Come ho scritto anche in un'altra occasione, mi sembra un buon acquisto (in realtà un ritorno, se non ricordo male) quello di Federico Fubini al Corriere della Sera.
Tratta una materia ostica alla maggior parte di noi lettori, l'economia, ma lo fa in modo lodevolmente chiaro. Certo, non è suggestivo, né ottimista come l'impareggiabile Fugnoli, però è facilmente leggibile, e questo è un pregio sempre, figuriamoci in questo campo.
In queste settimane in cui si discuterà della legge di stabilità, sicuramente tasse, tagli alle spese (???), incrementi e incentivi, debito pubblico saranno argomenti ricorrenti, ed è un bene se c'è qualcuno che ci aiuta a capirne un po' di più
Buona Lettura
Un cambio di ritmo
ora o mai più
di Federico Fubini
«Un pasto gratis è una cosa che non esiste». È stato Milton Friedman, il
fondatore della scuola dei liberisti di Chicago, a trasformare un proverbio
americano in un principio portante dell’economia. E per quanto si possa
dissentire da lui (o no), un dettaglio nella legge di Stabilità che ora avvia
la sua navigazione in Parlamento rivela che almeno su questo punto aveva visto
giusto. L’ha colto la Corte
dei conti nella sua audizione di ieri in Senato. Per contenere le uscite in
bilancio di appena lo 0,3% del Pil nell’insieme dei prossimi tre anni, lo Stato
blocca le nuove assunzioni a un quarto della spesa sostenuta in passato per il
personale che adesso se ne va . In sostanza non entreranno nella
amministrazione forze fresche, laureati o diplomati di costosi master dove
magari hanno imparato a usare un nuovo software di analisi dei dati o anche
solo come si fa una presentazione digitale. Già oggi nei ministeri 4 addetti su
10 hanno più di 55 anni, solo 6 ogni 100 ne hanno meno di 40, ma lo squilibrio
non può che accentuarsi. Chi ha più anni ha esperienza, ma per motivi
comprensibili — tagliare qualche spesa mentre si riducono le tasse — lo Stato
oggi si priva delle conoscenze e dell’energia di chi è nato dopo. Difficile che
l’efficienza della burocrazia ne guadagni. È solo un esempio. Ma è tipico del
leitmotiv che sta emergendo nel confronto sulla manovra iniziato in questi
giorni fra istituzioni diverse: la magistratura contabile, la Banca d’Italia, le Regioni,
i Comuni, e il Parlamento che dovrà votare la legge di bilancio.
Questo motivo di fondo dice che lo Stato ormai è arrivato al limite dei
risparmi possibili senza ridisegnare la propria architettura. Se il governo
vuole ridurre le tasse in modo credibile senza perdere il controllo dei conti,
tra non molto dovrà ripensare le strutture portanti del settore pubblico. «Ci
sono limiti alla pura e semplice compressione delle spese», nota la Banca d’Italia nella sua
relazione di ieri in Parlamento e suona come una versione più local del vecchio
motto di Milton Friedman.
Al netto della detassazione della prima casa, l’obiettivo di fondo di questa
manovra pluriennale è tagliare le tasse sul reddito delle imprese sotto i
livelli della Germania o della Spagna. Difficile non condividere, in un Paese
nel quale gli investimenti sono crollati di un terzo dal 2007. Su questo però la Banca d’Italia, l’Ufficio
parlamentare di bilancio, la
Corte dei conti ma anche le Regioni colpite dal 60% dei tagli
di spesa previsti nei prossimi tre anni hanno un messaggio comune: la
navigazione a vista, fatta di limature, è finita. Non c’è più spazio, come
dimostra la vicenda del sostegno ai ceti deboli: con questa manovra aumenta
precisamente di 6 euro e 28 centesimi al mese in media per ciascuno dei dieci
milioni di abitanti oggi in condizioni di povertà relativa.
L’occasione per il cambio di ritmo, che il governo peraltro ha in programma,
ora c’è ed è irripetibile. La
Banca centrale europea sta sostenendo il debito pubblico
italiano ed europeo come mai prima. Di fatto è disposta a tenere aperto per
qualche tempo un ombrello su un Paese che deve smontare e rimontare il proprio
motore, se vuole ripartire. Il presidente della Bce Mario Draghi l’ha detto con
la solita efficacia: persino una nazione ad alto debito pubblico può crearsi da
subito lo spazio per un’espansione di bilancio, a patto che faccia ciò che
serve per aumentare il suo potenziale, la partecipazione al mondo del lavoro,
la capacità delle imprese e dei suoi addetti di produrre valore. Se succede,
con la crescita arriveranno più entrate anche se le aliquote calano. Il
passaggio in Parlamento della legge di Stabilità produrrà molto rumore di
fondo. Ma non lasciamoci distrarre: la posta in gioco resta questa .
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