martedì 1 dicembre 2015

LO SPIRITO DEL NATALE SI AVVICINA SE IO SONO D'ACCORDO CON DACIA MARAINI

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Sulla questione del Natale, con i giornali che quotidianamente riportano la notizia di qualche scuola (poche suvvia) dove preside e docenti ( magari non tutti) si fanno fighi (???) per dimostrare che loro sono laici, che ci tengono al multiculturalismo e sono sensibili ai possibili disagi di bambini e ragazzi non cristiani, ho una idea chiara.  Non sono un credente convinto, anzi, ancorché nemmeno ateo. Temo di sfiorare l'agnosticismo. Invidio benevolmente le persone che sono toccate dal dono di una fede vera, perché ho visto da vicino come, in questi casi, la stessa sia di conforto ed aiuti a vivere con maggiore serenità, sia di supporto contro le avversità.
Tra l'altro, spesso sono persone migliori, almeno di me : più generose e disponibili.
Naturalmente non mi piacciono  gli esaltati, ma questo vale sia per i religiosi infervorati che per gli atei infoiati, che spacciano il loro anticlericalismo per spirito laico.
Ciò posto, sono affezionato al Natale e scopro, sbalordito, di esserlo sostanzialmente per gli stessi motivi di una come Dacia Maraini,  scrittrice con la quale non ho nulla da spartire.
Eppure anche lei ha un ricordo del Natale legato al senso di infanzia e di famiglia. Ricordate la contentezza fanciulla del momento in cui si tiravano fuori gli scatoloni per il presepe e l'albero, l'orgoglio delle prime volte in cui si era ammessi a collaborare per l'allestimento (fino a quando poi non arrivava il momento del subentro) ?  Non era e non è solo la gioia per i regali che arriveranno, ma per una festa dove si percepisce un clima diverso, e dove per qualche giorno si starà insieme con gli altri della famiglia, alcuni anche cari dai !
Questo era molto vero ieri, meno oggi, specie da noi.
In Italia percepisco, da tempo, un clima assai più distratto e/o mesto, e la cosa mi è saltata agli occhi un anno che a Natale andai a Madrid e mi parve di fare un tuffo nel passato : le luci, le strade affollate, i sorrisi mi ricordarono l'atmosfera del Natale che da noi se non persa si è certo rarefatta.
Credo che più della parte demente della classe insegnante - alla fine non contano così tanto, per fortuna - pesi il perduto benessere, l'insicurezza del futuro. Ancorché tuttora stiamo assai meglio, per la maggioranza intendo, dei nostri nonni (e probabilmente anche dei nostri genitori) siamo prede del nervosismo, dell'ansia.
Peccato.
Però, senza guerre di religione al contrario, con "crociati" contrapposti ai laicisti "illuminati" (da che ??), rivendichiamo il diritto della conservazione di una bella tradizione.
Come scrive la Maraini - mai avrei pensata di citarla - semmai aggiungiamo altre feste al nostro calendario.
Non aboliamo le nostre.





Il senso del Natale di cui andare fieri


Ricordo il primo Natale dopo due anni di campo di concentramento. A Tokyo, fra le macerie di una città distrutta dalle bombe. Mi ero ferita al ginocchio, cadendo su un pezzo di vetro. Ero pelle e ossa. Il medico americano da cui ero stata visitata, aveva dichiarato che il mio cuore «fa pensare a una melanzana tanto è asfittico». Eppure mi sentivo felice perché ero viva, perché presto, appena ci fosse stata una nave disponibile, sarei tornata nel mio Paese, perché la guerra era finita e potevo finalmente liberarmi dalle pulci, dormire la notte e riempire lo stomaco contratto dalla fame. Ricordo una bellissima festa organizzata dai soldati americani che volevano risarcirci di tanto patimento. Una sala rallegrata da festoni. Le candele che mandavano bagliori dorati sopra una tovaglia candida. Un albero guarnito di palle rosse e bianche che scintillavano contro le foglie verde scure dell’abete. Un soldato che cantava accompagnandosi con la chitarra. Un altro si chinava su noi bambine offrendoci bastoncini di zucchero che a me parevano le bacchette magiche di una fata benefica.

Una famiglia laica la nostra. Eppure ci riconoscevamo in quella festa, in quell’albero, in quel canto. Era la fine della guerra e l’albero, più che la nascita di Cristo, rappresentava per noi la vita riconquistata. Gli americani erano i salvatori e quella era la festa della libertà.
Non capisco chi vuole censurare i rituali di un popolo per «rispetto verso altri rituali». Solo rafforzando le nostre identità possiamo confrontarci con altre culture, altre tradizioni, altre religioni. Accogliere non vuol dire appiattirci e censurare le nostre memorie. Semmai aggiungiamo altre feste al nostro calendario, ma non dimentichiamo che «non possiamo non dirci cristiani».
Anche per chi non si considera credente, praticante, il Natale rappresenta una festa familiare, in cui si celebra la gioia di stare insieme e di regalarsi dei pensieri amichevoli. Un giorno così vicino poi al grande passaggio da un anno all’altro. Invecchiamo, ci carichiamo di nuove responsabilità, ma nello stesso tempo ci prepariamo alle novità e ai cambiamenti, ricostruendo (anche se con fatica), la nostra fiducia in un futuro comune. Del Natale dobbiamo andare fieri perché accanto al bambino in culla, festeggiamo l’albero della libertà, che porta nelle radici il ricordo delle conquiste fatte: la separazione di Stato e Chiesa, il riconoscimento dei diritti umani, il rifiuto della schiavitù, la codificazione del concetto di uguaglianza fra i sessi.

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