lunedì 30 novembre 2015

QUANDO L'EMERGENZA DIVIDE LE FAMIGLIE

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Essere fratelli, stimarsi, oltre che naturalmente volersi bene, non significa essere per forza d'accordo su tutto.
E' quello che forse accade in casa Battista dove due fratelli, uno importante giornalista, l'altro valente avvocato, nel valutare l'attuale momento, sembrano non pensarla in modo identico ( che non vuol dire opposto, e il titolo, forzato, serve, come sempre, per richiamare attenzione) su come fronteggiare l'emergenza.
Di seguito, il punto di vista del primo.
Buona Lettura




Quando va a fuoco la casa bisogna fronteggiare l’emergenza  ?

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Se va a fuoco una casa, non è che se i pompieri tengono d’autorità gli inquilini fuori dalla porta fino a che l’incendio non è spento, allora conculcano un diritto fondamentale: devono soltanto fronteggiare un’emergenza applicando scrupolosamente le norme di sicurezza.
È vero che, applicato alle nazioni e ai diritti, l’«emergenza» è un concetto che va maneggiato con molta cura ed è sempre possibile fonte di arbitrio nonché pretesto per un esercizio abusivo del potere. Ma la guerra non è un’astrazione. Anche le sirene che costringevano i cittadini a correre verso i rifugi anti-aerei potevano essere vissute come il simbolo di un’emergenza soffocante, ma le bombe martellavano le città veramente. Era la guerra. Una guerra diversa, ma pur sempre una guerra come quella che Parigi sta vivendo dal 13 novembre scorso.
E se le autorità francesi vietano una manifestazione in occasione del summit sul clima che si tiene a Parigi, non soffocano un diritto inalienabile, ma applicano un criterio elementare di prudenza. Di prudenza bellica, anche se bisogna calibrare l’uso delle parole e non alimentare il clima di guerra con un atteggiamento troppo spavaldamente e irresponsabilmente bellicoso. Annie Ernaux, nell’intervista al nostro giornale, giustamente mette in guardia l’opinione pubblica stordita: attenzione a non snaturare la nostra patria dei diritti, attenzione a non sfigurare la democrazia e la libertà con misure d’emergenza che mortificano la vitalità democratica delle nostre società dandola vinta ai suoi nemici, ai fondamentalisti fanatici che odiano diritti e democrazia.
Sono preoccupazioni sacrosante. Ma esiste anche il buon senso. Esiste anche l’impossibilità di comprendere l’urgenza di attizzare scontri con la polizia francese, facendo di Parigi il teatro di un’assurda guerriglia urbana. La guerriglia durante la guerra, ma perché? Se servono forze di polizia e di sicurezza davanti a un qualunque teatro Bataclan, perché sottrarre forze, energie e attenzione per ripetere sempre lo stesso identico copione degli scontri, dei gas lacrimogeni, dei manganelli, delle pietre lanciate? Davvero pensano che a Parigi non si potrà mai più manifestare per decreto autoritario del presidente socialista Hollande, oppure esistono ragioni oggettive per una ragionevole tregua, per saltare l’ennesima, stucchevole replica del già visto?
Parigi è sotto assedio. Continuare la vita come prima, riempire teatri, cinema e sale di concerto per non umiliarsi di fronte al ricatto dei terroristi è cosa giusta. La guerriglia nella scadenza rituale di un summit mondiale dei governi, quello no, è insensato. E non è una violazione dei diritti. Del diritto a usare la ragione, soprattutto.

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