Ad un anno dalla strage parigina di Charlie Ebdo, trovo corretta e puntuale questa critica commemorazione fatta da Marco Imarisio sul Corsera. Dopo la commozione e lo sdegno iniziali, cominciarono i distinguo, i discorsi politicamente corretti tesi a non demonizzare i buoni islamici, fino ai disgustosi "in fondo se la sono cercata". Chissà se anche quelli del Bataclan se l'erano meritata...
L’ASSALTO A CHARLIE HEBDO E LA MINACCIA PERMANENTE
Marco Imarisio
Quella mattina nessuno sapeva bene dove fosse la redazione del giornale. Nel gennaio del 2015 Charlie Hebdo rischiava di chiudere nell’indifferenza generale. Il suo nome era ormai considerato sinonimo di una stagione e di polemiche ingombranti, che non avevano quasi più ragion d’essere.
Le vignette cosiddette blasfeme su Maometto, le polemiche e le minacce erano state derubricate a vicenda unica e particolare, opera di eterni bambini, considerati da molto tempo provocatori di professione e come tali tollerati. Così, quando accadde, lo sbigottimento si mischiò ben presto all’illusione che la strage del 7 gennaio, e quella troppo spesso dimenticata di due giorni dopo in un negozio di alimentari gestito e frequentato da ebrei, fossero le conseguenza di un passato recente, episodi a loro modo circoscritti che facevano parte comunque della nostra epoca, di qualcosa che avevamo già visto e conoscevamo. Il tormentone solidale di Je suis Charlie , la bellissima marcia repubblicana della domenica seguente, il dibattito che si aprì sulla libertà d’espressione senza che però nessuno trovasse la forza di ripubblicare e rimostrare le vignette che erano costate la vita ai loro autori, furono reazioni che si inserivano in un percorso noto, su una strada che sembrava già battuta e preludeva al ritrovamento di una normalità mai, neppure per un istante, messa in discussione.
Ci sono voluti undici mesi per capire che non è stata solo una illusione ma anche un errore. Gli attacchi del 13 novembre, la mattanza al Bataclan e nei ristoranti dell’undicesimo arrondissement, hanno reso evidente il fatto che la strage di Charlie Hebdo non era uno scampolo di passato ma di futuro, l’anticipo di un mondo nuovo nel quale per forza di cose siamo impreparati a vivere, dove non sappiamo come reagire agli eventi e soprattutto non abbiamo idea di come difenderci.
I segni erano evidenti, anche quelli della nostra inadeguatezza, a cominciare dalla scoperta che i servizi di sicurezza, francesi e non solo, erano vasi non comunicanti, che tenevano per sé informazioni sensibili, senza condividerle con i colleghi stranieri e al loro interno, non sappia la mano destra cosa fa la sinistra, e viceversa.
L’onda emotiva fu imponente ma tutto sommato di breve durata, si trasformò presto in risacca. La paventata adozione di una specie di Patrioct act alla francese destò reazioni sdegnate e unanimi sui media e venne subito rimandata a data da destinarsi nella soddisfazione generale. Il riflesso pavloviano di attribuire tendenze fasciste e islamofobe a chi contestava un rapido ritorno al politicamente corretto riprese ben presto piede. E la generale voglia di rimozione portò a non dare il giusto peso alla replica in minore di Charlie Hebdo avvenuta a Copenaghen il febbraio seguente, al rosario di attentati falliti o sventati che continuavano a moltiplicarsi in giro per l’Europa, persino ai rari e sparuti allarmi che giungevano dai servizi segreti del Belgio, non proprio un modello di efficenza.
Gli indizi di un nuovo e più invasivo terrorismo erano ben disposti sul nostro tavolo, mancava però la voglia di vederli. C’era anche l’alibi, in fondo è stato più facile pensare che il fulmine aveva colpito laddove ci si aspettava che colpisse, tra quei «masochisti» un po’ blasfemi di Charlie Hebdo , la definizione tra virgolette è di Daniel Cohn-Bendit, ma si tratta solo di una tra le tante.
I mesi seguenti alla strage del 7 gennaio hanno rappresentato la conferma della nostra incapacità di convivere con il pensiero fisso di una minaccia che non da oggi si è rivelata permanente. Certo, con il senno di poi si può sempre dire tutto. Forse non sarebbe cambiato nulla, forse ci saremmo dentro ugualmente, come poi è avvenuto. Ma Charlie Hebdo non è stata soltanto una strage. È stata anche una occasione perduta.
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