mercoledì 6 gennaio 2016

A COLONIA VIOLENZA SESSUALE DI MASSA . OTTIMO ESEMPIO DI INTEGRAZIONE

 

In due grandi paesi, per dimensioni e popolazione, non certo per civiltà sociale, come Iran e Arabia Saudita, le donne contano la metà degli uomini, e non solo in Tribunale (dove la differenza è palesata dal valore della testimonianza : quella dell'uomo vale doppio). Non si tratta di fare di tutta l'erba un fascio, ma di prendere atto della realtà : per gran parte delle nazioni dove la religione islamica governa le regole sociali, e quindi il rapporto uomo donna e il ruolo di quest'ultima, vige un sistema che definire patriarcale probabilmente è eufemistico. 
In quei paesi le donne sono anche rispettate e protette ma a condizione che si attengano rigorosamente ai compiti loro assegnati , senza varcamenti di confine.
Altrimenti, spiega un'esponente del movimento femminista tedesco, (intervistata dal Corsera) commentando i fatti di Colonia, dove un migliaio di nord africani e mediorientali hanno molestato decine di tedesche che si trovavano per le strade a festeggiare il capodanno, le donne perdono dignità e soggettività e possono essere trattate alla stregua di prostitute.
L'integrazione non sta avendo buoni risultati, ma questo non scuote le certezze di quelli che continueranno a confondere la realtà con il mondo come lo vorrebbero. 
"Cosa fate se i vostri figli non si adeguano ad una vostra indicazione ? " "Gliela ripetiamo più forte".
Ecco, certe intelligentoni di casa nostra sono come quei genitori.
Ottusi.

 
Il Corriere della Sera - Digital Edition

«Un senso d’impunità con radici culturali 
L’integrazione qui ha fallito»
di Maria Serena Natale


«Germania modello d’integrazione? Dimenticatelo». I fatti di Colonia segnano un punto di non ritorno nel dibattito sull’immigrazione, finora frenato «da pregiudizi al contrario, dalla paura di apparire razzisti e compromettere la pace sociale — dice al Corriere da Colonia Chantal Louis della storica rivista Emma , che dagli anni Settanta incarna la coscienza femminista tedesca —. Il vero coraggio sta nel dare alle cose il loro nome».
La dinamica dell’incidente è fin troppo chiara: da una parte il branco, dall’altra le prede rigorosamente donne. All’apice della crisi dei rifugiati l’estrema destra avrà buon gioco a presentarla come la rappresentazione plastica di quel sistema di valori patriarcale che l’Occidente ancora fatica a lasciarsi alle spalle ma che conserva la sua presa nel mondo musulmano.
«Rischia di essere un assist per i movimenti xenofobi che non aspettano altro che equiparare gli immigrati ai criminali, ma il grande errore della sinistra fino ad oggi è stato proprio essersi voltata dall’altra parte, lasciando alla destra il monopolio dell’interpretazione e del racconto delle inquietudini della società. I cittadini sono i primi a voler capire cosa sta accadendo in Germania, qualcosa che non ha precedenti. E gli unici a parlare il loro linguaggio per spiegare la realtà sono i partiti anti-immigrati. Questa è l’ultima occasione che abbiamo per cambiare la situazione».
È l’elemento culturale la chiave per comprendere la vicenda?
«Sì. Certo, le dinamiche di gruppo e il contesto fanno molto, ma conosciamo bene le situazioni nelle quali si può perdere il controllo. Ogni anno al Carnevale di Colonia ci sono tedeschi che compiono aggressioni sessuali, si tratta però di singoli o piccoli gruppi. Quello che impressiona stavolta è l’organizzazione e la dimensione dell’assalto. Sembrava un’azione di guerra. Prima hanno lanciato fuochi d’artificio, poi hanno circondato le donne toccandole, strappando loro gonne e camicie... C’è un senso di legittimazione in questa volontà di ferire che ha una forte radice culturale».
Cosa definisce questa radice?
«La fondamentale mancanza di rispetto, una distinzione netta di ruoli e valori per la quale la donna merita considerazione finché rientra in codici precisi come stare a casa e coprire il corpo. Fuori dallo schema, perde soggettività e diventa una figura anonima che è possibile trattare come una prostituta».
Il complesso rapporto con il passato nazista e il tabù della criminalizzazione di un gruppo etnico-religioso hanno ostacolato la messa a fuoco del problema?
«Senz’altro, e hanno influito sulla reazione delle vittime all’aggressione. Ci sono donne che hanno esitato a denunciare per non dare l’impressione di accusare un’intera categoria».

Il rapporto tra i sessi è il punto di caduta dell’integrazione?
«Dimostra che l’integrazione della prima ora, quella degli arrivati negli anni 60 e 70, non ha funzionato ma ha lasciato crescere una società parallela oggi ben visibile in città come Berlino e Colonia. Comunità fisicamente delimitate e molto conservatrici, dove spesso si pratica un Islam radicale e le donne non imparano neanche il tedesco. Gli aggressori di San Silvestro non erano certo arrivati da poco. È con i nuovi rifugiati che dobbiamo spingere per un’integrazione seria, veloce, profonda».
Ci sono altre vie oltre all’istruzione?
«Un punto centrale è la fermezza. Occorre chiarire per esempio che chi commette reati deve risponderne, anche vedendosi bloccare la procedura d’asilo. Un modo per rassicurare la popolazione oltre che per tutelare gli stessi profughi giunti da noi in cerca di pace e protezione. Dobbiamo costruire insieme una nuova cultura dell’accoglienza».
Solo pochi mesi fa un neonazista ha aggredito la candidata Henriette Reker, poi eletta sindaco. La tollerante Colonia ha scoperto l’intolleranza?
«Siamo da sempre la città dell’apertura alle differenze, di fede religiosa o di orientamento sessuale. Il fatto che questo clima di contrapposizione sia arrivato anche qui è un segnale tragico per tutto il Paese».

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