Sono consapevole che quando si parla di licenziamento viene affrontato un argomento serissimo per la vita delle persone. La perdita del posto di lavoro, specie in Italia, specie in questo momento, è cosa molto grave.
Però , nonostante questa premessa, che assicuro sincera, come trattenere un sorriso divertito nel leggere le parole di spontanea giustificazione di Alberto Muraglia, impiegato del comune di Sanremo, diventato famoso per la foto nella quale timbra il cartellino di lavoro in slip ?
" Timbravo in mutande, ma soltanto nei giorni festivi"
e ci mancava pure che lo facesse in quelli feriali !!
Dopodiché, passando alla sostanza, con l'ammissione di tutte le volte in cui a timbrare, profittando della situazione logistica (casa sua attigua a quella dell'ufficio e quindi della macchina per la timbratura del badge), sono andate moglie e figlia, per non contare di quelle in mise adamitica, ho qualche serio dubbio che Muraglia, di questi tempi, riesca a cavarsela.
Sottolineo il riferimento temporale, ché ci sono state epoche in cui altro che questo veniva tollerato dai giudici del lavoro. La casistica è piena di licenziamenti revocati nonostante la prova di impiegati in malattia scoperti a fare altro, anziché starsene a casa malati, di dipendenti tranquillamente al bar e/o al mercato durante l'orario di lavoro, per non parlare di gravi casi di indisciplina verso superiori e colleghi. Il vento però è cambiato. Ci sono ancora ex pretori che continuano a infestare le sezioni Lavoro e per i quali il lavoratore va assolto a prescindere, ma non sono più la maggioranza.
E questa non è una cosa negativa, ancorché talvolta s' intravedano atteggiamenti di segno opposto, con una severità draconiana, laddove la giustizia dovrebbe essere sempre equilibrata nella corretta applicazione delle norme.
“È vero, timbravo in mutande, ma soltanto nei giorni festivi”
Il vigile di Sanremo licenziato dal Comune si difende: “Non sono un assenteista”. Il legale: “Una volta in slip ha sventato una rapina arrestando il malvivente”
giulio gavino-gianni micaletto
SANREMO
Non sono un assenteista. Penso di essere un capro
espiatorio, e non soltanto io. Ho timbrato in mutande, ma nei giorni festivi,
dovendo stringere i tempi per la rimozione di veicoli in divieto di sosta. E,
comunque, quando i locali erano chiusi al pubblico. Mi dispiace che le mie
giustificazioni non siano state recepite».
Alberto Muraglia, cinquantatré anni, è diventato (suo
malgrado) il simbolo dell’inchiesta sui «furbetti del cartellino» a Sanremo. È
lui quello che una telecamera spia piazzata dalla Guardia di Finanza ha più
volte sorpreso a strisciare il badge nella macchinetta come se fosse in camera
da letto o sprofondato sul divano, si difende dalle accuse che lo hanno portato
dritto sulla strada del licenziamento. È uno degli otto dipendenti comunali di
Sanremo già «spediti» a casa dall’Ufficio per i procedimenti disciplinari,
senza attendere gli esiti penali dell’operazione «Stakanov», che ha alzato il
velo su un radicato malcostume in Municipio dove, per molti, era diventata la
normalità farsi gli affari propri durante l’orario di lavoro. Ma il
vigile-custode, che abita con la famiglia in un appartamento all’interno del
mercato annonario, non ci sta a passare per l’emblema dei menefreghisti, pur
ammettendo di aver sbagliato. Si sente vittima dell’immagine che gli hanno
affibbiato, esposto a una gogna mediatica senza confini.
«Il mio alloggio, l’ufficio e la timbratrice sono contigui -
spiega - Ho timbrato in mutande in sei occasioni, tutte festive, quindi a
mercato chiuso. Dovendo stringere i tempi per la rimozione di veicoli che
ostacolavano il posizionamento dei banchi del mercatino dell’antiquariato o
tornando dal servizio sotto la pioggia legato alla Milano–Sanremo 2014, per non
attraversare casa bagnato fradicio».
Ma a timbrare ci mandava anche la moglie e la figlia, pure
loro immortalate dalle microspie: almeno una ventina di volte. «Sono stato
superficiale e in questo ho sbagliato - ammette - Ma ero presente in servizio.
In queste circostanze, poiché mi ero attardato a chiudere pratiche d’ufficio,
ho chiesto a mia moglie o a mia figlia, che venivano a chiamarmi per andare a
tavola, di timbrare al mio posto. Ma ero lì. Ho chiesto che l’Amministrazione,
nel corso del procedimento disciplinare, ascoltasse il direttore del mercato, spesso
presente, a conferma di quanto sostengo. Risulta che non sia stato sentito e mi
chiedo il perché. Sono certo che il giudice, sia penale sia del lavoro, prima
di decidere della mia vita ascolterà tutti i testimoni che indicherò».
CAPRO ESPIATORIO
Muraglia sa di essere diventato un esempio negativo, un
modello da evitare, l’emblema di un’inchiesta che non smette di far rumore. Le
immagini di lui in ciabatte, maglietta e mutande mentre striscia il «badge»,
hanno fatto il giro del mondo e scatenato una valanga di reazioni, dal premier
Matteo Renzi alle chiacchiere da bar. Lo inseguono telecamere e taccuini. Ieri
ha lasciato che a difenderlo in tv, nell’Arena di Massimo Giletti, fossero la
moglie Adriana Silingardi («non è un assenteista...») e l’avvocato civilista
Luigi Alberto Zoboli, che lo tutela assieme al collega penalista Alessandro
Moroni. «Una volta, in mutande, ha pure sventato una rapina, precipitandosi in
strada con la pistola in pugno e arrestando il malvivente», ha sottolineato il
legale.
«Io un capro espiatorio? Lo ha scritto pure chi mi ha
licenziato - evidenzia - La verità è che quando ho timbrato in abiti succinti
ero certo di non esporre né me né il Comune a un danno d’immagine, considerato
che in quei giorni e in quelle ore i locali erano chiusi ai cittadini. Il mio
comportamento non era oggettivamente idoneo a manifestarsi pubblicamente.
Vorrei, però, sapere come sia stato possibile che le immagini dell’inchiesta
siano giunte prima ai media che ai miei avvocati».
BATTAGLIA LEGALE
Muraglia e i due legali si preparano a dare battaglia:
«Ricorreremo contro il licenziamento». Nell’attesa, ha ricevuto una mail da
Alberto II (particolare svelato a «Domenica live» su Canale 5), il re del
Belgio che nel 2013 ha
abdicato a favore del figlio Filippo. D’estate Muraglia ha lavorato per una
ventina d’anni come marinaio-cuoco (autorizzato) sullo yacht utilizzato dalla
famiglia reale per le vacanze estive (salpava da Portosole): «Mi ha chiesto
dell’accaduto. Gli ho spiegato che si tratta di un errore giudiziario, sono
finito in un ingranaggio più grande di me. Mi ha risposto che loro continuano
ad avere fiducia in me».
Il presente è un lavoro che non c’è più, sia pure da uomo
libero dopo la revoca degli arresti domiciliari (ma con interdizione dai
pubblici uffici per dieci mesi). E il futuro? «Ogni mia energia sarà dedicata a
difendermi e a ristabilire la verità dei fatti. Ho commesso leggerezze, ma non
sono un assenteista, non ho mai ingannato e tanto meno frodato il Comune di
Sanremo. Il “mio” Comune. Mi dispiace che non abbiano recepito le mie
giustificazioni, tutte documentate e verificabili attraverso testimoni».
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