mercoledì 21 settembre 2016

IN ATTESA DELLA RIFORMA MIRACOLOSA, IL DEBITO CONTINUA A CRESCERE

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Quando leggo, spesso purtroppo, o sento che la riforma costituzionale è quella che ci darà la svolta, provo un mix di sconforto unito a fastidio.
Sicuramente sarà un bene eliminare le storture grandi che Prodi e soci commisero stravolgendo il titolo V della Costituzione, realizzando un decentramento fondato sull'irresponsabilità.
Anche buona l'idea di eliminare la doppia Camera, ma così com'è stata costruita, la cosa appare pasticciata. Pessima la modifica dell'elezione del capo dello Stato. IL tutto con lo sfondo della legge elettorale che è avoglia se è legata all'impianto riformatore, se anche la Corte Costituzionale ha deciso - tra l'altro in modo criticato e criticabile - di aspettare l'esito del referendum prima di pronunciarsi sulla legittimità dell'Italicum. Alla fine quest'ultimo cambierà, ma credo che decisiva, più che la logica istituzionale, sia stata la batosta alle amministrative, con i ballottaggi persi sistematicamente contro i grillini.   Ammettere le liste di coalizione, significa azzoppare il Movimento, che notoriamente disdegna qualsiasi alleanza, e favorire un duello finale, visto che tanto nemmeno una coalizione ampia oggi si avvicina al 40% stabilito per far scattare il premio al primo turno, che vede il PD ed alleati eventuali contro il Centro Destra.
Un ballottaggio che, secondo i sondaggi,  favorisce Renzi, allo stato, e comunque con decisamente migliori chance rispetto al confronto con i pentastellati (dove, sempre secondo i Demos, sarebbe assolutamente perdente, allo stato).
Al momento è assodato, perché sempre verificatosi, che in caso di ballottaggio tra Movimento e PD gli elettori di centro destra si astengono o votano prevalentemente il primo, e questo ha finora sempre fatto pendere l'ago verso i grillini. Viceversa, confrontandosi con l'armata Brancaleone - questa sarebbe allo stato - del CDX, Renzi potrebbe contare probabilmente su una parte della sinistra radicale e degli stessi elettori del M5S che, con grande sofferenza, gli darebbero il voto pur di evitare la vittoria di un nemico considerato peggiore.
Quindi l'Italicum cambierà, ancorché temo che non si affronterà il nodo cruciale, qui da sempre sollevato e che ogni tanto si vede balenare anche tra commentatori più importanti : la determinazione di una soglia di votanti, di un quorum, per far scattare l'applicazione del premio di maggioranza.
L'abbiamo scritto sino alla nausea : il 51% di un'elezione in cui va a votare il 50% scarso dell'elettorato - questo il possibile scenario del ballottaggio - significherebbe che ci sarebbe una forza che controlla il Parlamento, quindi il governo , con il consenso di nemmeno un quarto degli italiani.
Una mostruosità antidemocratica.
Stabiliamo un quorum, direi un 70%, di partecipazione al voto, e avremo un vincitore che almeno rappresenta più di un terzo dei cittadini. Mi sembra un compromesso accettabile, nel difficile equilibrio tra governabilità e rappresentanza.
Tornando alla Riforma che secondo i corifei del premier avrebbe chissà che effetti benefici anche sull'economia del nostro paese, ai dubbi già sollevati da vari osservatori, tra cui da ultimo il redivivo Mario Monti (il salvatore dell'Italia..., io li vorrei ascoltare i dementi del tempo per sentirli oggi...) , si aggiungono le pertinenti osservazioni di Polo Mieli, oggi sul Corsera.
In oltre due anni e mezzo di governo, Renzi cosa ha fatto per affrontare il cancro della spesa pubblica, con relativi, indecenti sprechi ? Sicuramente gli 80 euro ai dipendenti non hanno dato un contributo a ridurre il debito, e la trista fine di gente come Cottarelli e Perotti, entrambi alle prese con la famosa Spending Review, stanno lì a dimostrare come sicuramente il toscano non è uno che ha particolare attenzione su quel lato.
Eppure l'Italia resta il paese più indebitato d'Europa, e continua a veder crescere il suo debito, nonostante gli aiuti della BCE e il calmieramento degli interessi sullo stesso. Se non c'era Draghi a Francoforte, lo spread che ha spezzato le reni all'ultimo Berlusconi, costringendolo alle dimissioni nel 2011, sarebbe ancora lì a massacrarci. Sono passati 5 anni, CINQUE, e miracoli non se ne sono visti nonostante il Cavaliere del Male sia stato allontanato.
Giacalone lo chiama il Partito Trasversale della Spesa, ed è decisamente e inossidalmente il più forte in Italia, mentre altri paesi, Mieli li elenca, dei miglioramenti li hanno fatti, e il PIL se ne è giovato.



