Le guerre di indipendenza risorgimentali le combattemmo tutte contro l'Austria, eppure, nel 1882 pensammo bene di stringere un'alleanza - definita triplice - con gli imperi centrali, e quindi l'austro ungarico con il quale avevamo combattuto e ancora deteneva regioni che ritenevamo (riteniamo) italiane .
Nel 1814 scoppiò la prima guerra mondiale ma l'Italia, osservando che l'alleanza aveva portata difensiva laddove era stata l'Austria ad attaccare la Serbia - di lì l'effetto domino che incendiò l'Europa - restò neutrale. Da quel momento, un mercato non proprio edificante con noialtri a trattare la nostra discesa in guerra (veramente ai tedeschi andava bene anche che continuassimo a rimanere neutrali) vendendola al migliore offerente. Durante questo commercio, un diplomatico austriaco, ricordando evidentemente molto bene la terza guerra d'indipendenza - dove perdemmo a Custoza e a Lissa, ma sfruttammo le vittorie di Napoleone III per ottenere alla fine il Veneto, non a caso ceduto dall'Austria alla Francia, e POI girato da questa all'Italia - al continuo gioco al rialzo italiano esclamò "ma quale battaglia importante ha di recente perduto l'Italia per pretendere così tanto ?" . Non carino, ma come biasimarlo ?
Noi siamo fatti un po' così, e anche ora, quando i "fraterni" amici ci chiedono un aiuto, assicuriamo a parole ma di fatto ci chiamiamo fuori. E certo non poteva essere il post democristiano renzino a fare eccezione a questa tradizione. Certo, se stesse zitto sarebbe meglio, che almeno non aggiungeremmo motivi di irritazione e disapprovazione . Poi non ci lamentiamo se quando fanno incontri ristretti tra capi di governo europei, il putto immancabilmente resta a casa.
AI pacifisti come Renzi ma anche a quelli più nobili (quello del premier è solo opportunismo di bassa lega) dedico il post di Adriano Sofri, non precisamente un guerrafondaio, che però ha una sua ostinata idea su come ci si dovrebbe comportare quando è ben chiaro chi sono i deboli e gli oppressi sul terreno.
Buona Lettura
Come si coltiva una guerra
Quando le persone dotate di autorità ufficiale, o
addirittura di governo, fanno le sceme, è perché sono sceme. Prendiamo alcune
delle frasi più in voga nel dibattito su un affaruccio come una guerra
mondiale. Per esempio: "Non si può intervenire se non si ha chiaro che
cosa si farà dopo". La frase basta a eliminare dalla faccia della terra
polizia, carabinieri, pompieri, protezione civile, medici del pronto soccorso,
emigrati clandestini che si buttano nel fiume a salvare un cittadino italiano
che sta annegando, e alcune altre categorie di persone di prima necessità.
Stanno perfezionando la caccia agli ezidi, ce ne sono decine di migliaia in
loro balia sulle pendici del monte Sinjar: intervieni, anche se non hai
"una strategia chiara per il dopo", o no? Per fortuna (tardi, e non
abbastanza) gli aerei americani lo fecero, e poi i francesi, nell'estate del 2014.
Kobane è occupata, gli ultimi resistenti curdi si battono
eroicamente con armi impari: intervieni o no, anche se non c'è nessun programma
chiaro per il dopo, e anzi tutto è confuso, i tuoi alleati turchi desiderando
la sconfitta dei curdi e collaborando sotto sotto (nemmeno tanto) con l'Isis,
eccetera? Per fortuna (tardi, e appena abbastanza) gli aerei americani lo
fecero, e i curdi ripresero Kobane, cioé le sue ceneri.
Il governo siriano di
Bashar al Assad fa strage e storpia di torture i suoi sudditi nel 2011, nel
2012, nel 2013, nel 2014, nel 2015: intervieni, anche se eccetera? Non sono
intervenuti, né americani, né europei, fino a far ammontare la cifra dei morti
ammazzati (nella gran maggioranza dagli aerei e dai barili-bomba governativi) a
quasi 250 mila. In effetti, non avevi una "strategia per il dopo".
E
tanto meno ce l'avevi, quanto più non intervenivi. E dal lato dei ribelli i
fanatici e i terroristi prendevano com'era inevitabile sempre più il
sopravvento sui democratici e i moderati e gli aspiranti a un regime normale.
