L'amico Roberto Natoli segnala meritoriamente su FB l'ultimo intervento del mai troppo elogiato Luca Ricolfi che sul Sole 24 Ore affronta il problema immigrazione prendendo spunto dalle recenti cronache dei fatti di Colonia e non solo. Il bravissimo esperto di statistica sociale un tempo scriveva su La Stampa, adesso è passato al giornale di Confindustria. In effetti, con un direttore terzomondista e politically correct come Mario Calabresi, il realismo concreto di Ricolfi mal si conciliava. Adesso Calabresi è approdato a Repubblica, prendendo il posto di Ezio Mauro, il che ha comportato, come prima, immediata conseguenza che Adriano Sofri lasciasse il giornale di L.go Focherini. Si può comprendere : il secondo è stato riconosciuto (verità giudiziaria, della quale in tanti dubitiamo) colpevole dell'omicidio del padre del primo, Luigi.
Non credo peraltro che i repubblichini ci abbiano guadagnato nel cambio...
Massimo Cacciari, su l'Espresso, scrive una lunga dissertazione su come siano vane le politiche volte a cercare di fermare l'immigrazione, irridendo, col suo consueto sarcasmo, alla fumosità del concetto di "integrazione", ma non spende nemmeno una riga su come allora pensa di risolvere i molteplici e seri problemi che l'invasione comporta (molto, ma molto meglio, Ernesto Galli della Loggia nel suo ricordare il fallimento del multiculturalismo : http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2016/01/integrazione-non-e-multiculturalismo-e.html )
Intanto, il risultato è che cresce esponenzialmente il malcontento degli indigeni, e sempre più paesi iniziano a prendere misure in contrasto con Shengen.
Mai vista l'Europa conciata così male da quando osservo l'agitarsi dell'utopia unionista.
L'IMMIGRAZIONE E IL BRUSCO RISVEGLIO
Luca Ricolfi
Ci sono voluti i fatti di Colonia, con centinaia di donne
molestate e derubate da migranti e rifugiati, per aprire gli occhi, prima
ancora che all'opinione pubblica, alle autorità dei paesi europei.
Prima di Colonia, la lettura dei problemi posti dall'ondata
migratoria e dalla tragedia dei profughi era largamente buonista, e le parole
d’ordine di politici, media, intellettuali erano prodigiosamente sincronizzate
su un unico registro, quello che si potrebbe definire il “pensiero unico
dell’apertura”: accoglienza, solidarietà, aiuto, tolleranza, integrazione,
diritti umani.
Oggi non più. Oggi, per la prima volta da molti anni, di
immigrazione si sta tornando a parlare abbastanza liberamente anche in
pubblico, ovvero nei templi della politica, dell’informazione e della cultura
ortodosse.
E questo improvviso cambiamento, è il caso di sottolinearlo,
non è coinciso con il doppio assalto dell’Isis a Parigi («Charlie Hebdo» e
Bataclan, gennaio e novembre 2015), ma con i fatti di Colonia (1° gennaio
2016). Come mai?
La ragione è molto semplice. Fra i capisaldi del pensiero
unico dell’apertura vi è un totem più totem di tutti gli altri: la difesa delle
minoranze, un atteggiamento che sfiora la venerazione per minoranze speciali
come le donne, gli immigrati, gli omosessuali, gli islamici, i “diversi” in
genere.
Il guaio di Colonia è che, questa volta, una minoranza speciale, fatta
di immigrati economici e richiedenti asilo, anziché recare offesa a cittadini
comuni ha avuto la pessima idea di prendere di mira un’altra minoranza
speciale, quella delle donne (tedesche, in questo caso).
Un errore che, su più piccola
scala, si è ripetuto nei giorni scorsi di nuovo in Germania, dove le molestie
(in una piscina pubblica) di alcuni rifugiati nei confronti di cittadine
tedesche hanno indotto le autorità a vietare l’accesso dei rifugiati stessi
alla piscina.
Di qui il brusco risveglio non solo dell’opinione pubblica e dei
media, ma anche di una parte dell’intellighenzia progressista, improvvisamente
privata della possibilità di minimizzare, reinterpretare, e in definitiva
girare la testa dall’altra parte.
In una recente intervista al quotidiano «La Stampa », ( noi l'abbiamo ripresa dal Corsera, e pubblicata nel post http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2016/01/integrazione-possibile-solo-se-i-nuovi.html n.d.C ) la scrittrice e
filosofa francese Élisabeth Badinter, femminista e non certo accusabile di
xenofobia, non solo ha denunciato la timidezza delle autorità e dei media, a
suo parere più preoccupate di difendere la reputazione degli immigrati che il
diritto delle donne alla sicurezza, ma ha messo assai bene a fuoco qual è il
nodo politico-culturale che i fatti di Colonia hanno portato alla ribalta: il
discorso pubblico, nelle nostre evolute società occidentali, è imbavagliato dal
timore di favorire la destra xenofoba e razzista. Secondo la Badinter , per il nobile
scopo di frenare l’estrema destra e non alimentare il razzismo “si finisce per
tacere”, o per “camuffare la verità”, senza rendersi conto che “a nutrire un
riflesso estremista e xenofobo sono anche il silenzio e gli imbarazzi”. Di qui
la pavidità dei progressisti, intimiditi dalla mera possibilità di essere
accusati di islamofobia, con il risultato che “vengono confinate nel silenzio
persone di buona volontà che vogliono poter criticare tutte le idee, comprese
le religioni”.
Da questo punto di vista, quello del diritto alla critica e
al libero pensiero, c’è solo da sperare che i fatti di Colonia rendano tutti un
po’ più coraggiosi e “aperti”, non solo verso l’altro ma anche verso la
molteplicità del reale. Sarebbe bello che, in materie cruciali per la vita
comune (come sicurezza, religione, libertà), la curiosità prevalesse sul
desiderio di difendere le proprie credenze, quale che sia la natura di queste
ultime. Una buona causa non dovrebbe mai essere un motivo per nascondere,
deformare, o capovolgere la verità. In materia di immigrazione, criminalità,
terrorismo, religione, le credenze dettate dalla paura e dall’ideologia hanno
uno spazio enorme, mentre ben poca attenzione viene riservata all’accertamento
dei fatti, anche dei più elementari e “basici” (ovvero necessari per formarsi
un’opinione fondata). Forse, prima di dilaniarci sui dilemmi etici, rispetto ai
quali chiunque pensa di potersi erigere a legislatore delle coscienze, faremmo
bene a tornare, più umilmente, a raccontare i fatti e, quando i fatti e i
collegamenti fra fatti non sono chiari, a farci domande vere.
L’Europa che
tutto monitora e misura, ad esempio, ben poco sa del nesso fra criminalità e
immigrazione, che pure tante passioni suscita nell’opinione pubblica e nel
dibattito politico. La nostra conoscenza delle situazioni di fuga e dei teatri
di guerra in Africa e nel Medio Oriente è poco più che folcloristica. Per non
parlare del presunto legame fra povertà e terrorismo, su cui le esternazioni
morali si sprecano e le analisi scientifiche scarseggiano, e comunque
pochissimo interessano la politica e i media.
Anche su questo la Badinter ha pienamente ragione: se i movimenti
estremisti avanzano in Europa, è anche per reazione a una lunga stagione di
silenzio, conformismo e pavidità, in cui l’imperativo dell’apertura ha finito
per offuscare il bisogno di verità.
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