Il Corriere della Sera - Digital Edition
 
 
I nostri vizi le virtù di Merkel

di Paolo Mieli

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Il partito europeo che ha in antipatia Angela Merkel gioisce per il secondo ceffone da lei preso nel volgere di pochi giorni. Due settimane fa la Cdu era stata umiliata(e addirittura scavalcatadagli antieuropeisti di Frauke Petry) nel Meclemburgo- Cispomerania. Domenica scorsa, a Berlino, i cristiano-democratici hanno conservato sì il secondo posto, ma hanno perso quasi il 6% dei voti. E a peggiorare le cose ha contribuito la Spd di Sigmar Gabriel che di suffragi ne ha smarriti altrettanti.Può essere considerato confortante il fatto che Alternative für Deutschland stavolta non abbia sfondato e sia arrivata quinta, dietro Grünen e Linke. Sicché, se si confermasse tale trend, l’esultanza del partito europeo antitedesco può essere considerata prematura, nel senso che — come spiega bene l’ultimo numero di Der Spiegel — alle elezioni politiche dell’ottobre 2017, Merkel potrebbe essere ancora in grado di conquistare il suo quarto mandato.Ma gli antipatizzanti diAngela non disperano che il contesto della crisi europea possa assestarle il colpo decisivo.

Effettivamente gli elettori tedeschi da un po’ di tempo castigano Merkel. Ma, a quel che rilevano i sondaggi di opinione, la puniscono non per i suoi demeriti bensì in virtù dell’atto più importante della sua lunga carriera politica: l’aver spalancato le porte della Germania a centinaia di migliaia di migranti siriani. Un gesto che le valse il riconoscimento della comunità internazionale e che servì, nell’estate del 2015, a rompere l’onda xenofoba che stava montando in tutto il Continente.

Adesso, soprattutto a causa dei risultati elettorali di cui si è detto, la cancelliera è costretta a rivedere i termini di quell’annuncio. E a tenere in materia di migrazioni una posizione più rigida. Anche per la pressione del cosiddetto gruppo di Visegrad, un insieme di quattro Paesi ex comunisti le cui redini sono in mano al reazionario ungherese Victor Orbán e a quello polacco Jaroslaw Kaczynski. Affiancati — lo ricordiamo per inciso — da due socialdemocratici: lo slovacco Robert Fico e il ceco Bohuslav Sobotka.

Non risulta invece — dai già citati sondaggi — l’esistenza di un elettore tedesco che abbia abbandonato la Cdu perché non incoraggia politiche europee che consentano a Grecia, Italia e Francia (e a quel punto chissà quanti altri Paesi) di rimettersi a spendere come facevano in passato. Gli elettori del Meclemburgo, della Cispomerania e della stessa Berlino sono insensibili ai moniti dei sedicenti eredi di John Maynard Keynes, si mostrano refrattari al tema della flessibilità (cioè della libertà di spesa) per i Paesi mediterranei e anzi, quando gliene si dà l’occasione, affermano che — ove mai fosse concesso alle terre dove fioriscono i limoni un diritto a tornare a forme di pubblica dissipazione — preferirebbero non aver più conti in comune con loro. Anche perché una discreta dose di «flessibilità» è già stata elargita a questi Paesi. Con il risultato che si ha quando si consente ad un alcolista di lasciar perdere le cure e bere un bicchiere di vino.

