sabato 23 aprile 2016

"IO LO CAMBIERO'" LA CIECA OSSESSIONE DELL'ALTRA META' DEL CIELO

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Un giorno a pranzo con amici, riportavo una recente statistica sulla frequenza dei rapporti sessuali all'interno di una coppia italiana, e nella nostra fascia di età - la mezza, quella che va dai 45 ai 55/60, ad essere benevolenti e ritardare l'inizio della terza a dopo i 65 - la media era di uno, poco più, a settimana, 5-6 al mese.
Uno dei presenti, sposato da quasi 30 anni, commentò subito "dov'è che si firma ??".
La storia che riporta il Corriere della Sera, immagino come testimonianza di "costume", è particolare perché la protagonista è straordinariamente giovane quando fa una sfilza di errori che la portano a vivere un matrimonio infelice, nel quale DA SUBITO, e non dopo lustri, scompare la fisicità, e da cui con fatica è poi riuscita a liberarsi.
Però che il colore del talamo coniugale diventi da un certo momento completamente "bianco" o quasi, non credo sia una grande sorpresa.
Così come i numeri che accompagnano la storia :
il 30% delle coppie unite da oltre 15 anni non fa sesso, e la percentuale sale ad oltre il 50% quando la durata passa ai 30.
Quelli che lo fanno, sempre con riferimento ad una durata consistente della coppia, si dedicano con parsimonia ( quella per la quale una volta a settimana pare pure troppo, come confermerebbe la battuta del mio amico).
Le ragioni sono facili da individuare : per oltre il 60% ad uccidere il desiderio è la routine, e solo nel 20% dei casi si riscontro una qualche disfunzione di uno dei partners.
Del resto, Battista, simpatico comico romano, ripete spesso nei suoi spettacoli che il sesso di coppia dopo 15 anni è un incesto...

Venendo alla storia, apprezzo i radi momenti di autocritica dell'autrice, in generale più prodiga a descrivere i difetti del compagno.
Qua e là, chissà, magari merito di anni trascorsi da un terapeuta - ora di coppia, ora individuale - all'altro , alla giovanotta è venuto in mente che in effetti qualche colpa per il suo tristo destino anche lei l'ha avuto.
Il primo, facilmente individuabile, eppure ancora così gettonato specie nel mondo femminile, è l'idea che si riusciranno a cambiare le cose del compagno che non ci piacciono.
Fatale ! Eppure, cacchio, su questa cosa l'altra metà del cielo persevera in modo talmente ottuso che c'è da chiedersi se non c'è una punizione divina dietro a tanta pervicacia !
Stavolta, nell'evidenziare i passi ritenuti più salienti, ho usato due colori : l'arancione per quello che assolutamente biasimo mentre il rosso l'apprezzamento per la resipiscenza della narratrice.
Le amici lettrici consapevoli del proprio omocentrismo, sono sconsigliate di proseguire nella lettura.



Il Corriere della Sera - Digital Edition

Rinascere dopo un matrimonio bianco

di Lena Conti

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Avevo 23 anni. Lo incontro grazie ad una amica che crede che siamo fatti l’una per l’altro. Voglio crederci anch’io, lo vedo: è bello, ha l’aria dolce, alto, occhi grandi e verdi, ha parecchi anni più di me.

Mi chiama dopo pochi giorni e iniziamo ad uscire. Io già vivo sola. Lui no, vive con i genitori e il mio bilocale si presta subito per tuffarci in una storia d’amore piena di passione, di desiderio, di condivisione. In breve ci troviamo a convivere, prima solo nel fine settimana e poi stabilmente. Mi pare tutto così perfetto, romantico, come nei miei sogni di ragazzina.

Poi suo padre si ammala, sua madre si dimostra invadente e troppo legata a lui, lui passa più tempo con loro che con me e il sogno inizia a incrinarsi, l’amore romantico inizia a cedere il passo alla realtà delle cose e del suo carattere, dei miei bisogni, dei suoi legami. Mi arrabbio, mi intristisco, ma continuo a pensare che lo cambierò, che per amore lui cambierà, mi amerà come voglio, mi farà vivere l’amore che cerco.

Ci sposiamo, festeggiati da amici e parenti e iniziamo la nostra vita di sposi … senza sesso.

Sì perché il sesso, che ci aveva uniti nei primi due anni, con piacere e soddisfazione reciproca, sparisce appena l’anello nuziale si salda ai nostri anulari. Neanche consumiamo la prima notte di nozze, né la seconda, né le successive. Lui non mi cerca più, non mi desidera, se si avvicina – raramente – o io mi avvicino a lui il suo corpo dimostra tutto, tranne che il desiderio.

Meno male che mia madre, donna aperta e moderna, mi aveva detto: «Fai le prove prima del matrimonio, per non avere sorprese dopo. La sessualità è importantissima in una coppia». Che beffa: le prove erano andate perfettamente, ma già dalla «prima» iniziò il flop.

Abbiamo tentato in mille modi di ritrovare un’intesa sessuale serena e piacevole: farci le coccole garantendoci fin da subito che la finalità non era avere un rapporto completo; siamo andati da un terapeuta di coppia; anziché stare a casa cercavamo occasioni rilassanti in luoghi e alberghi piacevoli, sperando che anche il contesto aiutasse. Ma più insistevamo e peggio era. Solo dopo qualche incontro con il sessuologo sembrava che le cose fossero migliorate, ma è stato solo per un breve periodo. La delusione, la rabbia, l’insicurezza, la paura di ritrovarci ancora e ancora in una situazione di imbarazzo e fallimento si erano fatte insostenibili.

