Maurizio Molinari è un serio inviato della Stampa, ora di stanza a Gerusalemme, dopo essere stato molti anni a New York, che conosce bene il mondo mediorientale, l'eterno conflitto religioso di quelle parti, tra sunniti e sciiti, con riflessi negativi per le folte minoranze di altri credi ed etnie (curdi, cattolici).
Parla con toni pacati, senza drammatizzazioni, schieramenti pregiudiziali, cercando di analizzare i fatti.
Prova a farlo anche all'indomani della strage di Parigi, con oltre 100 morti, più di 300 feriti, con una plurima, e per questo ancora più spaventosa, serie di attentati.
La constatazione significativa mi pare sia che ci troviamo di fronte ad una sorta di controffensiva da parte del terrorismo fondamentalista, che fa capo all'ISIS ma anche alle cellule sopravvissute di Al Qaeda, a seguito della inedita pressione militare che il Califfato subisce su due fronti : Hezbollah e Iraniani che soccorrono Assad in Siria, con oggi l'ausilio aereo (ma probabilmente non solo) della Russia (si parla di un centinaio di blitz) da un lato ; Peshmerga curdi ed esercito iracheno, sostenuti a loro volta dai droni e dagli aerei americani. La tenaglia sembra stia finalmente sortendo qualche effetto, e i terribili legionari neri dell'Isis perdono posizioni.
Fa anche piacere leggere che in una di queste missioni dei droni avrebbe trovato la meritata punizione "Jihaidi John", il boia di lingua inglese che si gloriava di fare da boia per il Califfo, infierendo su vittime innocenti cui tagliava soddisfatto la gola davanti alle video camere.
Se sul terreno le bandiere nere iniziano, sembra, a registrare i primi significativi rovesci, resta l'altra letale arma del terrore.
E su quel fronte sembriamo pericolosamente deboli.
Il nuovo fronte della guerra all’Isis
L’attacco dei terroristi a Parigi testimonia che l’Europa è un fronte della guerra che si combatte in Siria ed Iraq contro i gruppi jihadisti.
Gli attacchi multipli nella notte al grido di «Allah u-Akbar», in più locali pubblici, con la somma fra kamikaze, bombe, sparatorie e cattura di ostaggi fanno assomigliare Parigi a Bombay, colpita il 29 novembre 2008 – anche allora dopo il tramonto – da 12 diversi attentati messi a segno da jihadisti con gli zainetti sulle spalle. Allora le indagini portarono a Lashkar-e-Taiba, uno dei più feroci gruppi pakistani affiliati ad Al Qaeda, ora tocca agli investigatori francesi ricostruire identità e origine dei terroristi ma possono esserci pochi dubbi sul fatto che la sanguinosa era della jihad è arrivata in Europa. Nei novemila chilometri che separano Tangeri da Peshawar è presente una galassia di gruppi, organizzazioni, cellule e tribù rivali fra loro, ma accomunate dal predicare la jihad come forma di dominio sul prossimo, identificando nell’Europa un proprio campo di battaglia.
Dove andare a fare strage di infedeli per perseguire i propri obiettivi, ideologici e militari, di egemonia. E’ da questa galassia che arrivano i killer di Parigi, al termine di una giornata che era iniziata con le notizie da Raqqa, in Siria, per l’attacco dei droni Usa contro l’auto su cui viaggiava «Jihadi John», il brutale boia del Califfato. La sua probabile eliminazione rientra in un’offensiva concentrica contro lo Stato Islamico che vede protagonista l’Occidente come la Russia. La coalizione guidata dal presidente Barack Obama bersaglia i leader jihadisti, rovescia bombe sui suoi pozzi di petrolio, sostiene i peshmerga curdi che riconquistano Sinjar e le truppe irachene che attaccano Ramadi. Sul fronte opposto le forze di Mosca martellano le posizioni dei ribelli jihadisti con centinaia di raid al giorno e iniziano a cogliere dei successi, come avvenuto a Nord di Aleppo con la cattura di un’importante base militare. La morsa fra l’offensiva della Casa Bianca e quella del Cremlino sta mettendo per la prima volta in difficoltà i jihadisti di Abu Bakr al-Baghdadi che nelle ultime due settimane hanno reagito rispolverando l’arma che sanno usare con maggiore efficacia: il terrorismo.
Due sabati fa nel Sinai l’obiettivo è stato un aereo di linea russo decollato da Sharm el-Sheik, abbattuto con 224 persone a bordo da una bomba posizionata nella stiva da un infiltrato di «Wilayat Sinai», la Provincia del Sinai del Califfato. Giovedì notte è toccato a Beirut, dove due kamikaze si sono fatti saltare in aria a 5 minuti di distanza nel quartiere roccaforte di Hezbollah, uccidendo almeno 43 persone. Ed ora, Parigi trasformata in un campo di battaglia. E’ impossibile non andare con la mente al messaggio audio di Ayman al-Zawahiri, il successore di Osama bin Laden, che a metà ottobre si è rivolto al rivale Abu Bakr al-Baghdadi proponendo l’«urgente unione dei jihadisti» per attaccare «Occidente, Russia, Hezbollah e alawiti che combattono contro di noi in Siria e altrove». In competizione per la guida della jihad sunnita, al-Zawahiri e al-Baghdadi sono accomunati dalla volontà di portare la morte ai loro nemici come da numerosi jihadisti che passano da un gruppo all’altro. Già in occasione della strage di «Charlie Hebdo», sempre a Parigi, cellule dei due gruppi di fatto cooperarono nel mettere a segno attacchi diversi ed a ben vedere anche in Siria i rivali Jabhat al-Nusra e Isis di fatto hanno gli stessi nemici.
In attesa di conoscere i primi elementi raccolti dagli investigatori a Parigi è già possibile prevedere che il summit del G20 in programma domani in Turchia per affrontare la guerra in Siria dovrà occuparsi di un conflitto su due fronti: il secondo è quello dell’Europa.
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