Mi ha fatto piacere la segnalazione da parte dell' amico e avvocato Domenico Battista del nuovo intervento, stavolta del giudice Alfredo Mantovano, sulla questione giustizia ed emergenza terrorismo - semplifico per sintetizzare - posta, tra l'altro, da Angelo Panebianco in un editoriale dove esortava i giudici ad essere meno "morbidi", e che ha suscitato molto polemiche tra i penalisti - con i quali stavolta non ero d'accordo -, nonché il commento autorevole dell'ex giudice costituzionale Onida.
Editoriale e contro analisi li trovate nel post http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2015/12/costituzione-e-ragion-di-stato.html ( del primo è riportato il link che chi vuole può aprire)
Di seguito invece la lettera riflessione, sempre ospitata dal Corsera, del giudice Mantovano.
Il collega Battista aveva esplicitamente espresso - lui come molti altri della categoria - il suo dissenso dalla posizione di Panebianco ( peraltro opinionista che so da lui in genere apprezzato, ma il diverso parere peraltro ci sta, assolutamente).
Mi fa piacere vedere che però, sulla delicata questione, ha un approccio evidentemente problematico, senza posizioni preconcette che invece ho avuto la sensazione di rilevare in altri colleghi.
Un problema giudici c'è, eccome. Panebianco parlava di "timidezza", e qualcuno ci ha visto una minaccia per la tutela delle garanzie. Sicuramente, e lo hanno scritto numerosi altri valenti opinionisti oltre Panebianco, di fronte a pericoli mortali per l'intera società, qualche restrizione alle normali libertà temporaneamente si subisce : è avvenuto da noi all'epoca delle BR, in America dopo l'11 settembre, ora in Francia. Non per questo i paesi citati sono usciti dal novero delle democrazie liberali. CI sono stati eccessi ed abusi, ed è bene sorvegliare perché ciò sia evitato il più possibile (devo dire che mi ha un po' stancato il frequente riferimento a Guantanamo, come se con esso si potesse zittire qualunque argomentazione diversa) , però il problema di fondo resta : siamo di fronte ad un pericolo nuovo e molto grave, e tra i soggetti chiamati in prima linea ad affrontarlo molti sono inadeguati.
I giudici, appunto, tra questi.
E questo per bocca di uno di loro.
Terrorismo i giudici
si devono aggiornare
Merita riflessione la questione posta da Angelo Panebianco circa il tratto «timido» dei magistrati nella repressione del terrorismo di matrice islamica. La risposta giudiziaria non è risolutiva, è il tassello di un mosaico, a fianco al lavoro dei servizi, delle forze di polizia, del coordinamento fra Stati: come si è visto a Parigi, agli attentatori basta una smagliatura in uno di questi segmenti per seminare morte. Leggendo i provvedimenti giudiziari che in Italia si susseguono da oltre un decennio, quanto è adeguata la consapevolezza culturale in senso lato dei giudicanti?
Dei giudicanti più che dei requirenti,
per i quali la conoscenza del fenomeno si è quasi sempre mostrata puntuale.
Non sono in discussione l’autonomia e l’indipendenza della magistratura: guai a invocare la preminenza della sostanza su una forma che è garanzia di correttezza. Ma ricordare solo qualche pronuncia fa cogliere il senso del discorso: 8 gennaio 2004, il gip di Napoli rigetta una richiesta di custodia in carcere di indagati accusati di costituzione di una rete a sostegno del Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento, e più in generale del Gruppo islamico armato, non perché manchino gli indizi, ma perché Gspc e Gia non sarebbero organizzazioni terroristiche; 24 gennaio 2005, il gip di Milano esclude la qualifica terroristica per Ansar al Islam, che sarebbe «solo» una «organizzazione combattente islamica», e quindi respinge la richiesta di arresto di appartenenti a cellule italiane. Salto ai nostri giorni: lo scorso febbraio il gip di Lecce scarcera perché «profughi» (ma non avevano presentato domanda di asilo) cinque arrestati in possesso di documenti contraffatti e filmati di bombardamenti e di attentati nei cellulari.
Non sono in discussione l’autonomia e l’indipendenza della magistratura: guai a invocare la preminenza della sostanza su una forma che è garanzia di correttezza. Ma ricordare solo qualche pronuncia fa cogliere il senso del discorso: 8 gennaio 2004, il gip di Napoli rigetta una richiesta di custodia in carcere di indagati accusati di costituzione di una rete a sostegno del Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento, e più in generale del Gruppo islamico armato, non perché manchino gli indizi, ma perché Gspc e Gia non sarebbero organizzazioni terroristiche; 24 gennaio 2005, il gip di Milano esclude la qualifica terroristica per Ansar al Islam, che sarebbe «solo» una «organizzazione combattente islamica», e quindi respinge la richiesta di arresto di appartenenti a cellule italiane. Salto ai nostri giorni: lo scorso febbraio il gip di Lecce scarcera perché «profughi» (ma non avevano presentato domanda di asilo) cinque arrestati in possesso di documenti contraffatti e filmati di bombardamenti e di attentati nei cellulari.
Il limite non è
l’ignoranza delle norme, ma la non corretta conoscenza della realtà del
terrorismo islamico. È come se all’epoca delle Br fossero sorti dubbi sulla
loro natura terroristica (qualche iniziale incertezza purtroppo c’è stata); è
come se oggi un magistrato che si occupa di mafie ignori la differenza fra
camorra e ‘ndrangheta. È un limite che si supera se si prende atto che esiste
ed investendo in formazione: lo si fece 30 anni fa, con risultati importanti,
per le mafie.
Sorprende che la programmazione per il 2016 della Scuola
superiore della magistratura di decine e decine di corsi di formazione ne
dedichi uno soltanto al terrorismo; in compenso, i giudici possono accedere a
corsi come l’immagine della giustizia nell’arte, nel cinema e nella letteratura
o, in sede decentrata, la tutela giuridica del sentimento per l’animale da
compagnia e gli altri animali. Ecco, se, come qualcuno ha ricordato, alla
prevenzione del terrorismo serve pure la cultura, qualche adeguamento su questo
fronte è indispensabile.
Alfredo Mantovano
Giudice
Corte d’appello di Roma
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