Lui alternava scuse e pianti, sentendosi il responsabile della tristezza che vedeva in me, a giorni in cui mi ignorava e se cercavo di fare qualcosa per me stessa che mi aiutasse ad avere momenti di serenità — uscire con le amiche o un po’ di attività sportiva — metteva il muso.

Io prima ero furente, mi sentivo come una bambina a cui hanno fatto una promessa bellissima che però non hanno mai mantenuto. Caddi nella delusione e soprattutto, con il passare del tempo, nello sconforto. Ero sposata, non potevo avere figli — evidentemente, visto che non li porta la cicogna — e mi pareva di non avere altro destino che un matrimonio bianco, triste e sterile per l’anima e per il corpo. Ma soprattutto in me si fece largo sempre di più, inizialmente serpeggiando e poi con chiarezza, l’idea che se lui non mi desiderava il problema ero io.

Così ho passato un paio d’anni ad affogare la mia tristezza nel cibo, in maniera scomposta, o a cercare di uscire il più possibile per non stare con lui. Cercammo di portare avanti la nostra storia d’amore e affetto — che continuavano ad esserci — «facendo finta» che la sessualità non fosse importante. Ma in realtà, nel tempo, ci eravamo allontanati. Anche solo restare sul divano abbracciati ci faceva sentire l’ombra di qualcosa di potenzialmente pericoloso.

Non volevamo riconoscere e accettare che il sesso fosse uscito dalla nostra vita e darcene pace, se possibile. Per me il sesso non è solo un piacere, non è solo — e non è poco — la possibilità di avere figli (desiderio che lui all’inizio aveva condiviso, ma che poi non aveva più nominato), ma ha un valore simbolico di legame e conferma di vicinanza a cui non riuscivamo a trovare alternativa. O non volevamo. Io non volevo. Faticavo a parlarne con qualcuno perché di sesso non sempre è facile parlare, specie quando non va bene. In più provavo vergogna perché ero sempre più convinta che la causa di tutta quell’impotenza — diamo pure nomi alle cose — fossi io e che se un uomo si trova una donna nel letto e non gli viene l’idea di farci l’amore è perché la donna è sgradevole o incapace di soddisfarlo.

Ovviamente nel frattempo mi erano nate un sacco di paure che lui mi tradisse, e le liti non ce le facevamo mancare. Ma lui negava di avere amanti. Più volte lo invitai ad andare in terapia psicologica, inizialmente anche da un urologo per capire se il problema fosse fisiologico, a parlarne con qualche amico fidato. Anche il sessuologo (unica figura specialistica che mi concesse di vedere e comunque insieme) gli propose un percorso individuale. Lui si rifiutò, si chiuse sulla questione e le poche cose che mi fece capire furono che, in fondo, lui figli non ne voleva e dato che era più grande di me (14 anni in più) era certo che prima o poi lo avrei lasciato per un uomo più giovane e che viveva in questa paura. Ma la cosa che mi sconvolse di più fu quando mi disse: «Non riesco a fare l’amore con te e poi vederti cucinare per noi». Insomma: per lui l’amante e il sesso erano una cosa, la moglie e la custode del focolare un’altra e non potevano coincidere!

Sono stati tempi duri, di dolore intenso, di buio, di fatica. A volte cercavo di convincermi che in fondo il sesso non è tutto, che i figli se non possono arrivare non importa. Ma non ci credevo neanche un po’ e subito mi contorcevo alla ricerca di una via di uscita. Via d’uscita ovvia, che non volevo vedere: bastava divorziare. Solo la parola mi dava i brividi. A 27 anni avevo fallito.

Grazie ad una terapia psicologica e al supporto di una amica fidata, molto meno rigida di me, e di mia sorella con la quale ho sempre avuto un legame molto forte e sincero, accettai di fare l’unico passo che potevo. Grazie a loro capii cosa contava per me, capii che non dovevo annullarmi e vivere una vita infelice perché piena di rinunce troppo grosse — che prima o poi sarebbero diventate rancore e depressione — ed ebbi la certezza che non sarei stata sola nell’affrontare la separazione: qualcuno mi credeva e mi sosteneva. Affrontai lui, i genitori, gli amici, mi esposi al giudizio altrui ma non raccontai mai i veri motivi di quella rottura.

Com’è andata dopo? Quando ognuno tornò a vivere per conto proprio, lui iniziò a dirmi che ero la donna della sua vita e che magari come fidanzati potevamo ricominciare a vederci. Ah sì? Almeno lì fui ferma: «Scordatelo!», gli dissi. Non ci vedemmo più, so da altri che non si è risposato, che è tornato alla vita di prima e non ho ancora ben capito cosa successe in lui dopo le nozze e soprattutto perché mi sposò. Ricordo però bene che lui, ad un certo punto, prima delle nozze, fece un debole tentativo di mollarmi, dicendo che era spaventato, che non si sentiva fatto per il matrimonio e la paternità, che era nato per fare il single, ma quella crisi rientrò velocemente. Ora mi rimprovero di essere stata cieca e lui con me. Secondo la mia terapeuta il suo era un atteggiamento aggressivo-passivo nei miei confronti perché gli chiedevo, con le mie aspettative tacite, di essere diverso da quello che era e un tipo di relazione che lui non era disposto ad avere. Magari lo avessimo capito prima: ci saremmo fatti meno male entrambi.

Dopo iniziai una faticosa ma interessante fase che amo definire il mio «anno sabbatico»: storie leggere, in cui ritrovare la mia possibilità e il mio desiderio di seduzione e la gioia del sesso. Niente male, lo consiglio. Rifiorii, ritrovai fiducia in me stessa e maggior serenità. Poi ho conosciuto colui che è diventato il mio secondo marito, ma la storia è stata tutta diversa, perché io ero tutta diversa. E meno male …

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