Per quel che riguarda l’Italia, detentrice del record del debito pubblico in Europa, già il 3 novembre del 2015 la Frankfurter Allgemeine Zeitung ci aveva avvertiti con cortesia che rischiavamo di apparire come un Paese che, «accantonato l’obiettivo cruciale di ridurre la mastodontica spesa», aveva adottato una «cosmesi di superficie», tanto da riportare alla mente «un passato di gestione disinvolta delle finanze». Per poi suffragare l’editoriale con qualche numero. I Paesi che negli ultimi anni hanno tagliato la spesa pubblica — come l’Inghilterra (dal 48,8 al 43 per cento), la Spagna (dal 46 al 43,3 per cento), l’Irlanda (dal 47,2 al 35,9 per cento) — sono cresciuti, rispettivamente, del 2,3%, del 3,2% e del 6,9%. L’Italia, che nello stesso periodo ha addirittura incrementato la spesa dal 49,9 al 50,7%, è ferma allo 0,8 per cento.
Ma qualche taglio lo abbiamo fatto… A febbraio il presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri fece educatamente rilevare «il parziale insuccesso o, comunque, le difficoltà incontrate dagli interventi di revisione della spesa» mettendo in evidenza come quelle poche riduzioni fatte all’italiana si sono spesso rivelate operazioni di «contrazione se non di soppressione di servizi alla collettività». Pochi giorni fa l’ex commissario a questa delicata materia, Roberto Perotti, ha spiegato per filo e per segno come per 25 miliardi tagliati da un capitolo di spesa ce ne siano stati altrettanti elargiti tramite altre voci.

Intanto il debito è lievitato. Peggio. Sostiene uno studio della fondazione David Hume, che se si esamina la traiettoria degli ultimi quindici anni, la velocità di crescita del debito pubblico è risultata addirittura superiore (quasi sempre) alla velocità di crescita dei prezzi. Quel che rimane stabile sono i nostri riti. Ogni anno lo iniziamo con i grandi festeggiamenti per l’annuncio della prossima riduzione del rapporto debito/Pil. Dopo il primo trimestre (a volte più in fretta) tiriamo fuori fantasiosi pretesti atti a spiegare che, in via del tutto eccezionale, stavolta non se ne farà niente. Ma l’ultimo trimestre torna il buonumore perché possiamo dedicarlo ai preparativi per la festa dell’annunciazione dei progetti di riduzione del debito. Per l’anno nuovo.

Nel contempo i superstiti fautori del taglio alla spesa vengono ormai additati come nemici dello sviluppo. Perfino chi si limita a denunciare gli sprechi. Nel lasciare il suo incarico, un altro ex commissario straordinario per la spending review, Carlo Cottarelli, raccontò di aver partecipato in uno dei suoi ultimi giorni di lavoro a una riunione al ministero dell’Agricoltura. In quell’occasione lo colpì che, nonostante fosse una giornata di sole, i termosifoni andassero al massimo e, per il gran caldo, si dovessero tenere aperte le finestre. Lo fece notare agli altri partecipanti al consesso che però minimizzarono. Tutti. Con un sorrisino. Quasi infastiditi. Be’, la prossima volta, prima di spiegare ad Angela Merkel come si fa a promuovere lo sviluppo in Europa, ricordiamoci almeno di spegnere quei termosifoni.

2 commenti:

  1. Si tratta di considerazioni valide, di buon senso e di verità. Ma non ci è traccia nei telegiornali e nei giornali perché disturba i racconti demagogici del manovratore bullo fiorentino.

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  2. Si tratta di considerazioni valide, di buon senso e di verità. Ma non ci è traccia nei telegiornali e nei giornali perché disturba i racconti demagogici del manovratore bullo fiorentino.

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