mercoledì 4 novembre 2015

PRIMO PROCESSO PER GLI IMPUTATI DI "MAFIA CAPITALE" E PRIMA - DISCUTIBILE - CONFERMA DEL TEOREMA MAFIOSO

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Non sono un tecnico, la mia sfera di competenza legale cerca di districarsi decentemente nel campo civile, e qui si parla di mafia, quindi siamo nel penale.
Però conosco abbastanza il fenomeno mafioso nella sua tragica evoluzione storica, in Sicilia, così come le congregazioni similari della Campania (camorra) e della Calabria ('ndrangheta), e francamente la penso come altri commentatori che ritengono quasi un'offesa alle vittime  di quei fenomeni VERAMENTE mafiosi paragonare l'associazione di Buzi e Carminati a quelle spietate e sanguinarie congregazioni criminali.
Proprio in questi giorni la RAI ha mandato in onda un film con la storia - molto romanzata ma vabbè - della cattura di Antonio Iovine, uno dei boss di Casal di Principe, mostrando una serie di omicidi tipici delle associazioni mafiose.
Ebbene, niente di questo genere appartiene ai delinquenti della cosiddetta Mafia Capitale e fa, a mio avviso, tutta la differenza del mondo. Il reato di associazione a delinquere esiste, di per sé. POI c'è l'associazione mafiosa, più grave, che è un'altra cosa, con tutta una serie di conseguenza in ordine alle misure cautelari, le regole processuali, le pene.
E' giusto  che vi siano delle differenze (ancorché poi si dovrebbe aprire una discussione sul merito di queste diversità, fino a ponderarne la legittimità costituzionale) , ma qualora effettivamente ci si trovi di fronte a quel fenomeno criminale.
Leggo invece, nell'articolo di Bianconi sul Corsera che si tratterebbe di "associazione mafiosa «originale e originaria», come l’hanno definita i pubblici ministeri; «originale perché presenta caratteri suoi propri, in nulla assimilabili a quelli di altre consorterie note (come Cosa nostra o la ‘ndrangheta, ndr ), e originaria perché la sua genesi è propriamente romana, nelle sue specificità criminali e istituzionali».
E' evidente che non ci siamo : le norme per combattere i fenomeni di mafia sono state concepite per associazioni criminali che hanno quelle caratteristiche specifiche. Se ci si trova di fronte a situazioni "in nulla assimilabili", a mio parere non potrò parlare di mafia.
Il primo giudice chiamato a pronunciarsi ha sposato il teorema mafioso, mostrando di essere più realista del re (la condanna comminata superiore alla richiesta dell'accusa...).
Vedremo nel prosieguo, perché il nodo principale resta questo.





Il Corriere della Sera - Digital Edition

Per il giudice è Mafia Capitale
di Giovanni Bianconi

Cinque anni e 4 mesi di carcere per corruzione. Ma ciò che conta, nella prima condanna sul caso Roma, è l’aggravante: aver favorito, con comportamenti illeciti, l’associazione mafiosa. 
Ovvero, Mafia Capitale esiste.

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ROMA Cinque anni e quattro mesi di carcere per corruzione, più di quanto aveva chiesto l’accusa e con lo sconto dovuto al rito abbreviato, sono una pena che può definirsi esemplare. Ma ciò che più conta, nel verdetto che ieri ha condannato Emilio Gammuto — ex detenuto per tentato omicidio, rapina e armi, poi «reinserito socialmente» e divenuto stretto collaboratore di Salvatore Buzzi nella gestione della cooperativa «29 giugno» — è l’aggravante di aver favorito, con i propri comportanti illeciti, l’associazione mafiosa. Che quindi è stata riconosciuta come tale dal giudice che ha emesso la sentenza.
È la prima volta che avviene nella fase del processo vero e proprio, finora tutte le pronunce (compresa quella della Cassazione) erano limitate alle ordinanze di arresto; ora invece, al momento di decidere se un imputato è colpevole o innocente, un giudice ha stabilito che il «sodalizio criminale» capeggiato da Massimo Carminati e Buzzi non solo esiste, ma può essere a buon diritto chiamato «Mafia Capitale». Di qui l’aggravante addebitata a Gammuto; imputato minore ma non troppo, nella costruzione dei pubblici ministeri che l’avevano messo sulla linea di confine tra i «mafiosi» propriamente detti e gli altri; lasciandolo al di qua perché proprio la gravità dell’accusa richiede un livello probatorio molto elevato. Ma Gammuto, per dirne una, è stato intercettato con Carminati mentre organizzavano la bonifica degli uffici della cooperativa, per proteggerla da eventuali microspie.
A parte la singola condanna, il riconoscimento dell’aggravante mafiosa è il miglior viatico per la Procura in vista del dibattimento che comincia domani; una sorta di maxi-processo con 46 imputati (tre in videoconferenza, considerati i vertici dell’organizzazione) dai risvolti politici talmente evidenti da aver provocato — di fatto — la crisi in Campidoglio con conseguente «scioglimento» del consiglio comunale; non per mafia ma per il venir meno delle condizioni di governabilità a partire da ciò che l’inchiesta sul «mondo di mezzo» ha messo in luce fin dalla prima retata di fine 2014. Anche nel processo principale che si svolgerà col rito ordinario e si aprirà con schermaglie procedurali tra accusa e difesa che non saranno solo formali, la sfida principale resta la stessa: l’esistenza o meno dell’associazione mafiosa «originale e originaria», come l’hanno definita i pubblici ministeri; «originale perché presenta caratteri suoi propri, in nulla assimilabili a quelli di altre consorterie note (come Cosa nostra o la ‘ndrangheta, ndr ), e originaria perché la sua genesi è propriamente romana, nelle sue specificità criminali e istituzionali». È il tema sul quale da mesi si alimentano polemiche, più giornalistiche che giuridiche, che prevedibilmente accompagneranno tutto il processo.
Sebbene accusato solo di corruzione, uno degli imputati più noti è Luca Odevaine, che ieri ha ottenuto gli arresti domiciliari. Dopo 11 mesi di detenzione preventiva ieri i pm hanno dato parere favorevole alla scarcerazione, e si apprestano a siglare con i suoi avvocati il patteggiamento della pena. Odevaine (già vicecapo di Gabinetto nella giunta guidata da Walter Veltroni, poi messo «a libro paga» da Buzzi e dalle coop bianche de La Cascina) ha ammesso buona parte delle proprie responsabilità, ed è stato giudicato credibile dalla Procura; a differenza di Buzzi.
Nei suoi interrogatori il «facilitatore nei rapporti con la pubblica amministrazione», come da autodefinizione, ha accennato tra l’altro a presunti accordi tra maggioranza e opposizione in Campidoglio dai tempi dell’ex sindaco Alemanno (inizialmente indagato per associazione mafiosa e ora imputato di corruzione), in modo che ogni consigliere avesse una sorta di «quota di spesa» garantita nel bilancio comunale. E gli accertamenti della Procura proseguono anche in altre direzioni; a partire dalle intercettazioni effettuate dai carabinieri del Ros, nonché dalle chiamate in correità di Buzzi che hanno bisogno di approfondimenti nonostante la patente di inattendibilità attribuita all’ex «signore delle cooperative». Per questo sono già indagati l’ex capogruppo del Pd in Comune Francesco D’Ausilio, il suo alter ego Salvatore Nucera e altri personaggi citati nelle conversazioni di Buzzi.

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