’atteggiamento politicamente corretto in Francia proibisce che ciò venga detto. Faccio notare che anche
«Sono a favore di un ripensamento totale della politica estera francese. Se continueremo a condurre una politica aggressiva contro i Paesi musulmani, questi reagiranno come già stanno facendo. Inviare truppe di terra in Siria equivale a gettare fiumi di benzina sul fuoco.
Agli attentati di gennaio era seguito un movimento di unità nazionale. Succederà lo stesso dopo la tragedia del 13 novembre? Oppure lei teme una guerra civile?
«Ci vorrebbe una grande politica, di cui Hollande non è capace: non lo è mai stato e non lo sarà mai in futuro. Ho paura che le organizzazioni di estrema destra, quella vera (non quella che i politicanti strumentalizzano associandola a Marine Le Pen) finiranno per armarsi, si raggrupperanno in milizie e daranno avvio a operazioni di commando, con pestaggi, spedizioni punitive, incendi di moschee e altre azioni criminali per destabilizzare la democrazia».
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