L'Isis cancellò spettacolarmente il confine fra Siria e Iraq, e sbandierò la
sua conquista facendo andare su e giù attraverso la frontiera abolita i suoi
seguaci entusiasti che suonavano il clacson in quell'anticipo di califfato
universale. Intervieni o no? E se intervieni devi continuare a rispettare la
rispettiva sovranità territoriale di Siria e Iraq anche quando non esistono più
e il tuo nemico va di là e di qua cento volte al giorno come l'accenditore e lo
spegnitore del lampione sull'asteroide del piccolo principe? Meraviglioso: c'è
voluto un anno e mezzo a far votare al parlamento inglese l'autorizzazione a
sconfinare in quella terra senza confine, e il parlamento inglese resta in
anticipo sugli altri. Potrei continuare a lungo, a proposito dei frutti temuti
dell'interventismo messi a fronte di quelli avvenuti dell'omissione. Ma
chiediamoci un momento, giusto il tempo di una digressione, perché mai
"non avevamo una strategia per il dopo". Perché mai non sapevamo fare
altro che proclamare l'intangibilità di stati il cui collasso era inevitabile,
e non faceva che compiere a distanza di un secolo la dissoluzione di una
fabbrica artificiosa e durata oltre le speranze, al costo che sappiamo? Non era
abbastanza strategico immaginare per quella grande regione tormentata e
tormentosa un disegno ovvio e grandioso come quello che qualcuno aveva saputo
immaginare per l'Europa del dopoguerra, uscita da orrori e tormenti ancora più
rovinosi? Non era abbastanza strategico adoperarsi per stroncare una violenza
oltraggiosa e insieme proporre ai popoli e ai loro faticosi rappresentanti un
futuro di tolleranza, convivenza e comunanza di risorse? Utopia? Certo: non più
di quanto fosse utopica l'idea di un'Europa oltre gli stati-nazione e le
ideologie totalitarie del Novecento. Non bisognava provarci, almeno? Non
bisognerebbe ancora? Fino a quel punto, si trattava non di subire e muovere
guerra, ma di intervenire a difesa di moltitudini colpite con una ferocia
genocida e terroristica, come deve intervenire una polizia, un reparto di
pompieri, un plotone di difensori del patrimonio dell'umanità.
E che dire di
quella sapiente inerzia in nome della "inadeguatezza di una strategia
chiara" da parte di potenti e mezzi-potenti che ha fatto loro immaginare
di essere soli al mondo, e li ha lasciati desolatamente spiazzati quando in
quello che trattavano come un loro campetto da gioco, nel quale lasciare che si
ammazzassero le molteplici bande concorrenti -e soprattutto che ammazzassero la
gente, musulmana- è arrivata la
Russia e ha messo i piedi e le mani e tutto il resto nel
piatto, ammonendo: Ragazzini, lasciatemi lavorare! Gran bella strategia in
mancanza di strategia, una coalizione universale sovieto-sciita. Per molto
tempo -un tempo immemorabile, per chi lo viveva come un topo in trappola, sotto
le bombe spietate del tiranno di Damasco e sotto i coltelli da macelleria della
schiuma jihadista, o nelle tende degli accampamenti di sfortuna- qualche voce
si è unita a quella dei topi e degli attendati e dei vescovi indigeni a
chiedere soccorso. Quelle voci non erano solo di pianto e di umiliazione: erano
lucide, vedevano attraverso le feritoie. Avevano una strategia.
Sapevano che il
mondo dell'omissione -chiamerò così l'occidente, per gli anni 2011-2015- si
stava tirando addosso i milioni di fuggiaschi e gli attentati degli ubriachi di
morte. Lo hanno detto. Io l'ho detto tante volte, sul giornale che mi ha
generosamente ospitato e sul quale non scrivo più, e anche su questo giornale.
Posso documentarlo, anno per anno, mese per mese. I potenti e i mezzi-potenti
della terra, quelli della strategia, sono imbecilli, lo dico senza rancore,
quasi con compassione, a vederli arrancare. A vederli costretti a chiamare
guerra una cosa che poteva e doveve essere fermata come si ferma una sfida
criminale. Qualcuno si trincera dietro l'islam, a sostenere che si tratta di
altra cosa rispetto a ogni precedente storico, anche quelli atroci di Auschwitz
e del Gulag: certo che si tratta di altra cosa. E' sempre un'altra cosa. Così,
dopo aver lasciato la cosa crescere per cinque anni -ogni anno di queste
violenze ne vale quattordici di quelli normali, il doppio di quelli dei nostri
cani- ora si dividono fra chi si rassegna alla guerra, e chi vi si oppone: non
a fare quello che si deve qui e oggi, in Iraq e in Siria (e in Libia e Yemen e
Nigeria e Mali…) e nella Siria e nell'Iraq che l'Europa sta diventando, ma
"alla guerra", o "alla pace", questione risolta una volta
per tutte. (Per non parlare degli entusiasti della guerra, quelli che
"andrei a combattere" -guarda che si può, eh?- e votavano contro
l'invio di qualche istruttore e qualche fucile di seconda mano ai curdi). Si
ammonisce: "Ma in Libia…". In Libia si intervenne quando Gheddafi era
già spacciato, e avrebbe potuto forse durare alla maniera in cui è durato
Bashar a Damasco. Si intervenne quando era in pericolo mortale Bengasi, e
all'indomani non era detto che si dovesse lasciare il seguito alla guerra per
bande. Oggi si dice "Ma in Libia…" per tenersi alla larga dalla Siria
-un sesto anno…- come se la
Siria corresse il rischio di essere resa
"instabile"…
Il nostro presidente del consiglio ha deciso di
scommettere sul tenersi fuori -mezzo fuori mezzo dentro, cioè: se la va, viva
il sacro egoismo, se la spacca, c'è sempre il tempo di prendere posizione. Il
sacro egoismo europeo si è chiamato in casa i milioni di siriani e iracheni
(hanno aspettato fin troppo), ha creduto di esorcizzare lo spontaneismo del
terrore, ha comprato la complicità di Erdogan al prezzo del denaro e della
propria connivenza, ha magnificato Putin, il lungo protettore dell'infamia di
Bashar.
Ora Renzi pronuncia la battuta su "noi, che non rincorriamo le
bombe altrui", che suona come un'irrisione alla Francia colpita che chiede
solidarietà. Dio ce la mandi buona. Agli altri, l'ha già mandata cattiva,
cattivissima.
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